Amor migrante

Nelle stazioni
piovon pensieri
su di chi
ha con se giorni
che come sogni al sole
svaniranno senza te.
Dentro fardelli,
per mete vaghe
che non si distinguono,
forse non ti piacerà,
ma resta la sola cosa
che puoi chiamare opportunità.
Portan negli occhi
amori strani
nati per vivere
giorni di ferie in anni
svenduti al tempo
per poche lire.
Pagati i conti
bagagli vuoti
e sbagli che pesano
e quello che non tornerà,
perso sui treni in corsa
verso le industrie,
nuove città.

Poi il fischio e addio!
Attacca il motore,
palpita il cuor
e le lacrime sciolgono
le prese di mani in amor.
Poi il fischio e addio!
Attacca il motore,
palpita il cuor
e pensieri si fondono
su distese di ogni color.

Dopo la notte
dentro carrozze
il sole ti mostrerà
paesaggi che non conosci
nascosti prima nell’oscurità.
Fredde stazioni.
Confusi fra mille voci
camminano.
In qualche lingua si saprà
quale destinazione
la propria vita poi seguirà.
Poi il fischio e addio!
Attacca il motore,
palpita il cuor
e i ricordi riaprono
ferite con grande dolor.
Poi il fischio e addio!
Au revoir! Auf wiedersehen!
Con lo sguardo accompagnano
all’orizzonte
la marcia del tren…


La via di casa

S’apersero gli occhi
al grido di << Libera! >>

<< Tornavo a casa ed era di sera… >>

Mi ritrovai in un’angusta stiva
con altra gente che non sapeva dov’era.
Nella penombra, si agginse in fondo,
da sopra la scala,
la luce fioca d’una candela,
stretta nel pugno
d’un losco figuro
che annunciava l’approdo
in un porto sicuro.
Scesi che fummo,
scricchiolando,
prese il largo il vecchio vascello,
mentre notte e foschia
avvolse il porto in un fumoso mantello,
che lentamente nascose le facce di cera,
lasciando voci confuse
in una burrascosa atmosfera.
Brancolando nel vuoto,
d’improvviso appariva
un volto sempre diverso
che la nebbia inghiottiva:
lo sguardo attonito di una giovane donna;
quello smarrito d’una bambina
che cercava la mamma…

<< Tornavo a casa ed era di sera… >>

è strano, ma son sicuro
che era primavera.
Fermati i miei passi,
confuso ed inerme,
scorsi sul muro
d’un vicolo cieco,
la luce soffusa di due lanterne
che illuminavano
nel mezzo inciso,
su di un legno
che sapeva d’eterno,
il nome del posto:
“La locanda del Ritorno”.
Vi entrai senza esitare
e mi diressi verso il bancone
che le persone sedute ai tavoli
si voltarono con la stessa espressione:
di chi sapeva cosa cercassi
e quale fosse la mia situazione.
Guardandomi intorno,
appoggiai il braccio sul bancone desolato,
ignorando quell’uomo
che mi fissava dall’altro lato.
Sembrava essere un vecchio pirata
dalla folta chioma e lunga barba imbiancata.
Si avvicinò servendomi uno strano liquore.
Esclamando:<< Offre la casa! Non ti preoccupare >>.
Provai a chiedere informazioni,
ma il vecchio era vago e non diede soluzioni
e il liquore, pian piano, faceva il suo effetto,
quando l’uomo mi disse:<< Devi essere stanco…vattene a letto >>.
Sciolse da un grosso mazzo la chiave
ed allungandomela aggiunse:<< Vai a riposare >>.
Presi la chiave e gli diedi le spalle.
<< Bentornato! >> urlò l’uomo pronunciando il mio nome.
Strano pensai…
Non avendolo rivelato nella conversazione.
<< E bentornato dove…? >> mi chiesi per le scale,
mentre lentamente continuavo a salire.
Il vecchio mi incuriosiva ancor più
quando mi accorsi delle chiavi tatuate
che aveva sui due polsi…
al primo piano infondo c’era la stanza.
Filtrava una luce strana sotto la porta.
Stanco e confuso afferrai la maniglia
ricordando sempre l’unica cosa…

<< Tornavo a casa… >>

In un altro posto,
quella sera,
un giovane dottore,
scoprì presto il limite
del suo mestiere…


Il segreto del Sofista

C’era una volta un Sofista smarrito
che in una gabbia parlava alle cose.
Non ebbe risposte
e si rivolse alle rose.
Fra esse la più bella
rivelò la sua natura di fata,
diventando del Sofista
la sua dolce musa…
Gli ispirò il cielo
e il segreto delle stelle
e per la sua Gentilezza cosmica
rientrò nell’ordine di quelle.
Furono notti vorticose
per il Sofista tramortito
dalla rosa, fata, musa
ed il suo splendido sorriso.
Il Sofista ringraziò il cielo
per la sua manna,
ma poi uscì di senno
bramandola come donna.
La dea capì subito
la piega delle cose
e si nascose un’altra volta
dietro petali di rose.
Ma il Sofista ne riconobbe
il profumo della pelle
ed in preda alla passione
coglierla pensò che volle.
Presto, però, il Sofista
alla ragione fece ritorno,
rammentando che le rose colte
vivon poco più di un giorno…
così il Sofista combattuto
nella sua casa fece ritorno
e dal balcone sul giardino delle rose,
malinconico, da quel giorno
aspettò la sua musa
che non fece mai più ritorno…