Disperso, in infinite divagazioni mentali

Durante torride notti insonni

Distratto, chiudo gli occhi come per evitare che mi ci si possano leggere i pensieri,

Dimenticando vincitori & vinti.

Distolgo lo sguardo dalle sbavature dell’inchiostro

Deridendo e acclamando rivali & nemici.

 


 

Rimasto solo,

preda del vizio

a cercare di andare ancora più a fondo.

Le abitudini in cerchio,

e le risate alle spalle come sfondo.

Aspettavo che la voce annunciasse

il prossimo concerto.

 


 

 

….e se non fossimo mai stati qui? e se non ci avessero fatto entrare? se fossimo rimasti fuori..?     se mentre cercavamo di varcare la soglia ci avessero fermato con una scusa qualsiasi…

ci saremmo ribellati? ne avremmo avuto il coraggio?

ci saremmo arrogati il diritto?

o senza forze stremati avremmo desistito?            come sempre.

intanto, dietro al paravento, le voci e la musica blues si confondevano con il rumore dei passi, sulle scale di legno che porta alle stanze, e a quello dei vetri rotti e all’odore di birra, sudore e fumo  che invadeva il locale.

Lui stava seduto nell’angolo con un solo bicchiere.  da solo. sembrava aspettare… chi o cosa nessuno lo sapeva. la sua giacca di pelle consumata e più lunga del dovuto era buttata male sulla sedia. toccava terra da un lato.

stava seduto immobile, con la faccia scura ma senza pensare, a niente. in realtà non c’era nemmeno nessuna ragione di stare li… anche se ormai erano ore… un sorso di rhum. ancora uno… un altro drink.

la nebbia nel locale nemmeno gli permette di vedere chi entra eppure gli è così familiare che solo li si sente a casa. da solo. nel suo angolo. buio. seduto, al suo tavolo da uno. esclusivo, secondo lui. evasivo, secondo gli altri. star bene dove a tutti non piace sarà mica una colpa no? ci sarà anche un limite alle colpe? ci sarà una fine a quanto possiamo sbagliare? già, ma quanto è lontano quel limite? quanto manca a quella fine?

quante domande riesci a farti in un attimo…

al buio?

….

quello che ti frega è che ogni domanda ti porta a nuove domande, e tu non puoi fare nient’altro che startene li… a vederle scorrere, poi sentirle mentre si insinuano, scavano, ti consumano… poi comunque il momento arriva, il tuo momento. a volte quando è troppo tardi e non puoi farci nulla se non prenderti due schiaffi e star zitto. a volte quando sei ancora in tempo e magari te la cavi.

pensava soltanto, mentre uscendo dalla locanda si appoggiava, ora alla porta, ora al bancone, ora al barista, ora chissà a cosa… la porta di legno scuro, gonfia della pioggia e della muffa di un decennio ormai si apre a stento, sembra non volerlo fare uscire. ma ormai ce l’ha fatta ormai è nel vicolo, la puzza di piscio mista al vento freddo non mentono. come non mente il buio, denso al punto di poter quasi essere  toccato. ha percorso per intero il vicolo e la luce dei lampioni nella strada principale non è affatto piacevole o di sollievo per chi, come lui, vive di menzogna e vergogna. il buio è il suo habitat. è al buio della sua stanza che torna la mattina. con i muri sporchi ma che non si vedono, scarafaggi grandi come pollici e finestre inchiodate. buio. solo così poteva pensare, senza mai dare tregua alla sua anima, tanto non valeva niente. non meritava di essere redenta.. o salvata… non  meritava niente. si è sfilato la camicia e dopo averla gettata in terra si è tuffato sul materasso spoglio buttato sul pavimento al centro della stanza. contento di non averlo mancato, come ogni tanto accade, si è addormentato subito. per niente turbato o preoccupato. almeno così credendo.. e mentre dormiva pensava. con il cervello a mille all’ora, senza ostacoli ne limiti. qualcosa non tornava, appena percepito in un angolo qualcosa non era al suo posto. perchè quest’angoscia? cosa non si incastrava col resto?

al risveglio quel pensiero non se ne era andato, ne si era affievolito. come avrebbe potuto? lo assillava ormai e ora chissà quanto ci sarebbe voluto per distrarsi, per potersi godere qualcos’altro, rallentando finalmente il battito del cuore per un pò. senza quella sensazione addosso di essere sempre in fuga. n fuga c’era. c’era eccome, c’era da sempre, c’era da tutto. ma tutto quello scappare è stancante, ogni tanto devi crollare.

per forza.

la pioggia fuori faceva il suo stesso gioco, mettendosi davanti al sole per mantenere il clima cupo e teso che albergava anche dentro di lui. una simbiosi perfetta. nel frattempo provava a pensare a domani per portarsi avanti, per accelerare il tempo al fine di far arrivare prima la pace. ma non avrebbe comunque funzionato perchè domani sarebbe stato peggio e il giorno dopo peggio ancora… E peggio… e peggio…

sarebbe stato meglio dimenticare.

sarebbe stato un altro drink…