Il lato destro invertito

Capitolo 1

Suonò il clacson per la seconda volta, l’auto grigia davanti alla sua non voleva ripartire al semaforo. Si sentì piuttosto sicuro di sé quella mattina anonima piena di tante cose da fare: benzina, comprare lo yogurt e passare dalla nonna.
Erano già le dieci e quindici e questo lo spazientiva. Premette nuovamente il volante della piccola macchina blu del ’99 e infine l’auto grigia partì. Una volta a casa pensò che avrebbe avuto il pomeriggio libero e il serbatoio pieno; collegò le due cose senza pensarci troppo.
Decise. Dopo un buon pranzo impugnò saldamente le chiavi della macchina, afferrò la sciarpa, la giacca, il cappello e i guanti.
Prese le sue cose preferite, qualche fumetto, un Nintendo ds, un block notes mezzo usato, qualche penna, riempì uno zaino di vestiti e infine afferrò la sua chitarra polverosa (in realtà le ultime due cose non sapeva perché le avesse prese ma portarsi dietro degli “stracci” e una chitarra avrebbe reso l’esperienza più avventurosa, così pensava, ridacchiando mentre pensava di non saperla nemmeno suonare, la chitarra).
Optò per fare i metri che l’avrebbero separato dalla sua auto di corsa, per il freddo e per l’ansia di conoscere la sua strada.
Così in pochi secondi era li davanti, entrò in fretta posizionando minuziosamente la giacca, la sciarpa, i guanti e il cappello sopra i sedili posteriori; aprì il bagagliaio sollevando la levetta vicino alla portiera e ridiscese impugnando la chitarra polverosa e infine posizionandola delicatamente lungo il bagagliaio.
Chiuse, prese lo zaino e ci infilò dentro tutti gli oggetti che si era portato senza un preciso ordine ma alla rinfusa e si curò di poggiarlo al sedile affianco al suo come fosse un neonato, lo guardava panciuto della moltitudine di cose che aveva al suo interno.
Lo lasciò andare accarezzandolo come per rimuovere della polvere ed infine si mise dritto di schiena, le mani ancorate al volante.
Aveva una felpa grigia quel giorno, i jeans blu vecchi ma non strappati e delle scarpe da ginnastica anch’esse blu che, però, non sembravano intonarsi con gli interni dell’auto, quasi del tutto di un blu più scuro e meno appariscente.
Pensò che sarebbe bastato un minimo dettaglio, come l’aver dimenticato il portafoglio o le chiavi di casa, per farlo tornare indietro e dedicarsi ad altro abbandonando quindi del tutto quell’idea.
Ma aveva tutto; così ripassò ancora la lista delle cose che aveva ma allo stesso tempo tentando di pensare ad altre che potessero servirgli per poter mettere fine a questa esperienza così strana che tanto lo incuriosiva tanto lo intimoriva.
Perciò continuò a pensare a cose indispensabili per qualche lungo minuto come per lasciare decidere al caso la sua sorte.
Infine, arresosi, strinse più forte il volante fissandolo concentrato. Bloccò le portiere dell’auto per sentirsi più protetto, non tanto da possibili pericoli esterni ma da qualcosa di indefinito, probabilmente anche da se stesso, da un’eventuale voglia di tornare indietro. Lui avrebbe potuto riaprirle semplicemente sollevando la sicura ma il fatto che avrebbe dovuto anche solo compiere un gesto in più per uscire lo faceva sentire più al sicuro.
E si sentiva al sicuro, li, da solo, potente nella sua auto, con il suo zaino che gli infondeva sicurezza e la sua chitarra polverosa nel bagagliaio.
Alzò la testa, guardò nello specchietto retrovisore per controllare se stava arrivando qualcuno, poi ripassò i comandi dell’automobile come uno alla prima lezione di guida. Si mise la cintura, riguardò nello specchietto, fece manovra.
Controsterzò e si infilò in strada, scivolando via prese a destra, visualizzando la sua prima destinazione.
Sapeva che doveva andare lì, ci era cresciuto, vivendoci più di una vita.
Sarebbe sempre stato in tempo a dire e a dirsi che “come quasi ogni giorno era andato lì” e tutto sarebbe finito: sarebbe tornato a casa, nessuno avrebbe fatto domande, avrebbe giocato un po’ alla playstation e sarebbe andato a dormire. Poi con calma si sarebbe laureato, avrebbe forse trovato moglie e lavoro, sarebbe invecchiato alla fine un giorno.
Ma nonostante l’inverno il sole era maestoso e conquistava lo stupore di tutti, che da giorni vedevano solo nuvoloni neri. Non c’era timidezza o segni di cedimento in lui,il cielo regnava incontrastato diffondendosi come un’enorme macchia d’olio.
Un primo incrocio lo fermò dopo i primi trecento metri del suo nuovo e breve viaggio verso la sua meta.
Le auto, impazienti di partire, emettevano il loro fumo come tante bocche parlanti in una gelida giornata di montagna, quasi come bambini che si divertono ad imitare i draghi.
Dal bar, immaginava provenire un accogliente ridacchiare di donne in carriera nella loro pausa pranzo, anche se essa doveva esser finita da un pezzo vista l’ora.
Nel lato sinistro del corso c’erano solo case ed era triste poiché non si vedevano persone se non nell’atto di entrare o uscire.
Il lato destro, invece, era più delizioso, si vedevano tanti negozietti piccoli ed immaginava i proprietari arrivare la mattina tutti insieme, scambiare due cortesie e poi subito rintanarsi all’interno, in mezzo alla loro merce e davanti ai loro scaffali, aspettando i clienti.
Vedeva così quei negozianti del lato destro, concentrati a provare quella bellissima sensazione di sicurezza che lui stesso aveva provato qualche minuto prima nella sua auto, e li invidiava.
E dato che il verde non compariva estese i suoi pensieri: pensò alla sua città come formata solo da lati destri del corso, dove la gente non abitava le case ma viveva passeggiando fra i negozietti, entrando ad acquistare oggetti che poi trasportava in larghe borse colorate fino al negozietto affianco. E ovviamente i negozietti dovevano avere le vetrine perché la gente doveva vedersi sorridere mentre faceva la fila dalla ferramenta o nel piccolo supermercato.
Ogni bar doveva avere un dehor per lo stesso motivo, e ad ogni ora dovevano esserci almeno due donne in carriera vestite eleganti in pausa pranzo, anche se non era ora di pranzo!
Dato che non si può fare una città col solo lato destro, i lati sinistri delle vie e dei corsi dovranno essere sostituiti da lati destri del corso…al contrario!
Nei lati destri cosiddetti invertiti si vedranno quindi tutto il giorno i vari retrobottega dove i negozianti al mattino riceveranno le merci scambiandosi convenevoli e lamentandosi della merce troppo pesante, ma lamentandosi scherzando fra di loro e aiutandosi, ma solo fino all’ingresso del loro retrobottega. I retrobottega non saranno fatti di vetrine come nei lati destri ma bui e formati da pareti spesse.
Ogni negozietto dovrà avere due negozianti, uno che sta a vendere sul lato destro con una divisa o un grembiule e un berretto e l’altro sul lato destro invertito chiuso nel retrobottega con le merci. Per evitare che i lati destri invertiti siano tristi come i lati sinistri davanti ad ogni retrobottega dovrà esserci una stanzetta ben illuminata che offrirà tutto il giorno foto di spiagge, di montagne e di paesaggi stupendi. Inoltre ci dovrà essere un minimo di persone al giorno che dovranno andare in giro nei lati destri invertiti a fissare queste immagini di stanzetta in stanzetta.
Dunque ripartì seguendo con lo sguardo la mano innescare la prima marcia, si osservò immettere la seconda ed infine in terza. Il corso che percorreva ora presentava alberi in fila come soldati, i rami bene in vista senza le foglie disegnavano figure più o meno sensate intrecciandosi fra loro, vedeva con la coda dell’occhio questa moltitudine di tronchi e un po’ più in su i rami che sembravano parte di una massa omogenea, come tanti bambini in fila per mano.
Secondo semaforo, rallentò con attenzione osservando le marce scalare e l’auto fermarsi.
Questa volta non guardò ai suoi lati, si sentiva ormai abbastanza forte delle sue sensazioni di sicurezza, fu rapito solo un momento dall’insegna luminosa di una farmacia nella quale non era mai entrato. Croce piccola croce grande croce piccola croce grande croce piccola croce grande croce picc…
Un ticchettio improvviso sul vetro alla sua sinistra invase l’abitacolo come un eco fra due enormi montagne e lui si sentii come un fachiro interrotto nella sua meditazione, un nastro interrotto, un fiume di pensieri messo fra una diga e la sua testa cominciò rapidamente a ricollegarsi ad una realtà esterna che andava oltre alla culla della sua testa e il movimento circolare, ripetitivo e dolcemente rassicurante delle sue marce che andavano su e giù come su un altalena.
Ora c’era lui, la sua testa e un ragazzino che si stagliava oltre il vetro, intimorito quanto lui ma con un’ostentata sicurezza. Decise che avrebbe tirato giù il finestrino, voleva parlargli, voleva farne un compagno di avventura, voleva dedicargli il tempo necessario per aprire un dialogo e chiuderlo, non voleva che la fretta che si ritiene ovvia in un incontro tra due persone ad un incrocio dettasse la legge, quella persona doveva essere trattata da lato destro invertito.
Avrebbe potuto trattarlo da lato sinistro e fargli un cenno di sfuggita per mandarlo via e non poteva trattarlo da lato destro poiché avrebbero dovuto essere in un posto ben caldo e accogliente e lì sarebbe venuto da sé a parlare e prendere una tazza di tè.
Trattare qualcuno da lato destro vuol dire aver facilità nel trattarlo bene, come prendere una tazza di tè in un posto caldo, è facile.
Trattare da lato sinistro è essere davanti al posto caldo ed andare avanti, essere di fronte ad un amico e salutarlo distrattamente, trattare da lato destro invertito è trovarsi nel mezzo del traffico e fermarsi a dialogare con una persona che non conosci per sentire cosa ha da dire, avrebbe potuto dire di aver eretto il suo primo lato destro invertito, sarebbe diventato un eroe, fiero.
Avrebbe posizionato sopra un muro di quel lato una bandiera con su scritto e sottolineato tre volte: “fiero creatore di lati destri invertiti”.
Qualcosa lo interruppe, il semaforo era diventato verde, doveva ripartire ma fece manovra e si infilò, nel suonare di clacson generali, in un parcheggio alla sua sinistra.
Fermo, guardava l’interno della sua auto come per vedere se fosse tutto a posto mentre ecco l’ombra della persona di nuovo al vetro, stavolta tranquilla e vagamente sorridente.
Molto lentamente aprì il vetro, l’aria era gelida nonostante il bel sole di quella giornata e così prese la giacca; ma non se la infilò, per non dover scendere, mantenendo così un minimo le distanze da quel suo ospite della sua piccola sfera intima della sua auto.
Per non alzare gli occhi e guardarlo subito, scelse di osservare per bene il terreno sopra il quale stavano pattinando con grazia le foglie marroncine per quattro o cinque lunghi secondi. Quindi alzò la testa, sempre impugnando la giacca, scorse una figura di un giovane di circa quindici o sedici anni, scuro e coi capelli rasi. Lo sguardo, stranamente, non era proiettato verso di lui. Sceglieva con attenzione cosa guardare come se possedesse un numero limitato di oggetti o spazi da osservare. Abbassando la testa iniziò:

“Ciao”.

Lui voleva salutarlo come fossero amici da sempre, stringergli la mano per chiederli come andasse, dirgli guardandolo in faccia di non preoccuparsi poiché sarebbe stato trattato da lato destro invertito e, invece, nella moltitudine di pensieri sul cosa dire, sul tempo massimo disponibile prima che lui chiedesse il motivo del suo silenzio, ribatté:

“Ciao”.

Capitolo 2

Il ragazzo scuro, accorgendosi del fatto che il ragazzo si fosse fermato apposta e fosse seduto di fronte a lui per ascoltarlo, si sentì in dovere di presentarsi; così prese parola:

“Tutti mi chiamano Hop, grazie per esserti fermato!”

“A me sin da piccolo chiamano Briga, se vuoi puoi chiamarmi così anche tu!”

Colse l’occasione per non svelare il suo vero nome a una persona ancora sconosciuta ma che ora lo guardava sorridendo, come fossero amici da sempre.

“Perché hai bussato al mio vetro, Hop?”

“Vedi…Io…Non ho nulla, busso sui finestrini per chiedere l’ elemosina, così l’ho fatto anche con te! Ma tu ti sei fermato, hai parcheggiato e ti sei messo ad ascoltarmi, quindi non ti chiedo niente, mi hai migliorato la giornata. Questa città è troppo veloce per me. Vengo da un paesino del Sudafrica, lì la vita scorre lentamente e la gente si ferma ad ascoltare gli altri, perché abbiamo poco, talmente poco che la nostra ricchezza maggiore sono la collaborazione e il lavoro di gruppo. Si pesca tutti assieme, si cucina tutti insieme, si mangia tutti insieme e così via. Ma da come ti sei comportato sembri provenire anche tu da quel paesino…
Per questo il giorno di oggi…(ed estrasse dalla tasca un calendarietto)…25 gennaio, io me lo segno come il giorno in cui ho conosciuto Briga, neo abitante di Ottiviern! Sei contento?”

“Ottiviern?”

“Il mio paese d’origine, ti ho conferito la cittadinanza onoraria, mi piace considerarmi un ambasciatore di Ottiviern, un giorno sarò un musicista affermato e potrò tornare lì da vincente, dalla mia famiglia!”

Prese un’ocarina fatta a mano, la portò alla bocca e intonò quelle che sembravano le note di una specie di inno, incitando Briga a poggiarsi la mano destra sul cuore.
Briga rimase abbastanza sorpreso dalle ultime azioni di Hop ma si tranquillizzò pensando che doveva essere merito del trattamento da lato destro invertito che gli aveva riservato, così si compiacque con se stesso e iniziò a riflettere su cosa poter dare al suo nuovo amico in cambio.
Nel frattempo Hop aveva messo sul cruscotto di Briga il calendarietto, il giorno 25 di gennaio era in evidenza con la scritta “Incontro con Briga, da oggi mio concittadino” e tre grossi punti esclamativi.

“Questa è la cosa più importante che ho, a parte la mia ocarina, ti chiederai perché te lo sto cedendo; ebbene ogni volta che io ricercherò questo calendario per guardare che giorno è, io mi ricorderò di averlo donato a te e di conseguenza mi ricorderò di te. Sei la prima persona che invece di lanciarmi degli spiccioli dal finestrino si ferma ad ascoltarmi ed io te ne sono grato.”

Nel frattempo, Briga, aveva deciso. Scese dall’auto dimostrandosi almeno venti centimetri più alto del suo nuovo amico e aprendosi il bagagliaio con la levetta vicino alla portiera, estrasse la chitarra polverosa dal suo interno e la pulì alla veloce mentre Hop guardava la scena stupito ed estasiato.
Era una chitarra acustica di buona marca, con le corde ben salde e poco consumate. Briga la porse a Hop.

Poteva dire che era un grande suonatore, che si esercitava ogni giorno, che per lui era un grosso sacrificio regalargliela e che apposta la teneva nel bagagliaio, perché stava andando al conservatorio o in un teatro a suonare davanti a tanta gente che l’avrebbe applaudito.
Poteva inventare tante storie riguardanti la chitarra, ma sarebbe da lato destro, sarebbe troppo facile mentire di fronte a una persona che non ha nulla, lui aveva appena eretto un lato destro invertito con tanto di bandiera sulla cima di uno dei suoi muri recante la scritta: “fiero creatore di lati destri invertiti” sottolineata tre volte.
Non poteva trattarlo da lato destro, non doveva cadere in tentazione, lui; per essere un fiero creatore di lati destri invertiti doveva consegnargli la chitarra, anche se valeva molto, senza dirgli che fosse di buona marca.
Così, allungò le braccia finché la chitarra non fu a portata delle mani di Hop, il quale, ancora scosso dalla visione di quello strumento, alzò lo sguardo con fare interrogativo verso Briga.
Egli, dal canto suo, con una spiazzante semplicità ammise soltanto:

“Io tanto non so suonarla..”

Poi continuò, sicuro che Hop non avrebbe appreso appieno le sue parole:

“Nella vita puoi incontrare tre tipi di persone: persone che non instaurano un possibile dialogo con te (disse indicando il rapido fluire del traffico in strada); persone che ti trattano bene quando è facile (e simulò la scena di un signore che abbracciava tanti bambini poveri davanti ai flash di macchine fotografiche di giornali, imbarazzato quasi chiedendo di smettere sperando ovviamente che i flash continuassero ad immortalare la scena); ed infine persone che ti trattano bene quando nessuno se lo aspetta, senza nessun tornaconto ma non solo, anche rischiando di farsi del male per aiutarti, perché spinti dal desiderio di darti qualcosa che ti cambierà per sempre la vita!
Il primo gruppo di persone io lo vedo come un lato di una città senza negozi, tutto case e nessuno che passeggia se non per entrare o uscire; il secondo gruppo lo vedo come un bel lato ricco di negozi e persone felici, stupendo nel suo essere ovvio di esistere perché non possono esserci lati pieni di case se non ci sono lati pieni di negozietti!
Praticamente è l’ovvia felicità che si contrappone all’ovvia tristezza. La cosa bella è che io ho pensato ad una città dove ci siano sì lati destri, ma al posto dei lati sinistri altri lati destri, però invertiti poiché sul lato sinistro si può mettere un lato destro solo se viene invertito.
Il terzo gruppo di persone infatti lo vedo come questi lati destri invertiti e spostati sul lato sinistro, quindi per fartela breve un gesto di felicità nel punto dove dovrebbe esserci un punto di tristezza!”

Si voltò in fretta senza assicurarsi se avesse capito o meno il suo concetto ma una volta dentro l’auto si ricordò che in un lato destro il discorso si apre e si chiude. Decise quindi di girarsi verso un Hop visibilmente sbalordito, difficile capire se più per la chitarra o per il suo concetto, e gli chiese accennando alla chitarra:

“Allora ti piace?”

“E’ la cosa più bella che mi abbiano mai regalato!”

“Essere lati destri invertiti, o comunque trattare da lati destri invertiti, vuol dire cercare di essere positivi laddove non è scontato esserlo, prima di tutto, quindi in questo caso era ovvio che ti avrei regalato qualcosa che ti avrebbe sconvolto positivamente la giornata o forse addirittura la vita a seconda di come la userai.
Il confine tra lato destro e lato destro invertito talvolta è labile e difficile da distinguere, come tra genialità e follia. Potevo accennarti un sorriso e darti cinquanta centesimi e non mi sarei comportato da lato sinistro, ma nemmeno da lato destro invertito, poiché era facile lanciarteli dal finestrino. Ecco che io oggi ho eretto un muro di un lato destro invertito, perché mi sono fermato a parlare con te.
Ecco, anche tu sei un creatore di lati destri invertiti (disse indicando il calendarietto sul cruscotto), poiché tu non avevi nulla da darmi e hai fatto di tutto per donarmi una cosa per te importante che potesse migliorarmi la giornata e magari cambiarmi la vita.”

Salutò Hop stringendogli la mano, si rimise in macchina, sorridendo e azionando il motore, prese dallo zaino un pezzo di block notes e una penna e vi scrisse sopra:

“25 gennaio: incontro con Hop, fiero creatore di lati destri invertiti.”

Consegnò il foglio a Hop che lo lesse d’un fiato, sorridendo con l’aria di chi riceve un bel regalo che però non sa bene come funzioni.
Infine ingranò la prima e partì, sporgendosi ancora dal finestrino:

“Ciao Hop!”

“Ciao concittadino!”

Capitolo 3

Sopra l’asfalto, serrato nella sua piccola auto, Briga ripensava all’incontro con Hop.
Guardava sorridendo la pagina di calendario che gli aveva lasciato, posizionata come un trofeo sul cruscotto.
Poi, guardando la strada davanti a sé, si concentrò sulla sua meta.
Infine, d’un tratto, come se i suoi ultimi movimenti fossero stati effettuati d’istinto, ci si ritrovò. Impiegò qualche minuto per scendere, voleva riflettere sul da farsi.
Dopo un po’ si decise, mise la giacca, prese lo zaino, chiuse l’auto e procedette fino ad un primo cancelletto: era aperto.
Proseguì, finché non riuscì a vedere ben distintamente il suo campo da calcetto.
In fondo sapeva che vi sarebbe passato e questo lo faceva sentire poetico e romantico, tanto da pensare di scrivere su un foglietto un saluto affettuoso a tutti i suoi amici che si allenavano lì.
Rimase invece fermo; le sue mani, immobili nelle tasche, non davano risposte…
Briga iniziò a fissare il secondo cancelletto che dava ingresso al campo.
Improvvisamente vide un bambino insieme ad un adulto che immaginò fosse il padre pochi passi davanti a lui.
Il bimbo, quasi adolescente che poteva avere 9 o 10 anni, indicava una folla di altri ragazzini materializzatisi nel campetto, intenti a corricchiare in gruppo.
Tutti vestiti uguali, indossavano magliette rosse e pantaloncini blu con scarpe colorate adatte a giocare a calcetto.
Il ragazzino, invece, indossava dei pantaloncini azzurri e una maglietta bianca con la scritta “safatletica” sopra essa; le scarpe erano da ginnastica, inadatte per calciare un pallone.
Appena entrati sul campo, il padre del ragazzo attirò l’attenzione dell’allenatore che fino ad un attimo prima era impegnato a sistemare il gruppetto di ragazzini in fila per due.
Essi cominciarono a conversare fitto-fitto, con il ragazzino che li guardava dal basso cercando di capire cosa si stessero dicendo..

“…E abbiamo spogliatoi muniti di docce calde e tanti palloni, oltre che conetti, birilli e ostacoli da saltare in quantità!”

Esclamò infine l’allenatore soddisfatto del suo discorso.
Prese ad indicare le luci che illuminavano la sera il campo e, per un momento, Briga temette di essere visto, dato che il “mister” stava indicando proprio sopra di lui.
Non fu così.
L’allenatore, dopo aver rivelato ai due di chiamarsi Andrea e scusandosi per non essersi presentato prima, invitò il piccolo a raggiungere il gruppetto e si congedò dal padre stringendo la sua mano con le sue e pronunciando un cordialissimo

“A dopo!”

Si rivolse quindi ai ragazzi, pregandoli di mantenere una fila ordinata.
Il ragazzino, che veniva già soprannominato da tutti “safatletica”, aveva le gambe belle lunghe ma senza che questo lo rendesse più alto degli altri.
Iniziò a correre velocemente, raggiunse i primi due della fila in pochissimi secondi ed infine superò ancora, non una ma ben due volte!
Alla fine si fermò, probabilmente domandandosi perché gli altri tenessero un ritmo così lento, finché dal gruppo uno non si staccò a spiegargli che quella non era una gara.
Per un attimo, poi fu maggio: i bambini, ora, giocavano con delle divise gialle e rosse contro una squadra dalle tinte prevalentemente blu. Briga riconobbe il bambino di prima, in panchina.

Una folata di vento gelido di gennaio fece riemergere Briga dai suoi pensieri, continuava a fissare il campo e si rese conto che non c’era nessuno nelle vicinanze, niente bambini, niente adulti, niente allenatori, niente divise sgargianti, niente..
Nessuno era stato lì quel giorno.
Entrò, aveva le chiavi.
Cercò un pallone negli spogliatoi e iniziò a tirare in porta fino all’ora di cena, poi si lavò, scrisse ai suoi genitori che sarebbe partito con gli amici a studiare in montagna, e uscì.
Appena fuori dal cancello, Briga vide una ragazza seduta su una panchina, intenta a leggere dei fogli appoggiati sulle ginocchia.
Si chiese se non stesse immaginando anche lei come i bambini e si avvicinò.
Era reale e bellissima, aveva i capelli biondo cenere legati da un codino verde e portava occhiali neri da lettura. Il suo era un dolce profumo, il più dolce che Briga potesse immaginarsi esistere al mondo.
Come se non sentisse il freddo, era senza giacca; aveva un maglioncino bianco e nero a strisce orizzontali grandi. Sotto di esso, dei comodi jeans e delle scarpe nere.
Briga pensava alla storia del lato destro invertito, che per erigerne un altro avrebbe dovuto parlarle e sorrise fra sé e sé, soffiando per il freddo tra le sua mani.
Un attimo dopo era seduto nella sua auto e si sentiva incoerente e soprattutto timido.
Si mise le mani in faccia e chiuse gli occhi, mentre nella sua testa le persone che prima compravano felici nei lati destri ora non riuscivano a tenere le loro borse larghe e colorate in mano, poiché queste ultime si riempivano di pietre.
Nei famosi lati destri invertiti, invece, i negozianti non erano più felicemente rinchiusi nelle mura spesse dei retrobottega ma urlavano alla prigionia e volevano uscire!

E Briga era lì davanti e non poteva fare niente se non piangere di fronte a una moltitudine di bandiere con su scritto e sottolineato tre volte: “fiero creatore di lati destri invertiti”, andare a fuoco lentamente davanti a lui.

Ripartì rabbioso, frustrato e senza più la sua città di lati destri e destri invertiti.
Dapprima scagliò il calendarietto di Hop sul sedile posteriore, poi accelerò versò l’autostrada, sua nuova meta.
Nel candore della notte si tranquillizzò.
Viaggiava da ormai due ore sulla Torino – Piacenza, quando lo pervase il desiderio di uscire di strada, cadere, rotolare e farsi male.
Riapparire poi sanguinante ma senza dolore dalla sua auto capovolta, sedersi al fianco di essa a gambe incrociate, in mezzo al nulla, in mezzo al suo Nulla.
Il suo Nulla era un’enorme pianura immersa nella notte più profonda, un’altalena di brezze invernali sorretta dalle mille luci dell’autostrada, con cui Briga giocava immobile, guardando da lì il cielo.

Egli cominciò ad affossare le sue mani nel terreno umido, impugnò la terra e la compattò. Voleva ricostruire da zero, dalla terra del suo Nulla i lati destri invertiti, finché non avesse eretto una città intera.
Era però sempre nella sua auto, intento a pensare malinconicamente ai suoi vecchi lati destri invertiti.
Giunse ad un autogrill e vi si fermò, ordinando una buona cena prima di rimettersi in macchina.
Stanco, iniziò a pensare alla sua città di lati destri e destri invertiti, alle fiamme che la circondavano e lo facevano addormentare…

La ragazza che leggeva si alzò ad un tratto dalla panchina vicino al campetto ed iniziò a correre. Affianco a lei nella sua corsa comparivano man mano dei violinisti che iniziarono a suonare una triste melodia.
Lei correva e correva, senza stancarsi, ora aveva la maglietta bianca e i pantaloncini del ragazzino che Briga aveva immaginato sul campo da calcetto.

Briga invece era di nuovo nel suo Nulla, a gambe incrociate e sanguinante ma senza provare dolore, vicino alla sua auto capovolta: la ragazza stava correndo da lui.
Egli in qualche modo si accorse della sua corsa e cercò di girarsi verso la direzione dalla quale stava arrivando la ragazza.
Vicino a lui ora c’era un pianoforte che cominciò, senza che nessuno lo stesse suonando, a eseguire una nota alla volta tutte le note possibili a circa un secondo di distanza l’una dall’altra.

La ragazza correva a più non posso e ad un certo punto ai violinisti si alternavano affianco a lei miriadi di coriste liriche la cui voce risuonava fin da Briga.

Quest’ultimo intanto soffriva, grondando sangue senza provare dolore.

Lei intanto, sempre accompagnata da questa folla di violinisti e coriste liriche, era giunta quasi sino a Briga ma quando mancavano ormai pochi chilometri si fermò di colpo.
Un gabbiotto di legno aveva attirato la sua attenzione.
I violinisti e le coriste liriche sparirono nella pianura del suo Nulla come spaventati, così come il pianoforte vicino a Briga.

Si avvicinò al gabbiotto lentamente e quando vi fu a qualche passo comparve dal nulla Hop. Era tirato a lucido, con uno smoking e una fascia da sindaco addosso ed una spada nella mano destra.
Rassicurò la ragazza e le intimò di inginocchiarsi.
Poggiò quindi la spada per tre volte, a destra, a sinistra ed infine di nuovo a destra girando però dall’altro lato la lama e la proclamò regina di Ottiviern.

Briga, come fosse lì davanti, vide la scena e ad ogni tocco di spada sulla spalla della giovane lui si sentiva perforare e cominciò ad urlare dal dolore.
Un forte dolore per il tocco sulla spalla destra.
Un dolore incontenibile per il tocco su quella sinistra.
Ed un dolore fatale per il tocco sulla spalla destra con la lama invertita.

Poi Hop si materializzò di fronte ad un sofferente Briga sorridendo, dicendo semplicemente:

“Ciao concittadino!”

E lo finì con la spada.

Intanto, la ragazza, appoggiata al gabbiotto rideva a squarciagola, mentre un fortissimo raggio di sole invadeva l’auto blu del ’99.