Oblio

Dell’ordine dominante la casa, poco era rimasto. Robert aveva trascorso l’intera settimana alla ricerca di una fotografia. Cassetti svuotati, libri che tappezzavano il salotto, scaffali vuoti, come di chi non volesse lasciare traccia: tuttavia, Robert aveva bisogno di un segno.
Il giovane aveva perso nel tempo tutto. I suoi ricordi lo abbandonavano all’improvviso, i luoghi familiari diventavano orribili vuoti di angoscia. Erano finiti gli anni trascorsi in libreria, il sorriso sempre ad accogliere i clienti. Della conoscenza completa degli scaffali gli era rimasta solo la targhetta con il suo nome in nero su placca metallica.
Il presente gli è insopportabile, fatto di attimi senza memoria. Della sua famiglia, foto senza un passato, i volti diventati semplici linee riempite di colore. Robert aveva tagliato i ponti con loro, li vedeva ormai poche volte l’anno, visite inutili, data la sua estraneità al loro mondo. Non erano catalogabili: non erano estranei, ma nemmeno dei conoscenti. Aveva con loro un legame, ma questo funzionava solo in modo univoco. Quando aveva iniziato a dimenticare tutto, e ogni persona giorno dopo giorno spariva dalla sua memoria, Robert tappezzò il suo piccolo salotto di fotografie della famiglia, incollando foto sui mobili, sopra i quadri, sulla grande finestra prospicente il parco. Era diventato il suo modo di mantenere i ricordi vivi, più fortificati di fronte al nulla che avanzava. Quando il vuoto rase al suolo ogni segno di vita per il giovane, strappò ogni foto, lasciando quelle ferite sul pavimento. Neanche calpestandole riusciva a provare nostalgia per la sua famiglia appena svanita.
Rimaneva sulle macerie un unico contenitore di sorrisi, scherzi, vacanze d’infanzia trascorse insieme: suo fratello Mike. Robert ne trova una fotografia. Lo vede davanti a sé, in tenuta da basket, con il berretto calato di lato, e una ciocca sporgente di ricci ricorda a Robert quanto invidiasse quel ragazzo. Non si erano frequentati negli ultimi anni, complice un oceano a dividerli. Mike, terminata la scuola, era partito per l’Europa, le sue visite a casa erano sporadiche, una volta l’anno quando la nostalgia remava per il ricongiungimento.
In quella circostanza il fratello, almeno in fotografia, era tornato velocemente a casa, obbligato a finire puntellato sul muro, in attesa che l’oblio lo rispedisse lontano, oltre la linea dell’orizzonte e delle cose finite.
Pressato dalle tenui speranze, Robert sta per scrivere sul retro della foto poche lettere, segni di memorie evanescenti: M-I-K-E, F-R-A-T-E-L-L-O. Tremante, con gli occhi socchiusi per ripararsi dal mostro vittorioso, traccia una emme, un solco su quel rettangolo carico di aspettative. Poi si arresta. Rimane solo un volto senza nome, ignoto al sangue del suo stesso sangue.
Il copione da seguire non cambia. Robert strappa quel volto, la calma torna in corpo, mentre sulla casa fremono di svanire persone ed emozioni.


Amico

Occhi assonnati, di chi comincia a realizzare di esserci nuovamente. Pablo se ne stava sonnacchioso, “altri cinque minuti”, sembrava dire da quel letto disfatto, intriso di fresche folate di vento mattutino.
Il piano della giornata non variava ormai da parecchi mesi. Una passeggiata in giardino, forse anche dalla vicina francese, ubriaca dei suoi incensi in perenne movimento. L’azzardo? Quattro passi al lago, giusto il tempo di controllare la situazione. Aveva la fissa del comando su tutto, Pablo. Tenero gatto. Ci manchi.


Incrocio

Era salito sull’autobus due fermate dopo il capolinea.
Viaggiare in piedi non gli pesava, anzi. Il getto debole ma costante dell’aria condizionata rinfrescò il suo volto, rosso per la corsa fatta. Puntato il piede sinistro alla sbarra, trovò la staticità anche nelle curve. Il sole ogni tanto giocava con i suoi raggi nel veicolo, poi pausa, ecco un edificio a coprirlo per qualche secondo. Valerio chiuse gli occhi. Ogni momento era buono per riposarsi dopo il turno nella libreria al centro.
“Scusa, che vuole dire in italiano?” – la signora da un chiaro accento dell’est Europa piombò inattesa nel riposo del ragazzo. – Qui, vedi: “all’età di ventisette anni si accasò”. Era l’accasarsi che non le diceva nulla, i suoi occhi azzurri sottolineavano il dubbio linguistico. Valerio districò subito quel problema dal libro della signora: un volume con la copertina rigida, abbastanza vecchio dal giallognolo delle pagine. Le porte si aprirono: “Grazie a te!”, lei scese.
Passò l’autobus sul fiume. Stesso scorrere di sempre.