Omaggio a Luciano Pavarotti

Negli anni in cui Luciano Pavarotti

torniva la gran voce e l’arte in scena,

a Modena fanciulle e ragazzotti

godevano la vita lor serena.

 

Non era conosciuto nell’ambiente

che aveva dato vita alla bellezza

di ciò che ancor purtroppo poca gente

godeva con passione ed in pienezza.

 

La lirica poggiava sul già noto

su Gigli, su Caruso, sul diffuso.

Forse Verona aveva un bel richiamo

grazie all’antica Arena ammodernata.

 

E’ facile pensare che la terra

che Verdi ingigantì con l’intelletto,

potesse riservare in una serra

fiori di voce semi di un progetto.

 

Eppure così fu, se il bel Luciano

decise con testarda convinzione

d’emergere nel canto pucciniano

in cui trovar la vera affermazione.

 

Seppi di lui un anno, in mese estivo

quando mi venne chiesto un nuovo impegno:

Modena, la piscina e il nuoto attivo

volevan dalla voce mia sostegno.

 

Lo sport con l’esperienza e con lo stile

(scusate di modestia la mancanza!)

avean proposto al nuoto giovanile

la voce di uno speaker di prestanza.

 

Alfredo Magnanini (ecco la stima!)

prestato al nuoto della Nazionale

aveva architettato un “Ghirlandina”

da disputar nel “vuoto” federale.

 

Mi aveva valutato, come accade,

in occasion diverse, ma valenti,

e quando chi decide, anche persuade

non serve seminar tentennamenti.

 

L’olimpica impennata fu da sprone

al nuoto che si mosse proponendo.

Sorsero un po’ dovunque, a imitazione,

piscine, società, voglia e confronto.

 

Modena, allor, vantava un pool d’esperti,

giovani vogliosi di spronare;

al meeting che ammetteva anche gli incerti

giunsero dall’Europa e dal nuotare

 

belle speranze fatte di talento,

tanto che i modenesi, cuor gentile,

mostrarono immediato il gradimento

che donano con garbo e con lo stile.

 

Fra i tanti, ad aiutare nell’impegno,

due giovani sposati senza figli.

Eran presenti sempre nel sostegno,

prodighi come pochi a dar consigli.

 

Conclusa la fatica d’ogni giorno,

la sera aveva un volto già tracciato;

i due si distaccavan dal frastorno

e Reggio raggiungevan difilato.

 

Al Regio molte sere a porte aperte

Luciano ripeteva con passione

gorgheggi ed arie, pria che le trasferte

gli dessero la gioia del loggione.

 

D’allora ne seguii tutte le mosse;

leggevo della gloria ingigantita

provando al suo ascoltar tutte le scosse

che regalare sa una voce amica.

 

Piansi d’aver perduto tanto genio.

Piansi perché d’averlo conosciuto

l’avrei considerato un grande premio.

Piango quel grande onor che il mondo ha avuto!


L’ampia vision che l’Alighier propone…

Forse sognò: ma forse fu davvero

protagonista di quel sogno arcano

che dalla selva, avanti de lo infero,

saliva al monte, piano dopo piano.

 

Non ebbe, questo è ver, vita pacata.

Se stesso trascinò di terra in terra,

spesso cercando, oh! Anima crucciata

tempi di pace, cieli senza guerra.

 

Ebbe l’ingegno fuori del comune,

che immaginar gli fece temi immensi

e li tradusse oscuri nelle brume

talor, e a volte tra la luce intensi.

 

Poi che “fatti non fummo come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza”,

tentiam l’azzardo, e che di là ci aiuti

a rianimar per lui la sua Fiorenza.

 

Quella non solo. Ma di ciò che seppe,

di quel che vide e, spesso, tacer volle,

forse rileggerem “Satàn alèppe”,

sapendo che fu chiaro solo al Colle.

 

Ma tra le pieghe pur contorte e cupe,

nell’intricato abbraccio di passioni,

Dante staglia se stesso su la rupe

da cui l’Italia inonda coi suoi doni.

 

Nobili, dame, fanti e imperatori,

schermaglie d’arme, poveri, storpiati,

battaglie, guerre, papi e imbrogliatori,

scomuniche, l’usura e condannati.

 

Castelli, marchesati e cardinali,

donne di mal costume poi redente,

bastardi di regnanti ed animali,

gemme di santi e popolo piangente.

 

Muse, gironi, belve, consiglieri,

armati per vendette e da tiranni,

corrotti, astuti, ingordi barattieri,

perversi, ammanicati in mille affanni.

 

Amanti, armati, anime perdute,

gaudenti, adulatori senza terra,

eroi di pace e santi di virtute,

guelfi con ghibellini sempre in guerra.

 

L’ampia vision che l’Alighier propone

percorre nel Trecento quella storia,

che si conclude in Ciel con l’orazione,

che colloca Maria nella Gran Gloria.


IL DUBBIO

Down: per la pigrizia di controllarne il significato, mi restava estraneo fra i vocaboli. Non mi interessava, tutto qui! Credo che in quegli anni, quando un bambino nasceva con gli occhi a mandorla, si usasse dargli del cinesino. I più introdotti parlavano di idiozia mongoloide. Ed ogni cosa terminava l’, come era nata.

Erano gli anni, caro dubbio, in cui avresti potuto malmenarmi solo per futilità; ti scartavo con destrezza perché nel mio carattere s’era instaurata una meccanica decisione convinta. Mi capitavi addosso soltanto nelle vesti più consuete: bianco o nero, buono o cattivo, utile o inutile; e puoi allungare la fila quanto di pare. Hai presente il menefreghismo? Ecco, di quella pasta ero fatto! Cosa credi che potesse interessarmi il tuo intervento, quando la scelta non richiedeva più di qualche minuto secondo, per metterti alle corde.

Diventasti un incubo molto più tardi., disperato dubbio!

Elena era attesa con enorme interesse. Dopo la bellezza di suo fratello e la vivacità con la quale era entrato nella nostra vita, la decisione puntava dritta ad una squadra di basket. Te li immagini cinque o sei che ti ronzano attorno fino a chiamarti in causa, mio distratto dubbio? Abbiamo fatto bene? Certamente! E venivi cancellato in un attimo. Fu successivo il tempo in cui le coppie adottarono la verifica della regolarità. Noi non ci pensammo. Se il tentativo iniziale aveva avuto successo, cosa avrebbe potuto contrastare il secondo? Tu, mio ineffabile dubbio, non apparivi nemmeno in lontananza!

 

Mi aspettavo che la portassero alla poppata, la prima della sua vita, ma fra vi commensali, Elena non appariva. Volevo sapere, e le risposte erano accartocciate, come si fa con un foglio che non si ha intenzione di mostrare. Insistevo, ma la rivelazione era affidata al primario, il riverito camice bianco che distribuisce verità e menzogne, consigli e suggerimenti, ma che di frequente crea un danno irreparabile nella vita di uno sfortunato.

“Sa….posso solo dirle che succede….che in mille casi, quattro o cinque hanno questa caratteristiche…..ma lei non deve lasciarsi sopraffare dal sentimento….ci sono degli ottimi istituti…..questi bambini crescono nel migliore dei modi…..”

 

Maledetto dubbio, che cosa stavi organizzando in quei minuti? Chi ti aveva prestato il permesso di incidere nella mia vita, che già da sola non sapeva su quale seggiola arrotolarsi? Credevi di prendermi alla sprovvista? Con tutte le difficoltà che la vita mi aveva

riservato?

 

La verità mi piombò addosso con tutta la sua cattiveria: il mondo cadde. Vissi di nebbia per una settimana. Gli aiuti della fede si affacciarono tutti in un attimo, pronti a sorreggermi. Mi ci aggrappai, anche se tu, stramaledetto dubbio, riuscivi a confondermi l’attesa, propinandomi la serie di errori che l’umano genere è portato a commettere nella fretta. Mi suggerivi reazioni, comportamento, atteggiamenti opportuni; sostenevi l’inutilità delle lacrime, confondevi il mio sonno.

 

Lascio immaginare a chi legge, quale poteva essere la mia condizione. Non avevo punti di riferimento ai quali addossare la confidenza che mi sconvolgeva. A lei non dissi nulla!

Oggi, a distanza di quarant’anni mi chiedo che cosa credevo di realizzare tacendo il tumulto che regolava i miei cardioritmi.

Quando ebbi occasione di guardare Elena, fra le braccia di sua madre e attaccata al seno, mi guardai attorno alla ricerca di chi stesse osservando la mia reazione di padre, di responsabile di tutto ciò che quella vita attendeva. Ti avevo messo in disparte, in quei momenti, dubbio vigliacco. Non avevo il tempo di dedicarti le ansie che mi avevi procurato giorni prima.

Accettai con un sollievo da resurrezione, il sorriso fatto di dolcezza

e di ingenuità con cui Grazia ringraziò la Provvidenza e Dio per quell’essere. Anche se, diceva, ha gli occhietti a mandorla, ma è bellissima!

La tua subdola azione distruttiva, maledetto dubbio, non aveva fatto breccia nella sua certezza.

 

Non uno, nei sei mesi successivi, non uno che l’avesse vista, ebbe i dubbi che mi tormentavano. Fatti di disperazione, mai trasmessi ad alcuno, si trasformavano in convinzione ogniqualvolta osservavo quella creatura che benediceva la vita. Passò metà del primo anno.

Rincasai dall’ufficio un giorno di primavera. Il mio mondo, che dopo la prima rovinosa caduta, stava riassumendo dimensioni accettabili, sprofondò del tutto. Il pediatra di turno fu così improvvido e rozzo nel chiarire perché la bambina, a sei mesi, non stava seduta sul lettino, da farmi tornare alla convinzione che a molti medici, comunque specializzati, la laurea andrebbe concessa soltanto dopo un accuratissimo esame psichiatrico e psicologico. E chi non sapesse fornire una spiegazione attendibile di “sensibilità” dovrebbe essere escluso da una professione cui tutta l’umanità si affida solo e unicamente alla ricerca di delicatezza.

 

Dividemmo il dubbio, cercando la via di fuga più certa. Un luminare di Genova escluse possibilità di rimedio. Aggiunse, però, che l’affetto dei genitori, l’amore di una famiglia avrebbero operato il miracolo che molti escludono quando imprecano al destino.

Sua madre moltiplicò le attenzioni. Ebbe tantissima forza d’animo da escludere dubbi e incertezze. Elena continua ad essere. Con noi, per noi. E per quel carattere che le cure materne hanno costruito.

Il tuo tarlo, perfido dubbio, continua a rodermi: non sarò mai certo che Elena sia la creatura che mia moglie partorì quel giorno del lontano dicembre 1964. Io non ero presente. A quel tempo non era concesso! Grazia non poté vederla: gliela sottrassero molto rapidamente.

 

Tu esisti sempre, esecrato dubbio. Esisti e mi obblighi a guardarmi attorno per individuare lineamenti che possano essere intrecciati al mio dna. So che la lotta è ìmpari; sento che mi sei penetrato nell’anima e non ti staccherai mai più. Ma se una digressione ti è concessa, lasciami immaginare come potrebbe essere l’altra: falle sapere che, nel cambio, forse, ci abbiamo guadagnato. Elena è un angelo! E’ capitata  a noi, certamente, per un errore. Anche umano?