Marta
Soffia un vento gelido
Bussa vorrebbe entrare
Non ho voglia di aprire gli occhi
Non ho voglia di alzarmi
Non ho voglia
Che ora sono?
E’ buio
una coltre nera e spessa avvolge il mio letto sfatto
Non ha suonato neanche la sveglia
Tanto sapeva che era inutile
Dovevo ascoltare la saggezza di Elisa
Sempre premurosa nei miei confronti
Ma, ieri sera, non ho trovato le sue pillole per dormire
Ieri sera non avrei trovato neanche me stessa
Infatti, non ricordo niente, forse, una parte di me
È rimasta al ristorante.
Sempre che si trattasse di un ristorante
Non ho bevuto eccessivamente
il giusto per accompagnare i pasti
Non ricordo cosa ho mangiato
In verità non ricordo di aver mangiato
Riccardo e Elisa hanno insistito garbatamente
strappandomi controvoglia
Alla mia solita serata casalinga
Non ho voglia d’incontrare nessuno
Non ho voglia di conversare
Non ho voglia di ascoltare
Non ho voglia di pensare
Uno sciopero del pensiero!
Ottimo quadro esistenziale d’epoca
La nostra che ha perso l’uso della ragione
Ho staccato telefono e cellulare
Non vorrei, inconsapevolmente
incappare, nella premurosa ansia di Elisa
Le donne costruiscono reti
Spontaneamente, sostengono in molti
ma, in realtà, è una delle tante coercizioni riservate
al genere femminile
Costruiamo reti per proteggerci
Io non ho più voglia di protezione
Dovrei ridipingere il soffitto
L’umidità avanza, inesorabile, come la vecchiaia del resto
Elisa insiste vuole convincermi ad andare in palestra con Lei
Sulla cyclette, andatura tranquilla, ascoltando musica classica, per rilassarsi
Oppure al Parco a praticare il Tai Chi, per ritrovare l’armonia tra mente e corpo
Il corpo ha le sue esigenze, come la mente del resto
Da quanto tempo non mi guardo allo specchio
Ho paura d’incrociare il mio sguardo
Sarei costretta ha leggere nella mia anima
Sempre che sia rimasta
anche lei
forse, è andata via
non mi sopportava più
Piango, non volontariamente, le lacrime copiose tracimano dai mie occhi
Come un torrente in piena
La furia dell’acqua è incontenibile
Come la mia tristezza
Dovrei cercare un appiglio la corrente rischia di portarmi via
Meglio un fazzoletto se riesco a trovarlo, il comodino sembra
Un campo di battaglia
Una battaglia persa
Un’altra
Devo tornare al lavoro, domani
Telefonerò senza dare troppe spiegazioni, non mi importa cosa penseranno
Se vado al lavoro sarò costretta a mettere ordine nella mia testa
Ma la mia testa, ormai, non ha nessuna voglia di ordine, procede autonomamente
Si è conquistata la sua anarchica libertà, anche lei, è stanca di me, è andata altrove
Non so se tornerà
Elisa saprebbe cosa fare e lo farebbe
Basterebbe comporre il suo numero
Accorerebbe in onore della sorellanza, sostiene
Legami, affetto, solidarietà femminile
Chiamateli come volete
Fatto sta che ora sarebbe qui
Accanto a me, tenendomi per mano
Oppure in cucina a preparare un buon caffè
Mi sono arresa senza combattere
Prenditi tutto, non è molto, ma è ancora in ottimo stato
Non mangio da giorni
Forse ieri sera ho sognato di mangiare
Antipasti deliziosi, un ottimo vino bianco
Un cameriere, carino, giovane, gentile
Falso, magari è appena uscito dalla scuola alberghiera
Inchini e sorrisi con un occhio alla mancia
Sto diventando acida, una single acida
Viene fuori una parte di me che non conosco
Del resto quante parti di me non conosco, molte, troppe
Una vita intera non basta ne occorrerebbero due
Siete d’accordo?
Chissà se “lassù” avrebbero da ridire
“Signora ha guadagnato un altro giro”, una gratifica
Sempre che un altro giro convenga
La nostra relazione è su un binario morto
Da tempo ormai non comunichiamo più
Marco abbassa gli occhi, guarda il pavimento
probabilmente attratto dai curiosi disegni del mio tappeto orientale
Ha il viso tirato la tipica espressione di quando ha torto
Ma spera di avere ragione
Per essere più precise spera che l’altra gli dia ragione
anche se ha torto
Mi sta mollando
Senza degnarsi di alzare lo sguardo per guardarmi negli occhi
Il dolore aumenta d’intensità sale dalla bocca dello stomaco irradia il mio petto
Scusa dopo tanti anni, è difficile, trovare le parole
Dovresti aiutarmi invece di restare impalata a guardarmi
Mi sta chiedendo di trovare le parole adatte, mi sta chiedendo di trovarle al suo posto
Chiede collaborazione per mollarmi, senza rimorsi, senza fatica
Come cambiare l’auto.
Oppure ha trovato un auto nuova.
Assolutamente no, cosa vai a pensare, ho soltanto voglia di stare un po’ con me stesso
Sempre che riesca a trovarlo (un cattivo pensiero che non verbalizzo)
Sono stata per anni con un guscio vuoto
Ho provato ha riempirlo
Amore
Passione
Cura
Relazione
Credevo di averci messo tutto l’occorrente
Ma è stato inutile
Come un parassita ha succhiato
quello che gli piaceva,
quello che gli serviva
Ora, ha trovato un’altra pianta, è pronto a ricominciare
Il dolore non si ferma più, ne ho intenzione di fermarlo
Dopotutto è il segnale che sono viva
Dicono si chiami istinto di sopravvivenza
Non piango perché Marco è andato via
Piango perché sono stata cieca, sorda
Illusa, onnipotente
Non credo sia colpa dell’amore
Ha più a che fare con ciò che ascolti, osservi, impari
Non ci sposiamo ormai non ha senso
Cosi domani se il nostro amore dovesse terminare
Ognuno sarà libero
Senza rancore
Senza inutili orpelli legali
Sorrideva accostando le sue labbra alle mie
Mi piaceva appoggiare il mio viso sul suo petto
Ascoltare il suo cuore
Mentre mi abbracciava, accarezzandomi
Non mi lasciare ti ho cercato per troppo tempo
Una donna come te non credevo esistesse davvero
E’ stata Elisa
Ha organizzare il nostro incontro
Meticolosamente
come Lei sa fare
Hai bisogno di un nuovo legame
Marco è la persona giusta
Sono sicura, fidati
Mi sono fidata
Ad Elisa non potevo dire di no
Avevo voglia di rimettermi alla prova
Con Paolo è finita male
Anche se ogni tanto ci sentiamo
Come vecchi amici che ormai non hanno più nulla da condividere
Non abbiamo condiviso molto, credo che alla fine
sia stato questo a provocare la rottura
Il mio stomaco borbotta
Vorrebbe qualcosa da mangiare
Si è fatto giorno
Un giorno senza luce
Di mangiare non se ne parla, rassegnati
Arrivare alla cucina, trovare qualcosa da mettere sotto i denti
Un impresa epica, oggi non è alla mia portata
Domani, forse
Mia madre è stata cinquant’anni con lo stesso uomo
Era un’altra generazione di donne che sapeva tenersi stretta
I propri uomini
Una generazione coraggiosa
Anche se non so quasi niente della relazione tra mia madre e mio padre
Mia madre era una donna riservata
sosteneva che l’intimità appartiene alla persona
Sono una cosa sola
Tuo padre è un brav’uomo, questo diceva
Era vero, ho avuto un padre affettuoso, taciturno, ma affettuoso
Paolo non gli è mai piaciuto
Sfuggente troppo sfuggente, come se avesse qualcosa da nascondere
Non aveva torto mio padre
Gli uomini hanno sempre qualcosa da nascondere
Elisa si arrabbia se le dico che anche Riccardo ha qualcosa da nascondere
Non è vero Riccardo è un libro aperto!
Da sempre
E’ questo il motivo del suo fascino
Allungo il braccio
Nella parte del letto, vuota
Una coltellata in petto
Il dolore diventa acuto, sordo
viscerale
Insostenibile
Sudo
Piango
Lo stomaco non borbotta, urla
Non lo ascolta nessuno
Ma quando il nostro rapporto si è arenato?
Osservi un oggetto esteriormente sembra intatto, ma dentro è marcio
Non si sentiva puzza di marcio, però
Magari la puzza di marcio è inodore
Non la senti avanzare, logorante, lentamente, logorante
Dovevo essere più attenta
Dovevo essere più comprensiva
Dovevo essere più accomodante
Non comunichiamo più
Arrivederci e grazie (non lo ha detto)
Gli uomini non dicono mai grazie
Si prendono quello che gli serve
Gli è dovuto
Si prendono quello che gli serve anche se non è dovuto
Si prendono quello che gli serve è basta
Sono abituati cosi
Noi gli abbiamo abituati cosi
Elisa sostiene che questi sono pensieri strampalati
Ogni relazione ha la sua dose di rischi anche quella tra uomini e donne
I tuoi sono pensieri tardo femministi
Un retaggio, la scoria di un’altra epoca
Ha ragione Lei, ha ragione anche mia madre
Chi nasce tondo non può morire quadrato
Prendere o lasciare
Ho preso
Sono stata lasciata
Morto un papa se ne fa un altro
Quando sono triste divento banale
Dovrei arrabbiarmi
Ho bisogno di arrabbiarmi
La rabbia è un sentimento utile alla sopravvivenza
Non dovevo restare ad ascoltarlo
dovevo tirargli un cazzotto allo stomaco
ho un calcio negli stinchi
Vaffanculo!
Stronzo!
Forte e chiaro
Invece
Sarà stata l’educazione piccolo borghese
l’auto controllo degli istinti, ma ho cercato di ragionare
Se lo avessi mollato io, sarebbe andato su tutte le furie
Come Paolo che ha riempito di urla il salotto
Non voleva la rottura si era accomodato
Lui era Ulisse, io Penelope
Pensavo che Ulisse mi prendesse a sberle
non riuscivo a muovermi
ero paralizzata dalla paura
Io non ho mai avuto paura
Non sapevo cosa fare
Ho cercato istintivamente qualcosa per difendermi
Non ne ho avuto bisogno, per fortuna
Mi gira la testa
Ho gli occhi serrati e nessuna voglia di aprirli
Dovrei vomitare, credo
Ma provo a resistere
Mi fa schifo ho sempre odiato vomitare
Solo una volta ricordo, ma fu a causa di una sbronza
Memorabile
Per festeggiare la promozione di Marco
Non stava nella pelle
Diceva che era tutto merito mio
Senza di me avrebbe rinunciato
Sono stata io ha dargli forza
Puzzo di sudore
Sudore e dolore
Elisa aveva le chiavi di casa
Ha provato a telefonare
insistentemente
Senza avere risposta
E’ corsa in auto
Non lo sentita entrare
Credo vinta dal sonno
Ho sentito il calore
Della sua mano nella mia
Mentre mi rimboccava le coperte
Stendendosi accanto a me
Non andate via
Non fate rumore
Provo a chiudere gli occhi
Domani è un altro giorno.
Diario
Dedicato a mia figlia Elisa
La Terrazza
Il sole, lentamente, abbandona il campo, lasciando spazio al progressivo avanzare della notte.
La foschia cresce inesorabile, accarezzando ogni cosa, come un sottile velo bianco, attraversato dai raggi di
luna che, faticosamente, provano a farsi strada nella spessa coltre.
La osservo salire inghiottendo tutto ciò che incontra lungo il cammino, come un predatore affamato, mentre
gradualmente si riduce lo spazio di visione, fino a confondere vero e falso, reale e immaginato.
Fantasmi deformati dalla sua indolente avanzata, gli alberi in lontananza, rassegnati, ormai, a lasciarsi
ingoiare fino a sparire, cosi come il mite e solitario lampione e la tenue luce destinata all’oblio.
La terrazza è la nostra, illusoria, ancora di salvezza.
Giro, giro tondo casca il mondo casca la terra tutti giù per terra.
Casca la Terra? Speriamo non cada la luna stasera. Se ne sta in alto fissa nel cielo a guardarmi.
Assomiglia a un grande lume, acceso. Speriamo non si spenga.
La maestra ci ha raccontato di un astronauta americano che ti ha raggiunta con un razzo e poi ha camminato
sopra di te, portandosi via dei sassi, non credo per restituirteli.
Sei arrabbiata?
Lascia perdere non ne vale la pena. I grandi sono arroganti e se ti portano via qualcosa che gli piace, non te
la restituiscono
Ciao luna torno dentro mi sono stancata di sfidare le zanzare
In terrazza, infatti, è l’ora della zanzare, arrivavano a flotte, squadriglie ordinate e organizzate pronte ad
azzannarti, tutte insieme.
Anche io e Luca, però, ci siamo organizzati, con la bomboletta di DDT in mano, pronti a far fuoco,
inutilmente.
Serve soltanto a disperdere la squadriglia che presto si ricompone più aggressiva di prima.
Conviene arrendersi e tornare dentro in cucina a mangiare la cena
Uno, due, tre… Stella!
Una lunga fila di barattoli di varie dimensioni e forma.
Disposti sul muretto di mattoni, alcuni colmi di brecciolino, altri di sabbia e acqua.
Il muretto di mattoni è la nostra casa.
Il nostro davanzale con vista giardino, la nostra cucina, la stanza dove dormono i nostri figli.
Prepariamo da mangiare per i nostri mariti che non sono in casa, ma fuori al lavoro.
Torneranno tardi, stanchi, affaticati, con una fame da lupo e poca voglia di chiacchierare, meglio preparare
una buona cena.
Prima però dobbiamo pensare alla pappa per i nostri bambini.
Gioco con Lucia e Donatella, Luca è partito in bicicletta, andava da un suo compagno di classe a fare i
compiti.
I maschi sono impegnati in una partita a pallone.
Si sentono, in lontananza, le loro urla, come echi di una guerra lontana, nella quale ci saranno vincitori e
vinti.
Noi, prepariamo una vera cena, primo, secondo e frutta con l’orecchio proteso verso i nostri neonati, pronte
ad intervenire all’occorrenza.
Tutto ciò che ci serve è in ordine sul muretto, non manca niente per preparare una buona cena.
Donatella è ai fornelli, gira con un piccolo bastoncino di legno l’impiastro di sabbia e acqua, mentre io e
Lucia apparecchiamo la tavola.
Sento Trilly piangere, mi sposto per prenderla in braccio prima che svegli gli altri neonati
“La pappa è pronta”, ci avvisa Donatella.
Io e Lucia prendiamo i bambolotti in braccio, Donatella versa l’impiastro di sabbia e acqua in due barattoli
più piccoli.
“Mangia tutto e non fare i capricci”, con un cucchiaino di plastica imbocco Trilly che non ha nessuna voglia
di mangiare.
Provo a cantarle una canzoncina, le racconto una favola, mentre Lucia sta legando il bavaglino alla sua
sorridente Sbrodolina.
Certo ci vuole pazienza.
Penso a mia nonna e a mia madre che di pazienza ne hanno molta, tutte le volte che invece di mangiare mi
diverto a bisticciare con Luca.
La sera, soprattutto, quando, mia madre, torna stanca dal lavoro e nonostante le raccomandazioni di mia
nonna, io e Luca ci scateniamo iniziando a ridere e a fare boccacce, invece di mangiare.
Fino a quando mamma, esausta, non perde la pazienza mollando qualche ceffone, in genere sulla faccia di
Luca che non capisce mai quando è ora di piantarla.
“Uno, due, tre stella”, Donatella di spalle con la faccia appiccicata al muro, si gira di scatto non appena
terminata la frase.
Devi restare immobile non muovere un muscolo se ti becca in movimento hai perso e vai sotto.
Se sei brava, è arrivi a toccare il muro senza farti beccare, hai vinto.
Abbiamo cambiato gioco ci siamo stancate di pappe, bambolotti da accudire e mariti da servire.
On The Road
Siamo in sei nell’auto di mamma, ferma sotto casa, l’ho convinta a lasciarmi giocare.
Qualche volta mi lascia guidare, seduto sulle sue ginocchia manovro il volante.
Anche adesso sono alla guida al mio fianco Camilla e Lucia.
Sedute dietro, Donatella, Francesca e Roberto, fuori appoggiati al palo della luce, Nicola e Massimo ci
guardano perplessi.
“Dove andiamo ?”, chiedo
“In un posto lontano, dove nessuno ci può raggiungere”, è Camilla con la faccia appoggiata al finestrino
intenta a comporre strane smorfie dedicate a Nicola.
“Nessuno, neanche la mamma e la nonna ?”, Camilla gira la testa verso di me
“No, neanche la mamma e la nonna”
“Signore e Signori si parte”
Dal finestrino salutiamo la nonna, la sig.ra Paola e Giuseppe, con gli occhi lucidi, in piedi sul marciapiedi.
La nostra casa con le finestre sbarrate, i balconi sgombri e le piante lasciate in affidamento alla signora
Paola.
Tra poco un grosso camion giallo verrà a ritirare i nostri mobili, lasciando in pegno i nostri ricordi.
Nella piccola auto stipata di bagagli, la mamma alla guida, io al suo fianco, Camilla con la faccia schiacciata
sul lunotto anteriore muove velocemente la mano.
E’ l’ultima a smettere di salutare la nonna.
La mamma non sembra preoccupata del lungo viaggio anche se non ha mai guidato cosi a lungo.
Non vedeva l’ora di partire, sarebbe partita, anche, a piedi o a cavallo.
“Quando ci fermiamo per una sosta”, chiedo
“Ma siamo appena partiti, vuoi già fermarti?”
“No, mamma voglio solo sapere quale sarà la prossima sosta, per cercarla sulla cartina”
Nicola e Massimo stanchi di reggere il palo, chiedono di entrare in auto, Camilla apre lo sportello,
spostandosi per farli entrare.
Finalmente si parte!
Destinazione sconosciuta, perché non siamo riusciti a mettersi d’accordo su quale città visitare.
Guido con gli sportelli aperti, un piccolo aeroplano in volo sulle case del quartiere
Oltre, verso il cielo azzurro, infinito, alla ricerca di un posto sconosciuto.
Ritorno al Futuro
Tutto è cambiato.
Sono in fila al semaforo.
Il mio semaforo che ho attraversato centinaia di volte a piedi e in bicicletta.
Ci sarà ancora il campetto davanti alla scuola ? Lo cerco con gli occhi, ma la vista si perde nella
lunga e caotica fila di macchine in attesa di transitare.
Sembrano un formicaio impazzito.
Del campetto non c’è traccia forse è sparita anche la scuola.
E’ scattato il verde, spinto da un misto di emozione e curiosità, decido di svoltare.
Ho un’inaspettata voglia di uscire dal presente
Le palazzine di mattoni rossi e i baci di Alessandra, i compiti erano una scusa.
A scuola non insegnano come baciare
certo non sarebbe male una lezione sul bacio: teoria, pratica e compiti a casa.
A casa di Alessandra mentre la madre è in balcone a stendere i panni.
“Avete fatto i compiti ?”
“Certo signora stiamo ripassando”
Perché, si sa, un bacio tira l’altro.
La vecchia fabbrica ormai in disuso,
vuota, inanimata, un vecchio rudere abbandonato e pieno di polvere.
Svolto di nuovo anche se non sono sicuro di aver imboccato la strada giusta.
Ho svoltato istintivamente trascinato dalla forza di vecchi ricordi
come quando apri il vecchio album di famiglia
fotografie in bianco e nero, nelle quali sei ritratto in braccio ai tuoi cari.
Memoria viva che vede, senza avere la vista.
Un grosso cartellone rettangolare con la scritta “rallentare edificio scolastico” si insinua come un
cuneo bloccando il flusso dei ricordi, riportandolo, per un istante, al dato di realtà.
Ma è solo un attimo, il flusso dei ricordi riprende a scorrere come un torrente in piena.
Sul campo incolto che attraversavamo per arrivare allo stagno, alla ricerca di girini e rane, è stata
costruita una scuola provvista di un comodo parcheggio.
Vorrei fermarmi, parcheggiare, proseguire a piedi, ora che sono arrivato di fronte alla palazzina
nella quale abitavo.
La striscia verde, sotto la mia terrazza, è un mucchio sporco di erbaccia incolta
Al posto della montagna di ghiaia, dove Roberto si arrampicava con la bicicletta, c’è una piccola
palazzina quadrata difesa da bianche mura.
Cosi bianche da accecarti alla luce del sole.
Allungo lo sguardo alla ricerca del campetto di calcio, riconosco le due palazzine
ma non vedo più le due porte di legno e le righe bianche che delimitavano il campo.
Alzo gli occhi al cielo per cercare la mia terrazza di cui osservo il perimetro esterno.
Istintivamente, abbasso lo sguardo cercando il muretto di mattoni
Il cortile nel quale giocavo e l’angolo nel quale disegnavamo la campana.
Osservo soltanto una serrata fila di auto parcheggiate e un mattonato nuovo e splendente.
La “Villa” è sempre lì, tranquilla, indifferente, orgogliosa del suo orto e del suo ordinato giardino
Sembra disabitata.
Il negozio d’alimentari ha lasciato il posto a due serrande scolorite e chiuse.
Sorrido, osservando le strade amiche sulle quali ho corso, a piedi e in bicicletta, centinaia di volte.
Anche la piccola chiesetta è sparita, sostituita da due palazzine gemelle.
Alle mie spalle, in lontananza, è visibile un grattacielo
un grosso artiglio d’acciaio, proteso verso il cielo
Sono aumentate
le auto in sosta
la confusione
il rumore.