21 marzo

Che ne sarà di questa primavera
Di questi giorni sempre più sospesi?
Mentre oramai scende solo la sera
E il nero e il grigio già si sono accesi?
Lì sul balcone splende una camelia
Col suo brillante e tenero colore
Mi pare che sorrida, e poi per celia
Ritorna a risvegliare il mio dolore.
Che ne sarà dei sogni preparati
Quando non si parlava che di feste
Sulla tavola ricca, noi abbracciati
Ascoltavamo tutte le richieste.
I bimbi organizzati per i giochi
I progetti, le corse a perdifiato
I suoni ora assordanti, ora fiochi
E il discutere sempre accalorato.
Eravamo felici ma scontenti
Tutto il mondo sembrava poca cosa
Ci mancavano sempre gli argomenti
La risata non era coraggiosa.
Ora ci manca l’aria e l’allegria
I morti vanno sempre in carovana
Non c’è più tempo per la fantasia
Lo senti? Sta suonando la campana!

 

 

 

2020

Che scherzo ci ha fatto la vita quest’anno! Avevamo appena riposto la tovaglia di Natale, rimesso i pastori nelle scatole, conservato e lucidato gli addobbi e salutato con entusiasmo questo nuovo anno tondo tondo che si era appena affacciato. Chi più, chi meno aveva poi affidato al 2020 le speranze per la riuscita di un’impresa, per un lavoro soddisfacente, per quella lotteria da poter vincere, per quel traguardo da raggiungere. Sì perché l’anno nuovo, che poi magari è uguale al vecchio, porta sempre con sé quel pizzico di magia, come se un incantesimo potesse realizzare tutti i sogni e allora via ai desideri con la stessa intensità con cui i piccoli credono alle fate, ai folletti, ai maghi…
Poi i giorni passano, poco o niente cambia, e noi continuiamo la routine pensando alle prossime tappe di svago , la Pasqua, la primavera, l’estate, magari un poco delusi e forse, ci sentiamo dentro un ingranaggio, ma andiamo avanti attraversando quelle piccole grandi cose che la vita ad ogni passo ci regala: una sorella che condivide con te il passato, un amico, un sorriso, i figli da visitare, i bimbi da coccolare, una chiacchierata intorno ad un tavolo, una passeggiata, un abbraccio… già, un abbraccio… tutte cose che diamo per scontato e a cui attribuiamo un momentaneo e fugace valore. In fin dei conti cos’è un abbraccio? Ne abbiamo dati tanti, ne abbiamo ricevuti tanti, ci abbiamo messo calore, ci abbiamo messo tepore, ci abbiamo messo indifferenza o fastidio, in quel gesto banale, consueto, poche volte intriso di commozione…
E poi la vita all’improvviso ha alzato sul nostro quotidiano un suo terribile cartello: STOP!
D’un tratto intorno a noi si è fatto silenzio, quello più angosciante, il silenzio della morte. Come frutti maturi e immangiabili sono cadute tutte le nostre certezze e i gesti quotidiani, le azioni più semplici hanno richiesto la necessità di una regolamentazione per legge. La spesa, la passeggiata, l’incontro con le amiche, con i fratelli, con i figli, il lavoro, la palestra, i corsi di svago, una corsa in auto, tutto è diventato vietato, proibito per la salvaguardia della vita di ciascuno di noi. Poi i nostri sorrisi sono spariti dietro una mascherina che ci impedisce di vedere per intero il volto di colui con cui parliamo, ovviamente da lontano, perché occorre rispettare il distanziamento sociale. E negli ospedali centinaia e centinaia di persone muoiono da sole…il virus non perdona… e dalle case di riposo sparisce una intera generazione, quella delle nostre radici, gli anziani ormai abbandonati perchè si sceglie il giovane che ha la vita intera da vivere… tu hai già vissuto, sei vecchio, puoi andartene senza troppi rimpianti da parte nostra, da parte di una società che deve pensare al futuro. Tu sei il passato, un passato che magari ha contribuito a questa società, ma è tempo che ti faccia da parte, via, non abbiamo più bisogno di te…E così se ne vanno nonni, padri, fratelli, maestri e amici nel silenzio delle città, senza preghiere, senza funerali, senza accompagnamenti, gettati magari in fosse comuni, perché sono tanti, troppi per poterli riconoscere senza i parenti stretti, se ne vanno trasportati da camion militari, in un’altra città…non c’è posto nemmeno nei cimiteri… muore con loro anche la dignità della persona! E il quotidiano si tinge di difficoltà e ci impedisce pure di piangere chi se ne va, perché dobbiamo fronteggiare l’infezione, dobbiamo sanificare tutto, ambienti, abiti, scarpe, buste della spesa, libri… dobbiamo accontentarci di fare spesa on line e pazienza se volevi gli spinaci e ti arrivano le carote, se volevi il sapone ma è arrivato il dentifricio, ti devi accontentare…quando poi tutto tornerà alla normalità, sarà diverso…
La normalità! E quando? Ma poi cos’è la normalità? Quella che davo per scontato? Quella che mi faceva sbuffare? Ora sì che la vorrei! Vorrei stringere ogni mano che incontro, abbracciare tutti, entrare in un bar per un caffè espresso con un amico, entrare in un negozio e misurarmi un vestito per questa estate negata…vorrei, vorrei che tutto tornasse come prima, ma so che il mio tempo è ormai finito e nessuno potrà mai restituirmi questi giorni. In futuro un libro di storia narrerà di questa pandemia, ma non potrà mai raccontare la storia di questa nostra vita sospesa, stesa ad asciugare al vento dell’angoscia e flagellata dalle delusioni.

 

 

 

Maestrale e i cavalli fatati

In un paese lontano lontano vivevano un re e una regina che abitavano in un castello tutto d’oro, con delle sale magnifiche piene di affreschi dorati, arredi con pietre preziose e una stupenda scuderia con trenta magnifici cavalli, bianchi e neri. I cavalli erano di razza, fieri e docili al tempo stesso e sapevano correre, saltare ostacoli e galoppare nel recinto. Ma ce n’era uno in particolare che era veramente unico: nero come il carbone ma con una macchia bianca sulla fronte, era più veloce del vento. Si chiamava Maestrale perché, mentre correva sollevava un vento gelido che scuoteva gli alberi e le foreste. Il re e la regina lo amavano molto ed erano felici di possedere quello stupendo animale, ma purtroppo avevano un grande dolore: non avevano avuto figli e ne avrebbero voluti almeno tre.
Un giorno il re si recò a caccia sul suo Maestrale e correva veloce nella foresta. Ad un tratto vide un magnifico cervo fermo tra gli alberi che non si era accorto del cacciatore in agguato; il re fermò il cavallo, scese a terra e puntò il suo fucile, pronto a sparare al cervo, ma improvvisamente il cervo si mise a parlare e gli disse: “Ti prego, non uccidermi, e io esaudirò un tuo desiderio”. Il re restò colpito da queste parole e abbassò il fucile, proprio nell’attimo in cui il cervo scompariva nella foresta. “Che stupido – pensò il re – come potevo pensare che un cervo poteva esaudire un desiderio?” e triste ritornò al castello, dove raccontò ogni cosa alla regina, che lo consolò tanto, ma anche lei andò col pensiero a quei bambini che avrebbe desiderato avere.
Dopo qualche giorno il re, con Maestrale, ritornò a caccia e, all’improvviso, vide su un albero, fermo, uno stupendo germano reale, con il suo bellissimo collo verde. Il re puntò il fucile, stava per sparare quando l’uccello gli disse: “Ti prego, non uccidermi, e io esaudirò un tuo desiderio”. Ancora una volta il re si fermò e il germano reale volò via velocemente. “Che stupido – pensò il re – come potevo pensare che un uccello poteva esaudire un desiderio?” e triste ritornò al castello, riferì alla regina e, insieme, pensarono a quei bambini che non avevano.
Qualche tempo dopo, il re con il suo Maestrale, ritornò a caccia, deciso a non farsi impietosire da nessun animale. Così andò alla ricerca delle lepri e, all’improvviso, ne vide una ferma vicino alla sua tana; il re prontamente puntò il fucile e, proprio mentre stava per sparare, la lepre disse: “Ti prego, non uccidermi, e io esaudirò un tuo desiderio”. Il re abbassò il fucile di colpo e la lepre filò via più veloce della luce. “Che stupido – pensò il re – come potevo pensare che una lepre poteva esaudire un desiderio?” e ancora una volta tornò triste dalla sua regina più triste di lui. Ma il destino ormai si era messo in moto. Il giorno dopo il re e la regina andarono nella scuderia per fare una passeggiata, quando, all’improvviso, furono circondati dai trenta cavalli che scalpitavano sui zoccoli, mentre Maestrale si mise a parlare e disse: ”Mio re e mia regina, tu ci hai sempre trattato bene e noi ora possiamo ricambiare perché tu hai salvato da morte certa il cervo fatato, il germano fatato e la lepre fatata. Vedi, ora noi sappiamo parlare e li aiuteremo a mantenere le promesse che ti hanno fatto. Mandaci in giro per il regno e noi ti faremo avere tre figli come desideri.” Detto fatto tutti i cavalli partirono al galoppo con a capo Maestrale che li incitava a correre veloci come il vento! Arrivati in una foresta i cavalli si divisero in tre gruppi di dieci e ogni gruppo andò in diverse direzioni, mentre Maestrale, che era più veloce degli altri, li precedeva in tutto il regno. Il primo gruppo si recò nella foresta dei cervi, tutta intricata, con alberi frondosi e radure bagnate dai ruscelli. Lì incontrarono il re dei cervi che attaccò alla criniera di un cavallo, una pigna piena di pinoli gialli e verdi. E il gruppo ripartì veloce e rapidamente giunse da Maestrale che aspettava al limitare del regno. Lo stupendo cavallo nero prese tra i suoi denti la pigna e subito partì al galoppo per ritornare dal re e dalla regina che ansiosamente aspettavano, mentre i cavalli intanto ritornavano alla loro scuderia. “Maestà, ecco la pigna magica con i suoi pinoli gialli e verdi, – disse Maestrale- dono del re dei cervi. Ora la regina dovrà mangiarli tutti, dopo averli cucinati con le sue mani e poi deve aspettare perché qualcosa succederà. Io scappo nel frattempo perché devo raggiungere il secondo gruppo” e se ne andò veloce come il vento. La regina subito si recò nelle cucine e preparò una minestra di pinoli, la mangiò tutta e di colpo si addormentò. Dormì sette giorni e sette notti, ma quando si svegliò, accanto a lei c’era un bimbo bellissimo con gli occhi azzurri e un sorriso fantastico, con i capelli tutti ricci, un po’ gialli e un po’ verdi, molto intricati come una foresta. Aveva circa dieci anni e subito disse :”Mamma, papà, vi ho cercato tanto ma vedevo solo cervi e foreste. Ora non ci lasceremo più!”. Non vi dico la felicità di quei poveri genitori, che non credevano ai loro occhi: avevano finalmente un figlio, bellissimo, dolce e buono!
Il secondo gruppo di cavalli, nel frattempo si era recato ancora più lontano, oltre il mare, nel paese dei germani reali, e lì venne loro incontro il re dei germani che affidò loro una bellissima piuma verde, lunga e folta con sfumature rosa e lilla. E il gruppo ripartì veloce e rapidamente giunse da Maestrale che aspettava al limitare del regno. Lo stupendo cavallo nero prese tra i suoi denti la piuma e subito partì al galoppo per ritornare dal re e dalla regina che ansiosamente aspettavano, mentre i cavalli intanto ritornavano alla loro scuderia. “Maestà, ecco la piuma magica con le sue sfumature verdi, rosa e lilla, – disse MAESTRALE – dono del re dei germani. Ora la regina dovrà cucire questa piuma senza farla rompere su un bellissimo abito che poi dovrà indossare e poi deve aspettare perché qualcosa succederà. Io scappo nel frattempo perché devo raggiungere il terzo gruppo” e se ne andò veloce come il vento.
La regina subito si mise all’opera, cucì in modo perfetto la piuma, indossò l’abito e poi si addormentò. Dormì sette giorni e sette notti e al suo risveglio – oh meraviglia – una stupenda bambina di sei anni, la guardava con i suoi occhioni verdi brillanti: “Mamma, papà, vi ho cercato tanto ma vedevo solo germani, cieli e laghetti. Ora non ci lasceremo più!” potete immaginare la gioia infinita di quei genitori che finalmente avevano anche una figlia bellissima con occhi verdi e capelli lisci e lucidi sfumati di rosa e lilla.
Il terzo gruppo di cavalli, nel frattempo si era recato ancora più lontano, oltre le montagne del regno ed era giunto nel paese delle lepri, e subito era stato ricevuto dal re delle lepri che, con grande solennità, aveva affidato loro un leprottino piccino piccino, con grandi orecchie dorate e un musetto bianco delizioso. E, subito dopo, il gruppo era ripartito veloce per giungere da Maestrale che aspettava al limitare del regno. Lo stupendo cavallo nero prese tra i suoi denti il leprottino e subito partì al galoppo per ritornare dal re e dalla regina che ansiosamente aspettavano, mentre i cavalli intanto ritornavano alla loro scuderia. “Maestà, ecco un leprottino piccino piccino, – disse Maestrale – dono del re delle lepri. Ora la regina dovrà preparare una culletta azzurra, metterci il leprottino e andare a dormire e poi deve aspettare perché qualcosa succederà.” Detto questo Maestrale ritornò nella sua bella scuderia dove lo aspettavano i trenta cavalli ormai tutti rientrati.
La regina subito si mise all’opera, preparò una bellissima culletta, vi adagiò il leprottino e poi si addormentò. Dormì sette giorni e sette notti e al suo risveglio – oh meraviglia – uno stupendo bambino di due anni, che la guardava con i suoi occhioni neri e marrone: “Mamma, papà, – ma si capiva poco quello che diceva perché era ancora piccino – vi ho ceccato tato ma c’elano tolo motagne e lepotti…Ola taremo sempe nzieme…!”
La famiglia ormai era completa: il re e la regina con Cervino, Germana e Leprotto! La loro felicità era alle stelle: finalmente il loro bellissimo castello ora poteva riempirsi di risate, di allegria e di tanti tanti piccoli amici! E da quel giorno, insieme con i cavalli fatati e il loro splendido capo Maestrale, vissero tutti felici e contenti.