Dialogo col mio fantasma preferito

“Non hai mai avuto niente” gli dissi.
“ti sbagli, amico mio, una volta ero un re!
Un re e un soldato e sono morto difendendo il mio regno.
Alla fine i ribelli hanno vinto.
Mi hanno sconfitto e ferito sul campo,
mi hanno violentato, torturato, umiliato.
Mi hanno picchiato fino ad ammazzarmi e poi
mi hanno defraudato di ogni mio bene.
Ridevano, hanno riso del mio corpo esposto sulla via maestra,
il corpo di un cristo qualunque,
che servisse da monito ai viandanti!”
“non ti credo”
“eppure è andata proprio così”
“dov’era il tuo regno? Puoi descriverlo per me?”
“Un luogo incantato fra le colline e il mare.
Una pianura immensa coltivata a grano che all’alba brillava come l’oro.
Vitigni sterminati ricoprivano le colline
e rose selvatiche ne costeggiavano i sentieri.
In fondo poi c’era un mare poco profondo color verde smeraldo.”
“vorrei vederlo” dissi
“guardalo allora, è proprio li davanti ai tuoi occhi!”
davanti a noi c’era una vecchia casa e una ragazza dai capelli rossi che scendeva le scale.
Il mio fantasma preferito mi guardo’ e mi sorrise.
La indico’ sospirando
“era lei il mio regno”.


El Curandero

Bruno da ragazzo era un casino,un ribelle e uno squattrinato. Era nato in una famiglia semplice ma, pur sempre, una buona famiglia. Sua madre era una casalinga e suo padre faceva l’operaio. Si era diplomato a diciott’anni e la sua curiosità lo spinse a studiare musica e a leggere moltissimo ma niente avrebbe potuto tenerlo fuori dalla strada. Il richiamo del ghetto è forte e anche se hai studiato, anche se sei intelligente non c’è modo di non starlo a sentire.
A vent’anni Bruno escogitò un sistema per contrabbandare cocaina dal Messico all’Italia e fare un mucchio di soldi. Il sistema era semplicemente perfetto per quello che riguardava il trasporto e la vendita, quello che però il suo sistema non poteva prevedere in nessun modo era la debolezza del consumatore. E così altri ragazzi di vent’anni provenienti da altre strade, in pochi mesi, risalirono a lui e lo arrestarono. Dopo aver ottenuto tutti i dettagli del caso lo denunciarono e gli sequestrarono tutto il denaro che avevano trovato, poi fissarono una data per il processo ma, considerandolo una testa di cazzo lo lasciarono in libertà fino alla data dell’udienza. Per un ragazzo brillante come lui fu facile organizzare un rapido espatrio ed è proprio qua che ha inizio la sua storia.
L’avvocato gli disse che doveva stare all’estero per almeno cinque anni e Bruno scelse di andare in Messico. C’era già stato in vacanza e proprio durante quel periodo conobbe quelli che sarebbero stati gli spedizionieri della “merce” in questione. Pensò che dopo quella storia lo avrebbero aiutato ma…si sbagliava di brutto. Arrivò a Tijuana con pochissimi soldi, non ricordo quanti ma so che erano veramente pochi, comprò una moto scassatissima e si mise in viaggio per il sud del paese dove avrebbe potuto lavorare con gli italiani che in quella zona erano numerosi. Doveva percorrere tutto il Messico……. si fece coraggio e iniziò il viaggio.
Sulle montagne le strade erano dissestate ma il deserto pietroso era uno spettacolo unico. Bruno era solo e triste, aveva salutato mamma e papà in fretta e aveva lasciato loro soltanto una lettera, sincera, che spiegava tutta la storia e i vari casini.. Avrebbe telefonato al più presto ma sapeva di aver spezzato il cuore a tutti. Anche lui si sentiva uno stronzo e non si dava pace ma oramai non poteva farci più niente. Dopo due giorni di marcia il motore lo abbandonò. Era in mezzo al deserto. Camminò per ore alla ricerca di un centro abitato ma, a parte cactus e pietre, non c’era un cazzo di niente. Nel suo zaino c’era qualcosa da mangiare così accese un fuoco e aprì il sacco a pelo e si preparò per la notte.. Sognò di essere a casa, sognò sua madre che cucinava un fantastico arrosto di maiale, sognò suo padre che stava per portarlo allo stadio a vedere la partita. Il sogno era perfetto.
Al mattino faceva così freddo che quasi non sentiva i piedi, aprì gli occhi e vide davanti a lui un uomo sui sessanta con lunghi capelli grigi che fumava uno spinello e lo guardava. “buon giorno viaggiatore, hai freddo?”
“Moltissimo”. Bruno parlava lo spagnolo perfettamente. “sono italiano. Mi chiamo Bruno”.
“io sono Miguel. Come mai sei qui?”
“sono diretto a sud.”
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“Non ti ho chiesto dove stai andando, ragazzo, ti ho chiesto cosa ci fai qua in mezzo al niente”
“E’ per via della moto. Si è rotta.”
“E hai camminato!”
“Si”
“Se rimani qua da solo muori, lo sai?”
Bruno lo fissò e abbassò la testa poi disse “lo immagino”
“Alzati Bruno, vieni con me, sarai mio ospite. Risolveremo per la moto….per il resto amico mio dovrai fare da solo”.
Si misero in marcia. Ogni tanto Miguel raccoglieva qualche erba. Indossava stivali fatti a mano e vestiti di pelle. Aveva un cappellaccio calato sugli occhi e fumava continuamente. Dopo qualche ora arrivarono a casa di Miguel. Era una casa di pietra, fuori, appese a dei pali di legno, c’erano pelli di serpente messe a seccare e vari teschi di vari animali. “fai l’imbalsamatore?” chiese . Il vecchio scoppiò a ridere “no…io sono un curandero amico mio.”
“Quali malattie curi? Sei un dottore?”
il vecchio rise di gusto “Non curo malattie, ragazzo, curo le anime perdute. Parlo con il vento e lui mi dice come sanare l’anima che sto curando. Forse aiuterò anche la tua!”
“la mia?”
“certo. Il vento mi ha detto che c’era uno straniero che si era perso sulle alture, per questo sono passato. Vuoi della tequila?”
“grazie, si. E cos’altro ti ha detto di me il vento? “
“che stai scappando e che non puoi tornare a casa. Ha detto che non hai ne soldi ne amici e che non sai dove andare. Mi ha anche detto che non posso guarire la tua anima perchè solo tu puoi farlo ma mi ha anche detto che, se saprai ascoltare, io ti potrò dire cosa fare e tu sosì guarirai. Quando sarai guarito, solo allora tornerai a casa!”
Bruno non aveva molta scelta ma il vecchio Miguel sembrava essere amichevole e così decise di fidarsi e di ascoltarlo.
Il curandero viveva lontano dai paesi, la gente andava da lui per i suoi consigli e i suoi amuleti, lui in cambio riceveva galline, birra, vino, olio comunque mai soldi. Per quelli Miguel vendeva i suoi stivali fatti a mano oppure della marijuana ai rari turisti americani che passavano sulla mulattiera.
Bruno gli raccontò la sua storia ma prima di arrivare al clou del narcotraffico Miguel disse:”non dirmi del perchè gli sbirri ti cercano, lo so già…il vento, ricordi?”
Dopo una settimana a casa del vecchio, tra spinelli e bevute di tequila, Miguel disse che fra qualche giorno un suo amico sarebbe passato con un camioncino e lui gli avrebbe chiesto di far riparare la moto. “Andrai a Cancun. Li puoi comperare qualche amaca, prendere un pezzo di spiaggia e affittare le amache ai gringos. Ho pensato a questo business….quanti soldi hai?”
“circa 1000 dollari.”
“bene, puoi comprare il permesso dal capo della polizia, noleggiare le amache, vedrai
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non sarà difficile.”
Bruno gli disse che non conosceva nessuno a Cancun e che la vedeva dura.
“Non sarà difficile ti dico!”
Il giorno dell’arrivo di Alvaro, Bruno e Miguel si strinsero la mano e si salutarono. Miguel disse:” amico mio, domani prima di partire per Cancun torna qua in motocicletta e portami una bottiglia di mescal. Vai alla taverna di Maria. Ci saluteremo domani!”
La riparazione della motonon richiese un solo giorno ma bensì una settimana e quando tutto fu a posto Bruno andò alla taverna per la tequila. Quando seppe che la tequila costava così poco decise di comperare al vecchio una cassa intera poi fece ritorno alla casa di Miguel.
Dopo qualche ora di viaggio arrivò a destinazione e vide che il vecchio non era in casa. Entrò e posò la cassa di tequila sul tavolo. Trovò una busta col suo nome sopra..
“grazie della cassa amico mio, berrò tutte le bottiglie alla tua salute! Ne bastava una comunque! Sono dovuto scappare…il figlio di un mio amico sta male e io devo guarirlo. Adesso vai e fai come ti ho detto. Tutto andrà bene, il vento ti guarderà le spalle per me e mi informerà della tua vita. Adesso vai e buona fortuna!”
Bruno, un po’ triste, partì pensando a come cazzo il vecchio sapesse della cassa di tequila . “grazie,vecchio pazzo!”.
A sud le cose si misero a posto quasi subito. Telefonò a casa e all’avvocato. Iniziò a fare affari coi turisti americani e anche se non sguazzava nell’oro si sistemò bene. Faceva il bagno tutti i giorni, andava a pesca. I mesi e gli anni passarono abbastanza rapidi e anche se aveva nostalgia della sua famiglia si adattò bene. Si mise pure a suonare con una band del posto, insomma……vivacchiava.
Un martedì mattina ricevette la telefonata del suo avvocato che gli comunicava che poteva tornare a casa quando voleva. Il suo procedimento era andato in prescrizione e quindi aveva la chance di tornare in Italia da uomo libero. Comprò il biglietto lo stesso giorno. Prima di partire però decise di andare a salutare Miguel. I tre giorni di viaggio per raggiungere il suo eremo non potevano farlo desistere dal salutare l’amico che più di tutti lo aveva aiutato. Comprò una cassa della miglior tequila e decise di regalarla al vecchio: l’ultima sbronza messicana col re del vento.
Quando arrivò alla casa Bruno si accorse che era disabitata da tempo. Entrò ma non vide niente. Al suo interno non c’era più nulla. Pensò un po’ e decise di andare alla taverna di Maria a chiedere notizie di Miguel.
Quando arrivò la taverniera lo accolse con un abbraccio caloroso e gli diede un bacio in fronte. “Miguel è morto l’anno scorso. Mi ha lasciato una busta per te. Sapevo che prima o poi saresti venuto qui a cercarla e così l’ho conservata.” frugò sotto al bancone e gliela porse. Bruno si sedette e la aprì. Dentro c’era una lettera e una collana di ossicini strani e un pendaglio fatto con dei sonagli di serpente.
“Amico mio, grazie di avermi portato la tequila….purtroppo non la posso più bere. Ah
quanto mi sarebbe piaciuto ubriacarmi ancora con te ma sai, quando il vento ti chiama, beh, non puoi proprio fare finta di niente ah ah ah ah! Porta con te il mio amuleto, ti proteggerà e non avere mai più paura, il vento dice che sei guarito e che non ti ammalerai mai più! Buon viaggio, Miguel.”
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Sapete perchè ho scritto questa storia? Per due motivi, primo perchè quando l’ho sentita mi è piaciuta e, secondo, perchè è vera!


“Negri, Birra e Pollo fritto”

Quando ero più giovane mi innamoravo ogni dieci minuti. Semplicemente camminando per strada, soprattutto a primavera inoltrata o a inizio estate . Le strade di Trieste sono sempre state ricche di belle ragazze e questo fatto ha spesso alleviato il mio giudizio sulla mia città che secondo me non offre veramente un cazzo. Certo vivere in un luogo pieno di figa non è cosa da poco ma comunque non può neanche costituire una nota di merito. Le belle donne qua abbondano per via del mix di razze ed etnie diverse che da sempre sono presenti a Trieste, ciò non toglie che i triestini, me compreso, intendiamoci, sono una banda di teste di cazzo . Ma lasciamo perdere.
Mi innamoravo davvero, le guardavo passeggiare mentre mangiavano un gelato, le osservavo ridere e chiacchierare tra loro e dai loro particolari, dai loro più insignificanti dettagli cercavo di immaginare il loro carattere. Quella dev’essere una gran rompicoglioni, ah quella invece credo sia simpaticissima…..quella, beh quella si vede che le piace chiavare e così via. Mi costruivo un mondo immaginario dove io e la lei di passaggio eravamo una coppia e facevamo tutte le cose che si fanno in coppia. Questo succedeva ogni 5-10 minuti. Il problema è che non ho mai smesso. Poi mi facevo coraggio e andavo a fare delle avanches a una di loro, qualora riuscissi a starci un po’ assieme mi accorgevo che tutti i miei disegni mentali erano totalmente sballati. La simpatica chiavona era in realtà una gran rompicoglioni e quella altera e con la puzza sotto al naso era la pompinara migliore di tutte. Mah, non ho mai capito un cazzo di donne e probabilmente non ci riuscirò mai.
Le mie tecniche d’approccio erano sempre dozzinali, e dato che la femmina è nove volte su dieci più smaliziata del maschio, ho alternato grandissime figure di merda a successi totalmente fasulli. La vittoria del maschio in questo campo non esiste, credetemi, è sempre la femmina che decide, sempre. L’uomo in questo non conta un cazzo.
Ma tutto questo per dirvi che cosa? Niente….era solo un’ introduzione alla storia che volevo scrivere e, dato che trattasi di racconto breve, ho dovuto forzatamente riempire un foglio in più . Oltretutto non è che adesso mi metterò a cercare giustificazioni sui miei tempi narrativi con voi lettori, se non vi va come scrivo buttate il racconto nel cesso o usate queste pagine per pulirvi il culo o per lavare i vetri della vostra auto presa a rate, io me ne sbatto di quello che pensate di me e di ciò che scrivo, io per campare faccio il marinaio e per arrotondare faccio concerti rock….per cui…..
Avevo appena finito le prove con la mia blues band e io, Paulie e Donnie decidemmo di farci qualche pinta. Ero a London, avevo poco più di vent’anni e stavamo bazzicando dalle parti di Notting Hill molto prima del film che l’ha resa celebre. Quel posto secondo me è sempre stato una merda, sia prima che dopo il film, ma in ogni caso ci trovavamo in quella zona….e poi non era la mia band, io ero il cantante che il leader, il pianista (un gran rompiballe), aveva scelto. Era un gruppo di negri e io ero l’unico bianco e questo fatto mi inorgogliva non poco. Donnie e Paulie erano spassosissimi e mi avevano praticamente adottato. Paulie mi diceva come doveva vestirsi un vero bluesman e Donnie mi raccontava un sacco di barzellette oscene che io capivo al 40% . Entrammo in un pub enorme e ci sedemmo a un tavolo. A quel punto, dopo due o tre pinte il discorso deviò sul fatto che i negri sono dei grandissimi amatori e che possono fare sesso molto più a lungo dei bianchi o di chiunque altro. Sono convinto che tutto questo corrisponda a verità ma, per puro spirito contraddittorio iniziai a sfidarli. Dicevo loro che beh, sulle dimensioni non ci sono cazzi, ma sul resto niente e nessuno poteva competere con un amatore italico. Loro ridevano, erano più grandi di me e mi trattavano come si tratta una mascotte. Ero il loro cantante bianco e il loro amico un po’ strano, eh cazzo, come dargli torto! Dicevo che me ne sbattevo di quante chiavate può fare un negro perchè io ero un bianco colto e ingollavo tanto di quel viagra che avevo il cazzo quasi blu! Dicevo “baby, la mia donna la conosci no? E’ jamaicana! Ti sembra bianca? E secondo te perchè sta con me e non con uno dei fratelli? Amico su….ragiona….dici solo cazzate!” e loro ridevano come matti. Ad un certo punto l’alcol era il nostro dio e come tale ci comandava. Paulie mi buttò il fumo in faccia (ah i bei tempi del fumo nei bar) e mi disse “ Vinsent, bianco-arrogante-italiano-del cazzo, lo sai perchè siamo venuti qua?”
“No amico….pensavo avessimo sete”
“Beh non solo per quello. Senti Snowy -così mi chiamava la mia ragazza- ma tu l’hai vista la cameriera?” e me la indicò con il mignolo.
“Cazzo” dissi “che gran figa! Chi è?”
“E’ la fottuta cameriera,bello! Chi vuoi che sia. Senti noi negri qua stiamo cercando di uscire con lei da qualche settimana, ma lei niente. Tutti i clienti del pub vogliono scoparsela ma lei niente….capisci? Se sei così bravo con le donne perchè non ci provi tu, eh?”
“E perchè dovrei, scusa?”
“Scommetto che non ci sta neanche con te, cantante-bianco!”
“Si, anch’io la penso così” disse Don.
Ero fottuto: se non tentavo avrei dimostrato solo di essere un finto, uno che parla cazzate. Se tentavo avrei comunque fatto una figura di merda e loro due mi avrebbero preso per il culo per mesi con tutti i musicisti blues d’Inghilterra.
Mi feci coraggio e dissi “ E quale sarebbe la posta?”
Don strizzò l’occhio a Paulie e poi disse “se vinci stanotte paghiamo noi tutto quello che vuoi!”
“Poco” dissi “impegnatevi di più”
“Mmmh beh, facciamo così, se vinci stanotte ti paghiamo tutto e il prossimo ingaggio è tuo, io e Paulie al prossimo concerto non becchiamo niente…quello che becchiamo lo passiamo a te,ok?”
Feci finta di pensarci su e sibilai “e se perdo?”
Don si mise a ridere e guardò Paul “beh se perdi il conto del pub è tuo….ci accontenteremo!” e iniziarono a ridere avvolti dal fumo delle loro Marlboro.
“Ok! Ci stò!”
Non ero convinto per niente. Ero sicuro di fallire, chiunque avrebbe fallito. Trattavasi di gran figa, Miss Cath era mezza cinese e mezza inglese, mora con gli occhi a mandorla e un culo senza pari. Era truccata pochissimo e aveva un’aria seria, altezzosa. Lei sapeva di essere una numero uno e sapeva anche che tutti gli altri lo sapevano. L’unico che non sapeva un cazzo ero io : l’italiano sub normale.
Mi feci forza e cercai di pensare a qualcosa e così mi venne in mente un passo di un intervista di Vittorio Gassman mentre diceva ai suoi allievi di essere striscianti “siate servili se volete ottenere risultati a teatro! Striscianti, umili da fare schifo, leccate culi ecc ecc” e così, senza pensare, mentre Cath stava portando un vassoio di pinte vuote mi buttai in ginocchio davanti a lei. A mani giunte, a mo’ di preghiera le dissi “ Ti prego dimmi cosa posso fare per impressionarti!” . Lei mi guardò stupita e si mise a ridere in modo dolcissimo “ti prego di alzarti subito per favore….mi stai mettendo in inbarazzo!” ma continuava a ridere…tutto il pub guardava la scena. Scuotendo la testa
risposi “ No! Non mi alzo finchè non me lo dici!” . La gran figa, ridendo sempre un po’ di più, appoggiò il vassoio e si inginocchiò dicendomi “ come ti chiami?”
glielo dissi. “beh Vincent, la mamma non ti ha detto che alle signorine si regalano i fiori? Adesso alzati, ti supplico!” e io “che fiori?”
“se te lo dico poi ti alzi?”
“prometto!”
“Rose, Vince, a me piacciono molto le rose”
Mi alzai di scatto e corsi fuori dal pub, era quasi sera e andai nel primo negozio che trovai per chiedere dove fosse un fioraio. Non era troppo distante, anzi, lo trovai e gli chiesi delle rose rosse.
“Quante rose vuole?”
Frugai nelle tasche ( i soldi mai nel portafoglio…sempre in tasca!) trovai 46 pound
“46 pound!” dissi “rose rosse….le più belle che ha!”
La vecchia mi guardò strano e in modo molto british mi disse “ giovanotto, io ho le più belle rose di London!”
“ Io sono italiano e ci vedo bene signora e questo non mi sembra possibile!”
“E cioè, ragazzo? Cosa vorresti insinuare?”
“La più bella rosa di London è lei, signora!”
Non fece una una piega “ok, te ne darò qualcuna in omaggio!”
Preparò un mazzo enorme e fece una confezione da urlo, poi strizzò l’occhio e sorridendo mi disse “ Buona fortuna giovanotto!”
Tornai al pub, Don e Paul erano convinti che fossi scappato e quando mi videro con i fiori sgranarono gli occhi stupefatti. Andai al banco e li porsi a Cath “Per te!” lei restò di sasso per qualche secondo e poi prese il bigliettino, lo lesse e scoppiò a ridere. Rimise piano il biglietto nella sua busta, appoggiò le rose con molta cura e mi diede un bacio bellissimo. “ Mi hai impressionato molto, Vincent!” poi mi disse all’orecchio “più tardi ti chiamo e tu mi vieni a prendere, ma stasera non mi porterai a letto!” “ok”.
Ritornai al tavolo convinto di essere Gesù subito dopo aver camminato sulle acque. Guardai i miei compari e accendendo una Lucky sogghignai “Signori,stasera sento che mi ubriacherò gratis!”
Donnie era senza parole. Paulie rideva di gusto complimentandosi e dicendomi di bere tutto il dannato Tamigi. Poi mi chiese “ che cazzo hai scritto sul biglietto?”
“Non te lo dico negraccio!” Ridemmo tutti e tre per minuti interi, e bevemmo per un’ora, poi li salutai. Andai in un posto dove friggevano il pollo anche se ho sempre odiato il pollo. Non sapevo che vendevano solo pollo, pensavo che “Kentucky fried Chicken” fosse solo il nome del posto…..invece no, proprio vendevano solo pollo.
Aspettavo che Cath mi chiamasse….alle 23.12 mi chiamò.
“sono Cath, dove sei?”
“sono a pochi passi dal pub…..Kentucky Fried Chicken”
“uh fantastico adoro il pollo fritto e ho fame! Arrivo”
E arrivò. Quella sera non chiavammo ma ci baciammo moltissimo, andammo in un jazz club e ci ubriacammo. Le dissi che abitavo molto lontano e le chiesi il divano per la notte.
“Se mi prometti di comportarti bene puoi dormire nel mio letto”
“Prometto”
Mantenni la parola, mi comportai bene. Facemmo l’amore la sera seguente e rimasi in quella casa per mesi. Perchè me ne andai me lo chiedo ancora oggi. Probabilmente perchè essendo di Trieste sono un po’ idiota anch’io….anzi sono proprio stronzo.
Ovviamente Donnie e Paulie fecero finta di dimenticarsi della scommessa e al concerto successivo non mi diedero un penny.
“Si, come no, tu ti chiavi le cameriere e noi ti passiamo l’ingaggio….ma su quale pianeta, Snowy!?”
Per la cronaca sul biglietto scrissi “ Spero di averti impressionato, dea dei fiori”
e aggiunsi il mio cellulare londinese. Che originalità!