Annamaria

Quando l’afferrai,
non sapevo di stringerla.
Quando la lasciai
non sapevo che cadesse.
Quando la raccolsi
non sapevo di abbracciarla.
Quando la posai
non sapevo di desiderarla.
Quando la spogliai
non sapevo di amarla.
Quando mi alzai
non sapevo di ferirla.
Quando me ne andai
non sapevo di tornare.
Quando ritornai
non sapevo che il gioco
era appena incominciato.


Ambra e il campo del destino

Steli imperiosi come lance conficcate nel terreno
in fila ordinati e lunghi come una muraglia
così che possano raccontare il suono della mitraglia
è il campo di girasoli ad accecarci in un baleno.
Lei cammina nel campo come in un labirinto
terra tumefatta a coprire tutto il suo sangue
umido spazio del dolore col ricordo che langue
nelle quattro stagioni di questo campo variopinto.
Un torrente di pensieri ma di poche parole
di una donna ferita dalle pieghe del destino
scoprendo orgogliose piaghe anche davanti a un postino
con la crudele anagrafe del consumo delle suole.
Lei coltiva ed alimenta la sua dignità
splendida e austera nel suo carattere
non è proprio una donna da combattere
specialmente nell’espressione della sua libertà.
Donna alla sua storia rimasta fedele
nell’arcobaleno della vita rinviene scolorita
e che sia la stessa storia ad averla tradita
come una difettosa gomma sulle tele.
Lei sembra un soldato con la divisa imbrattata
i suoi vestiti appesi alle piante ad asciugare
come se fossero destini segnati da rivoltare
lacrime alla fragola nella sua anima solcata.
Non vuole che nessuno porti la sua malinconia
e se delle volte manifesta un disagio
non ha nulla a che vedere con un naufragio
anche se poi tiene prigioniera la fantasia.
Lei si avvolge in un lenzuolo d’organza
ci ricorda che conosce cos’è la felicità
seppur attorcigliata alla sua razionalità
ma non nasconde il suo stile, la sua eleganza.
Raccoglie i fiori come raccoglie i gatti
il sole nel campo fa un’ombra a coltello
non l’assale un dubbio nemmeno per quello
ma lei non mendica e né vuol fare baratti.
Il campo l’abbraccia le presta il colore
forse è lei che rifiuta la luce della realtà
nell’illusione di Dio traduce la sua lealtà
aprendo e chiudendo il suo rubinetto d’amore.
Donna critica per la sua chiave di lettura
nel suo habitat sembra una pernice dignitosa
e in mezzo agli amici un’arpa curiosa
senza però riuscirne a trovare la serratura.
La sua mano come aratro nel campo del destino
scopre sangue e lacrime sotto alla terra
può sembrare un gesto che preannunci una guerra
invece è come toccare le corde di un violino.
Lei si ostina a vedersi come una foto ingiallita
non deve confondere l’abbraccio di un doppio sogno
con il dissotterrare un rinnovato bisogno
solo se si arrende al tempo diventa sbiadita.
Spiazzata dalla voce suadente di un giovane anziano
rapita da frasi parallele di un lungo cammino
colpita dal temporaneo calore di un cuore clandestino
graffiata da venti unghie insolenti sopra alla mano.
Lei stordita dalla nascita di una nuova stima
galvanizzata da una sorpresa che non sapeva aspettare
costretta a tornare nel campo e doverla sotterrare
un dolore sì ma tutto tornerà come prima.
Steli imperiosi come lance conficcate nel terreno
in fila ordinati e lunghi come una muraglia
così che possano ricordarci il suono della mitraglia
è il campo di girasoli ad accecarci in un baleno.


Come sei mia

Stampella scricchiolante,
sostegno artificiale del tempo
recupero l’orgoglio di virtuali ferite
strisce incrostate da ghiaccio muto,
voltandomi indietro ballavo raggiante e nudo
calcando con le mani il perimetro dei tuoi seni.
Ma no,
era ieri,
o più,
sospirante il giorno di fumo
guardo la distanza rocciosa
e monotona,
e il letto avaro e pallido,
graffio nervoso la mia distrazione
saracinesche complici della fantasia,
e torna lei
rigida e monolitica
stampella scricchiolante
lucida fredda ringhiera
e vi attorciglio i miei se
col cuore statico e imbavagliato
rivedo lividi fantasmi
nel calendario sgocciolante
raccolgo l’inchiostro sciolto
voltando un poi e un domani
critico mi allungo e dipingo
schizzo, scarabocchio,
rianimando i giorni perduti.
Piango sorrisi
rido pensieri ribelli
e corro brontolante di solitudine,
ah vederti qui,
una magia, una magia :
come sei mia , come sei mia.
Arco di neve pressata
noioso passaggio obbligato
schiavo di un percorso quotidiano
dannato, pericoloso,
armato di monarchia faccio sudditi ignari
spargo grammatica afona
tecnica laminata divulgo
odiata routine
ladra
io un ostaggio
tu prigioniera dell’assenza.
Buio illuminato
luce oscura di sogni immobili
trattenuto e urlato
armonia dove sei ?
Ascolto musica spenta
ispiratrice d’immagini arricciate
in un luogo di spazzole nascoste
mancanti
come manchi tu, come manchi tu.
Ma io sono libero ammanettato
appoggiato alla stampella scricchiolante
nausea verticale alleata
fino all’ultimo respiro di febbraio
e il digiuno sarà cioccolato
cestinerò un libro mai letto
taglierò il cuscino nemico
le valigie m’accompagneranno leggere
scenderò i gradini spigolosi
ruberò una nuvola distratta
colpirò il cielo con gli occhi
il vetro appannato diventerà trasparente
e il finale diventerà un inizio
quindi un profumo che si chiama ritorno
e due corpi che si riconosceranno
e le mie parole
che saranno nuove, che saranno nuove :
come sei mia, come sei mia.