El conto

El conto
In spagnolo, el conto, significa il racconto. Noemi ne è una maestra, ha imparato dalla nonna a raccontare. Quella nonna della quale avrebbe dovuto portare il nome. Oggi Noemi, con i suoi cinquanta anni, le tinte ai capelli che iniziano a essere necessarie, insegue un sogno più grande di lei, come le è successo spesso nella vita. Ma come le è successo spesso nella vita, la realtà le ha regalato una storia più grande del suo stesso sogno. Incontra un giorno la tristezza.
Non sappiamo se è la sua o della sua interlocutrice. La tristezza le si presenta sotto forma di racconto, in una situazione nella quale mai se la sarebbe aspettata.
Una lacrima le parla.
E’ quella di una “antica” amica d’infanzia ritrovata per caso.
La conversazione all’inizio è piena di gioia, abbracci stretti e sorrisi e carezze e lacrime.
Lacrime.
Lacrime di gioia, di piacere nel rivedersi di persona, di toccarsi di nuovo dopo essersi accompagnate nella crescita.
Cosa può esserci di più bello di un reincontro tra amiche che hanno condiviso l’infanzia. Amiche del cuore, si diceva allora, che conoscono i desideri più intimi dell’altra più che quelli di se stesse.
Lasciati andare e sepolti i propri, l’amica di fronte, Vogliera, ne è la depositaria, perché ricorda solo quelli di lei, Noemi. Progetti, che erano molto chiari e vividi nelle loro menti in formazione, così vividi che si potevano toccare, avevano anche l’odore degli strumenti che volevano usare, tra le loro mani.
Vogliera è più alta di Noemi, con i capelli biondi ed un corpo di atleta era stata una ginnasta con quasi sei anni di riconoscimenti nazionali e internazionali. E’ soddisfatta. I suoi sogni di bambina non si erano realizzati ma continuava ad amare lo sport che aveva seguito non solo perché le aveva offerto numerosi riconoscimenti ma anche e soprattutto per la “conoscenza” che aveva del suo corpo, del quale conosceva i più minuti significati e movimenti. Se non avesse seguito una disciplina mentale oltre che sportiva, non è detto che sarebbe andata così.Vogliera è colta. Ama leggere e aver fiducia nella vita. Curiosissima e con l’aspirazione al meglio; un po’ fanatica, può riconoscerlo senza difficoltà; si comporta, nella sua famiglia e con gli amici come la Vogliera di sempre. Noemi, l’ha persa di vista solo perché la sua famiglia si è trasferita in un’altra città quando le bambine avevano sei anni. Prima dell’inizio della scuola dell’obbligo. Fu un dolore grande per entrambe quella separazione. Anche perché gli adulti le informarono a pochi giorni dal trasferimento e dalla partenza.
E fu così che Vogliera e Noemi, nel loro incontro inatteso e imprevisto riallacciarono fili diaffetto così intenso che solo loro conoscevano e apprezzavano.
Ma ora che il sole è sulle loro teste, una seduta a destra del tavolino e l’altra a sinistra, Noemi vede nell’occhio dell’amica, una lacrima diversa. C’è l’arcobaleno in quella lacrima.
E il volto di Vogliera, volto di una donna presente a se stessa e capace di esprimere emozioni fino alla punta dei capelli, “in quella lacrima” rimanda, come per incanto tutte le sfumature della miriade si sentimenti ed emozioni che hanno accompagnato la loro separazione.
La rabbia impotente, la tristezza infinita e inconsolabile, il desiderio dell’impossibile, cioè che il trasferimento non avvenisse o fosse almeno procastinato, un fortissimo desiderio di reincontro chiesto fortemente alla vita, mentre protestava vivacemente con i suoi genitori.E poi lo spasimo. Lo spasimo perché il suo cuore ricordasse. Ricordasse sempre quell’”amore” infantile tra due bambine, arricchimento e totalità delle loro giovani vite.
Come si racconta un dolore?
Noemi lo vedeva in quella lacrima colorata d’arcobaleno. Le parole non bastavano, non erano per niente efficaci per dirlo. Questa volta Noemi, rinunciava a dire a parole quello che le immagini dicevano meglio.


La ragazza

Vigeva l’anno 2300 sulla Terra e da almeno due generazioni la smolecolarizzazione era riuscita perfettamente.
Oscar, alla soglia del suo duecentesimo compleanno si accingeva ad una nuova avventura. Toccare il cuore dei suoi familiari.
Era stato un uomo di successo.
Aveva partecipato a programmi “stellari”. Il suo corpo ne aveva viste tante ed era ricco di esperienze. Nel suo cervello le reti deindridiche, i neuroni e le sinapsi, gli avevano permesso, con il loro ampliamento una conoscenza sottile e materiale, molto, molto ricca.
La sua coscienza solare gli aveva permesso di essere indispensabile in numerosissime occasioni ma questo non lo aveva inorgoglito, anzi. La sua ricchezza era la sua voglia di partecipare e giungere a nuove conoscenze.
Anche quest’ultima impresa che voleva compiere, non era per lui un desiderio di rivalsa o un “desiderio” mai sopito di voler essere accettato.
Il suo spirito buono lo aveva condotto per mano. Tornare verso la sua famiglia di origine significava per lui il compimento di un ciclo. Desiderava rivederli e sapere chi avrebbe avuto piacere a raccontarsi a lui.
E chi avrebbe apprezzato le sue avventure.
Di Marinaleda, il paese in cui era nato, a sei chilometri dal mare ricordava tutto. Lì aveva iniziato ad apprezzare la sensualità della vita. Ogni respiro era per lui degno di essere ricordato, così come la sua mente allenata gli permetteva di fare. Dando onore ai più piccoli dettagli.
E questo non l’avrebbe abbandonato, nel resto della vita, consentendogli di apparire agli occhi dei vicini, in ogni istante, in ogni spazio tempo fosse, quell’aria disincantata che gli conferiva la possibilità di offrire sicurezza e sostegno a tutte le anime a cui aveva voluto bene.
E anche di apprezzare la sua aria virile, per niente minacciosa o paterna che volta a volta gli permetteva di esprimersi trasformano ogni realtà con cui veniva in contatto. Oscar, quando arrivò, della sua famiglia d’origine, ritrovò a Marinaleda, solo Onilde. Onilde è una quattordicenne alle prese con un’esperienza solitaria in un paese ormai divenuto città, con i suoi 40,00 abitanti. Chiassoso come un barrio di Napoli, con pulsioni non ancora ingentilite dai progressi in corso ma controllate dalla familiarità delle generazioni precedenti. Quindi Onilde non è sola, né interiormente, né esteriormente; sempre impegnata nell’aiuto alla comunità, ai più piccoli e al suo piccolo maneggio, nel quale hanno attivià con lei tre persone adulte. Che la istruiscono nei basilari del mestiere.
I suoi parenti, vivono o in piccole città vicine o “più” lontano; cosa che quando Oscar la seppe gli increspò le labbra, nel solito benevolo sorriso.
Pensò alla sua famiglia e ai suoi fratelli e si ritrovò perfettamente nel senso di appartenenza, che, nonostante la smolecolarizzazione ben riuscita non riusciva ancora a rendere gli esseri umani del tutto liberi dal loro substrato.
Poi, come sempre faceva, si fissò nel pensiero di attenzione a Oneglia, giovane ragazza dagli occhi neri e i capelli biondi, come sua madre, di una bellezza che era il contrario dello stereotipo della bellezza sulla Terra.
Occhi chiari e capelli nervini.
Ascoltò il racconto di questa sua richiesta di fare esperienza, solitaria, come la chiamava lei in

una situazione e luoghi che la rendevano sicura, in quanto vi era nata. Oreste, per niente nuovo a queste sperimentazioni familiari, che si stavano ormai conducendo da tempo, apprezzò prontamente la scelta della ragazza e la condiscendenza dei suoi fratelli e dei suoi genitori.
Onilde, la ragazza dagli occhi neri e i capelli biondo cenere.
E le chiese ospitalità. Era contento. Dopo Marinaleda, il suo percorso continuava.


Il punto o della soddisfazione

C’era fretta nel porto di Oniglia.
Non una novità ma un uomo deve pur comprendere come adeguare il sistema energetico del suo organismo alle diverse situazioni in cui si introduce.
E Mario era uno dei più capaci in questo modo di fare.
Aveva studiato nelle migliori scuole e università e le sue capacità intellettive, al di sotto della media ma sorrette da robuste capacità sensoriali gli permettevano di fare una media a lui favorevole, dandogli la capacità di interagire positivamente in ogni ambiente con cose e persone.
La cosa che lo divertiva di più in quell’esercizio che considerava necessario per la sua visibilità era il momento in cui, cercando di comprendere le vibrazioni del luogo e come lui potesse viverci in armonia, lui incontrava sempre, così diceva, un momento di “confusione” al quale seguiva il perfetto allineamento tra lui e l’intorno. Cosa voleva dire? Perché faceva così? E perché quel divertimento?
Mario conosceva tecniche affidate all’élite del paese. Ne era depositario e diffusore, come si diceva in termini del secolo prima. In termini burocratici. In realtà, il suo fare era diretto, obbedendo a richieste superiori, a far si che in qualunque ambiente regnasse tutta l’armonia possibile.
Poteva essere visto come un compito ingrato, così come succedeva alla maggioranza dei suoi colleghi ma per lui, il riuscire, gli dava una tale serenità e soddisfazione, che per niente al mondo avrebbe voluto essere incaricato di altro.
In questa occasione, nel porto di Oniglia, voleva e poteva, nei limiti dell’impossibile permettere lo scarico e lo smantellamento di numerose navi da guerra nel minor tempo possibile. Ma quello che serviva non era la fretta e l’affanno che vedeva davanti a lui. Le operazioni, sapeva, potevano essere svolte, nel rispetto dei ritmi di ciascuno: operai, attrezzature meccaniche, venti, temperature ambientali, maree e inclinazioni del sole nello scorrere della giornata.
Il suo compito era impervio ma proprio per questo molto attrattivo.
Si mise quindi a un tavolino del più alto bar del porto di Oniglia.
Da lì, osservava.
Iniziò con le zone che gli sembravano più caotiche. C’erano capimastri addestrati alle sue tecniche, l’aveva condotto lui personalmente l’insegnamento. Ma non bastava. Un occhio addestrato ed esterno, contribuiva di più di chi, per la vicinanza, era troppo coinvolto nelle operazioni.
Una volta allineate tra loro le diverse forze passò all’insieme e intanto, catalogava nella sua mente la differenza di interazione tra tutti i soggetti in movimento. Ed arrivò il momento. Un flash ruppe la confusione che precedeva la chiarezza.
Almeno nella sua mente, tutto era chiaro, ora lo sforzo era di trasferire quella sintesi ideale alla realtà e ci riuscì.
In quel modo, le operazioni in banchina presero a scorrere in un modo del tutto diverso. Senza ansia né preoccupazione ognuno si trovava nel posto giusto. Il livello di velocità avanzava senza sforzo per i partecipanti all’impresa.
Mario, intanto si rilassa e si gode il punto della soddisfazione. La sua mente conoscel’interazione di una nuova situazione complessa, pronta per essere archiviata, ma in questo momento e con soddisfazione di tutti ancora pronta a introdurre le variabili che riceverà da questo momento in poi, per i prossimi due mesi di lavorazione.