Divenire (Ispirata all’omonima di Ludovico Einaudi)

E come ricevere la vita di nuovo
come celare un segreto nel più profondo rosso.
E come toccarsi la carne viva
mentre il dolore piange il suo contatto con la terra.
E come muoversi con i pensieri
prendere le forme con piedi scalzi del
più selvaggio pavimento.
Una forza estranea che ti spinge a girare in tondo
più e più volte.
Come cambiare posto,
scappare dalla realtà,
scappare dal sogno,
andare in un posto dove il tramonto e l’alba
regnano con i loro colori
quasi spenti e coraggiosi.
E quando il ritmo rallenta sembra
come cadere, come strisciare,
sentire il niente scorrere nelle vene.
Quel niente così nullo che già solo essendo
conosciuto inizia ad esistere.
Poi ricomincia la tempesta
ti lega con dei lacci a lei e inizia a tirare
da tutte le parti,
e tu credi di muoverti ma è il vento
e la passione di credere nel tuo resistere dolce
e i lacci si snodano,
ti lasciano cadere a terra
e puoi solo più farti domande.


Emergere

Sto indossando dei boxer e fisso il soffitto, sdraiata sul letto. Qualcosa deve succedere, non posso continuare a
stare qua ferma e immobile ad aspettare. Mi siedo e apro il computer, inizio ad aprire qualche sito, ma è così
noioso, che torno sdraiata a pensare. Sono solita chiedermi <<Cosa ho fatto di male?>>, come se la noia fosse
una punizione per qualche male commesso in una vita precedente. Mi spoglio ed entro nella doccia; inizio a
massaggiare la testa e lavo i capelli, poi con la spugna cerco di tirare via tutto lo sporco che non c’è, ma sento.
Esco e rimango nuda, pettino i capelli e mi guardo allo specchio; come può una persona volersi così poco bene
anche se ciò che vede riflesso è più che accettabile? Mi infilo le mutande e il reggiseno, rosa antico di seta; le
mutande si infilano tra le natiche dolcemente e il reggiseno ingabbia il seno. Ho sempre pensato che vestirsi sia
più coprirsi, quindi ho sempre cercato di renderlo il più creativo possibile, per trasformarlo da esigenza a gioco.
Mi infilo un jeans e una maglia larga blu che copra i fianchi e stringo i capelli per farli cadere morbidi su stessi
sul lato destro. Torno in bagno e copro la faccia con il fondotinta, disegno una linea nera sugli occhi e allungo le
ciglia con il mascara; anche truccarsi è coprirsi, ma ancora più creativo. Ogni cosa, durante il giorno, è
evoluzione: il boxer è diventato un jeans, la mia faccia una maschera. Prendo la borsa; infilo un libro, le cuffie,
il portafoglio ed esco.
Mentre sto in mezzo la gente, mentre la musica è alta e mi muovo, chiudo gli occhi. Penso alla mia mutande, e
ai miei jeans e alla mia maglia: quanto sono distanti le persone da me? Sono lontano da loro, sotto strati di
indumenti e cosmetici. E quando parlo con loro, la distanza si moltiplica. Ognuno di noi risponde a se stesso, e
nessuno si accorge che le conversazioni sono il frutto casuale di conversazioni che vorremmo avere con una
persona identica a noi, che speriamo possa salvarci. Mentre mi muovo, cercando come di liberarmi, i miei
fianchi disegnano una s nell’aria e le mani si stendono alte sopra la mia testa e quando riapro gli occhi guardo
davanti a me e trovo sempre qualcuno che mi guarda sorpreso, e ricambiando il suo sguardo lo faccio cadere
giù nell’abisso delle mie iridi confuse.


Medusa

Se potessi far dei miei pensieri
ciò che mi è capace far con la carne degli individui,
non soffrirei.
Son mortale
e immortale rendo con la pietra
ogni cosa.
La perversione intellettuale
è annidata tra i filamenti della mia mente.
Soffrire è
la forma più concreta dell’esistenza
e ciò da cui fuggiamo più ardentemente.
La fuga continua
dall’esistenza è verità.
Non vogliamo soffrire,
non vogliamo esistere
questa è verità.