GLI IRIS BLU

Nello scendere dalla macchina, cerco con vaga inquietudine, tra la macchia colorata dei fiori esposti in bella mostra. Eccoli sono là! Ho sempre paura di non trovarli…
_ Gli Iris Blu, signora? _
_ Certo, gli Iris Blu! _
E’ più un’affermazione che una richiesta, quella del fioraio che mi si avvicina premuroso! Ormai lo sa, è il rito di tutte le domeniche! Non mi ha mai chiesto il perché di questa scelta, anche se mi conosce bene, ma sento che gli piacerebbe sapere ciò che intuisce solamente.
Li prendo delicatamente in braccio e stringendoli al cuore, mi avvio lentamente verso il grande cancello.
I teneri petali blu dondolano seguendo il mio passo, scoprendo a tratti il loro delicato cuore giallo , leggermente peloso.
Le immagini si sovrappongono e il lungo viale ghiaioso, lascia spazio all’imponente scala della vecchia centrale elettrica, dove io ragazza, abitavo con mio padre e mia madre.
Lo rivedo salire, il passo affrettato, spinto dal desiderio di arrivare: sulle spalle l’impermeabile bianco, su un completo Principe di Galles, dai quadretti grigi; la figura elegante, asciutta e una massa di capelli neri.
Finalmente arriva e porgendomi un mazzo di fiori, mi dice guardandomi teneramente:
_ Perdonami, posso offrirti solo questi, per il tuo compleanno! _
Non ci sono parole, mi butto sul suo petto, lo stringo forte e …tra di noi…gli Iris Blu! Dietro quei fiori c’è, tutta la sua solitudine, di ragazzo, che ha perso entrambi i genitori e la sua casa; sono io, tutta la sua speranza di una vita futura migliore!
Nel corso degli anni, in ogni occasione di festa, gli Iris non mi sono mai mancati, accompagnati via via, da regali e gioielli sempre più importanti, quasi a volermi dimostrare che con la sua grinta e volontà, poteva ora permettersi di regalarmi, ciò che prima non aveva potuto.
Mi avrebbe ricoperto di oro e spesso Iris e regali comparivano senza una ragione apparente. Quei fiori erano il nostro segreto e sempre uno sguardo complice, ricordava ad entrambi, quel giorno lontano, quando quei pochi soldi erano sostituiti da un immenso amore!
Gli Iris hanno accompagnato anche, l’ingresso nella grande villa “ EL PASO”, dove eravamo approdati, simbolo di un prestigio raggiunto, insieme ad una meravigliosa famiglia. Non c’è evento che io ricordi, dove non siano comparsi questi fiori!
Ora il viale su cui cammino ritorna nel presente…; li stringo ancora più forte al cuore, i miei Iris. Sono io ora che li porto a lui, con immutato amore e sono io che oggi non posso dargli di più, perché lui non è più con me! Metto gli occhiali scuri sopra le mie lacrime…, lascio gli Iris a fargli compagnia! Torno indietro, mi aspetta la più giovane delle mie figlie, ma appena apro la macchina, mi porge un tenero bouquet di gerbere gialle, tra cui spuntano dei meravigliosi Iris Blu!
_ E’ da parte di tutti noi! _ Mi dice commossa…
E’ di nuovo il giorno del mio compleanno!…


Il MIO FIUME

Scorre luccicando, sotto il Ponte della Pace, l’acqua del fiume Aniene!
Siamo qui, non so da quanto tempo, io e i miei nipotini più grandi, Ali e Lori, che guardano affascinati, frugando con lo sguardo, tra i canneti e l’arruffata vegetazione in cerca di anatre e gallinelle selvatiche, dagli sfumati colori grigio-nocciola.
Lo specchio d’acqua è notevolmente ridotto, lo vediamo in lontananza, ma soprattutto tra le fessure delle tavole di legno del ponte …strozzato dalle alghe : polipi verdi, dai mille tentacoli invasivi, si allungano verso il centro, dove emergono innumerevoli isole di fango ad offuscarne lo splendore della superficie e canne verdi, con la testa scompigliata da ciuffi grigiastri!
All’improvviso Alice: _ Come è bello questo fiume, nonna!
Oddio, è un pugno nello stomaco… e mi esplode dentro un urlo silenzioso: _ No, no, non è vero!
Purtroppo lei non l’ha conosciuto, come me bambina, ai suoi tempi d’oro quando spingeva avanti orgoglioso, l’acqua dai colori cangianti!
_ Vedi Ali, a te sembra tanto bello, ma se lo guardi attentamente, ti accorgi che la sua acqua è sporca e non riesci a penetrare fino alla profondità. Un tempo aveva un letto larghissimo, tanto che vi scivolavano, barche affollate di bagnanti, alla ricerca di piccole spiaggette, che risuonavano di allegre grida e giovani risate!_

Ora, come in un film, passano immagini lontane che cerco di raccontare e di “ far vedere “ ai miei nipotini…
Tutto traspariva, in quella vitrea nitidezza: il sassoso fondale con piante verdi, tra cui si rincorrevano gioiosi stuoli di girini e piccoli pesci, nella continua corsa alla sopravvivenza e incauti danzavano davanti alle ferree chele e alle voraci bocche spalancate di scuri gamberi di fiume.
Davanti ai miei occhi adoranti di bambina, si verificava la dura legge del “ più grande”: una trota salmonata dal manto rosa, che ingoiava piccoli pesci con una rapidità simile ad un predatore nelle foresta!
Sullo specchio d’acqua, tutti i giorni, i campionati di pattinaggio: innumerevoli maggiolini che volteggiavano, scivolando come su un’immensa pista di ghiaccio, mentre da una larga foglia verde di ninfea, una rana , senza per nulla scomodarsi, tra un gracidio e l’altro, aspettava che le cadessero in bocca le prede.
E all’improvviso uno sprint veloce e un tuffo, al primo sentore di un pericolo in agguato…poi la pace e il silenzio, tornavano a proteggere l’equilibrio della vita sommersa!
Mi sentivo parte anch’io di quell’habitat, ero nata sul fiume… sì, perché la mia casa era la centrale elettrica dove mio padre lavorava!
Mi ha sempre riempito lo sguardo d’orgoglio la vista della solida costruzione con la parte davanti ancestrale, quasi una chiesa, con grandi finestroni a volta, che lasciavano intravvedere un’enorme ruota, sibilante per il grande rumore…
Il lato dietro guardava con le sue molte finestre, sulla parte di fiume di cui ero, al tempo stesso malignamente attratta, ma anche terribilmente terrorizzata!
Quando mi affacciavo, fissavo a lungo il groviglio di vortici sbuffanti che uscivano da sotto la casa, spinti dalla forza delle turbine, che girando producevano corrente…
Solo di giorno, osavo guardare quello spettacolo, perché “ quel Fiume “, non mi piaceva!
Battevano, quei vortici, con una forza primordiale, contro il muraglione alto e possente, che divideva in due, il corso del fiume ed io guardavo sempre all’altra parte, dove l’acqua seguiva il suo cammino pigro e lento, fino a quando avveniva lo scontro, riunendosi poi, a formare “ il mio Maestoso Fiume!”
Era quello il fiume che adoravo!
Mi sentivo la sua padrona, per il magico feeling che si era creato tra di noi: ne conoscevo qualsiasi angolo visibile, anse, ciottoli, piccoli nascondigli e tutta la fauna che ci viveva… Ero una piccola selvaggia, alla ricerca di nuovi territori di caccia, soprattutto quando, ragazzi più grandi, mi facevano salire a bordo di una stretta canoa.
Si navigava fino ad una spiaggetta, non raggiungibile a piedi e lo sbarco sembrava quello di Cristoforo Colombo!
Poi un brutto giorno, l’aspetto più negativo di quel Paradiso terrestre… Eravamo tutti i bambini sulla sponda e nessuno osava fiatare… di fronte…il corpo di un ragazzo annegato!
Improvvisamente la realtà è presente…vedo i miei nipotini incantati dal mio racconto che fissano il fiume, ma io so che hanno visto…” il mio fiume”!
_ Ora capite perché, anche se tante volte mi avete preso in giro, non nuoto ed ho paura dell’acqua, ma ho imparato a temere e rispettare il mio Grande Fiume!
Continuo sempre ad amarlo e soffro di vederlo così!_
A malincuore lasciamo il ponte, ma so che da oggi anche i miei nipotini hanno imparato ad amarlo e che non dimenticheranno il mio messaggio di rispettare un fiume!


LA VACCHERIA DI ANGELINO

-“ Lo volete un chilo di mele signò, guardate come so’ belle!”-
Guardo le mele rosse, lucide quasi finte e improvvisamente il pensiero torna ai tempi della mia infanzia, ad una realtà tanto lontana, di me bambina e di altre mele non perfette, ma di un colore giallo rosato e dal profumo estremamente intenso.
Vivevo allora, in una centrale elettrica dove mio padre lavorava in un contesto paesaggistico dove prevaleva la realtà di un fiume, a volte placido a volte turbolento, circondato da sponde di campagne di un verde intenso o di argento ghiacciato, a seconda delle stagioni.
Io adoravo questo paesaggio e restavo a volte a guardarlo, col naso spiaccicato sui vetri della mia finestra. Mi affascinava anche la campagna di inverno, come quando, da un tubo che attraversava il terreno sottostante, usciva a volte un piccolo schizzo d’acqua, che si trasformava in tanti ghiaccioli e lì scoprivo e fantasticavo di una scultura tutta scintillante, in mezzo a fili d’erba stilizzati.
Mio padre, a volte, metteva le tagliole per gli uccelletti e in mezzo a quel biancore silente, si consumava un delitto perfetto: un povero malcapitato pettirosso, si dimenava per liberarsi ed io col cuore in gola, scappavo giù in pigiama e a fatica lo liberavo, stringendomelo al petto . . . e non sentivo più freddo, anzi lo riscaldavo, mentre sentivo battere il suo cuoricino forte forte e poi finalmente lo lasciavo andare. . . lento, un po’ malconcio ma . . .sicuramente salvo!
Poi scappavo via, per paura di essere scoperta, calpestando quel terreno fatto di cristalli e mi sembrava di essere la regina dei ghiacci!
A primavera andavo a cercare i nidi, apsettando che le madri si allontanassero, così potevo guardare ammirata, quei teneri ovetti, pensando già a quei piccoli spelacchiati, che a giorni sarebbero nati.
L’estate poi, con l’afa sonnolenta andavo a cercare “il mastice” che colava sui tronchi degli alberi, tra il profumo intenso delle pesche e il ronzio delle api attratte dal sapore dolciastro.
Mi affascinava, tutto il mondo incantato degli animali e restavo ore e ore seduta su una sponda del fiume, a guardare i girini e i piccoli pesci, ma la mia ammirazione era tutta per i maggiolini, che con le lunghe esili zampe, pattinavano volteggiando rapidi sull’acqua, in una continua danza di cui ignoravo il significato tribale, mentre mi sorprendeva improvvisamente il volo rasente di una libellula dalle ali blu!
Sognavo ad occhi aperti assaporando colori e profumi, cercando sempre intorno qualche elemento di nuovo interesse. Collezionavo scoperte e piccoli tesori che conservavo gelosamente, senza mostrarli a nessuno, trasportando col pensiero qualsiasi elemento in una dimensione fantastica, dove io sola mi sentivo protagonista.
Ma un ricordo in particolare prevale, di quando giornalmente mi mandavano a prendere il latte, nella vaccheria di Angelino, poco distante dalla centrale elettrica.
Adoravo quella passeggiata, per un viottolo solitario in mezzo ai prati, alitati dal vento e sui due lati una lunga fila di alberi di melo!
Adoravo quegli alberi in tutte le stagioni: dai tronchi nudi, contorti dell’inverno, alla splendida esplosione di fiori e foglie della primavera, dal tappeto multicolore delle foglie cadute dell’autunno, ma soprattutto quando erano carichi di tante meluzze, arancio-rosate, dolci e fortemente profumate!
Non so quante ne mangiavo; spesso me ne riempivo le tasche, poi col mio secchiello, arrivavo alla vaccheria. Sulla grande aia, mi facevo strada tra tutti gli animali fino a raggiungere un enorme tavolo di pietra su cui si trovavano sempre frutti e tante verdure. La moglie di Angelino mi offriva sempre i dolci o il pane cotto a legna, sotto un grandissimo albero di quercia, punteggiato sullo sfondo da un glicine in fiore, che si arrampicava lungo la facciata antica della casa.
Poi finalmente arrivavo alla stalla e spingendo la grande porta, l’odore umido e intenso mi investiva e al mio entrare, tante teste di mucche ruminanti, si giravano; qualcuna accennava un muggito di saluto, mentre cercavo con lo sguardo per niente intimorita, la figura di Angelino, che seduto su un piccolo sgabello a treppiedi, era intento a mungere, tirando ora un capezzolo ora un altro.
Che spettacolo quel latte che schizzava nel secchio di latta!
Avrei voluto mungere anch’io, ma . . . Angelino cappellaccio di sghembo sulla testa, calzoni arrotolai su grossi scarponi, non mi permetteva di avvicinarmi alle mucche!
Era una visione surreale1ferma nel tempo: un rito solenne che si ripeteva ogni giorno!
La grande finestra illuminava tutta l’enorme stalla, dove al centro c’era un lavatoio con l’acqua corrente; lì sciacquavo il mio secchiello ed aspettavo paziente che Angelino me lo riempisse!.
-“ Sta attenta non e non lo far cadere per la strada!”-
Così trionfante me ne andavo, con quella superficie bianca spumosa e traballante, riprendendo il viale dei meli… ed ancora avida . . . mi chinavo a raccogliere.
Spesso, nel chinarmi, versavo il latte e il mio secchiello, quando arrivavo a casa, non era mai pieno, tra i giusti rimproveri di mia madre!
Un giorno poi, lo portai addirittura vuoto, ma mi chiusi nel mio mutismo e non raccontai a mia madre il perché: ero troppo orgogliosa per ammettere di avere paura!
C’era, sulla strada del ritorno, una piccola scalinata, dove una steccionata teneva a bada una massa di rovi; lì in mezzo, in agguato, viveva un lucertolone verde smeraldo, dagli occhietti pungenti. Io passavo sempre di corsa, anche se lui restava immobile . . . ma quel giorno all’improvviso si mosse, forse per catturare una preda ed io feci un balzo all’indietro e . . . addio latte!
Tutti i ricordi della mia infanzia sono legati a profumi e sapori, come quello del latte, appena munto o di quelle piccole, saporite mele rosa.
-“ Signò, allora te lo faccio ‘sto chilo di mele?!?”-
Ritorno bruscamente al presente, sono davanti a tanta frutta dai colori artificiali, ma per quanto cerchi i profumi, non sento nulla nell’aria, solo l’odore dei gas di scarico delle macchine!
-“ Grazie no, non voglio queste mele!”-