La Vita In Una Festa

Rumori di parole accatastate,
battute stupide esaltate
sguaiate e forzate risate
stridule voci con stima acclamate.

Due donne parlano vicine,
la futura zitella, fino ai piedi truccata,
gioca ed educa le bambine ed
il ripetuto sketch, spacciato per improvvisata.

Adulti che non vogliono crescere,
bambini già uomini prematuri;
coppie che appaiono sincere e
chi non s’alza senza gli scongiuri.

Seduti i simposiani qualcosa ad aspettare,
mentre il festeggiato osserva la torta amara,
chiama la nipotina a giocare per
illudersi che la morte si possa barare.

Ognuno nel cerchio ha un ruolo preciso,
diversi caratteri: una sola apparenza;
si vive come se tutti avessimo il medesimo destino
invece di venerare l’irripetibilità d’ ogni umana esistenza.

Io distante da questo posto,
ho capito qual è il triste gioco,
chino su me, so a cosa andrei contro
e non imperverso in questo Mondo.


Tormento

La voce del poeta maledetto nelle casse
la voglia d’accelerare ancora ad occhi chiusi
le malinconie che mi trascinano verso il basso,
giunto oramai all’irreversibile abisso.

Una cane zoppo prova invano la corsa
nel giorno umido,nella cupa notte;
il suo cuore duro e stretto nella morsa
di chi non ha più paura della morte.

Sono giunto ormai ad un punto
dove non si può più spinger oltre,
non c’è cura, questo è cruento,
non posso nemmeno colpevolizzar la sorte.

Son io l’artefice del mio destino
ma c’è il nulla intorno a questo nero,
finirà mai questo dannato destino che
mi dilania non provando niente di più vero?

Maschere, illusioni, inganni, tranelli e parole,
già troppo dolore e rabbia han versato gli occhi miei
e non esiste via d’uscita per il debol cuore
tanto che i miei gioghi e torture con un grido distruggerei.

Con l’urlo sordo una conclusione posso effettuare:
le mie care riflessioni e ripudiati tormenti eliminare,
non so come riuscirci e con quale mezzo
liberarmi da questo amato ed odiato strazio.


Gioia

Nella notte una civetta venne a far visita
e sospirai d’innanzi quel dono della natura,
l’osservai cogl’occhi grandi, ella esita,
danzando si move in patria con paura,

nel buio, in casa sua, tremula
con me ospite nella lucente notte
che a lei per mia presenza par buia,
uno slancio e via con le zampe corte,

l’orizzonte immenso di diamanti
sul nero, e quella perla così abbagliante
che scosse cori ed ispirò migliaia di canti ed
io l’amo ancor più in fase calante.

S’alzerà sempre codesto corpo bianco
continuerà a rifletter la luce d’Apollo
senza timore, senz’indugio, senza avversità,

s’alzerà e cadrà sempre per l’eternità
ed estasiato la seguirò ancor col collo
fuggendo dalla luce del sol e dall’umano branco.

Eccomi, regina della notte, t’interrogo invano
e preferisco lodarti, sono il tuo menestrello,
accompagno i grilli che già cantano,
il vento che fischia e questo pipistrello

che passò vicino già mi parve un tuo disegno:
al tuo cospetto le sue linee chiare,
io forse non ne son degno?
Eppur sto qui a mangiare.

Nutrirmi di te e delle tue emozioni,
t’aspetterò pallido amor mio
che siano sogni o naturali sensazioni,
ho bisogno di te o cadrò nell’oblio.

L’attesa del giorno m’inonda di noia
miro d’un tratto un altro bagliore e
già intravedo il suo profumo nell’indomani,

a Morfeo abbandono le mie mani,
così saluto la notte e la luna con amore
perché or voglio il sol novello per incontrar Gioia.