IL DONO

Alle rive di un ruscello mi trovo a pescare.

Dalla mattina alla sera resto vigile per poter mangiare,

la fame è dura verità.

C’è chi non ne soffre e chi piange in questa società.

 

Un orfano scacciato, non desiderato.

Gli unici che lo amavano lo hanno lasciato.

Non per loro volere,

la fredda signora ha imposto loro il suo potere.

 

Continuo con pazienza,

al sudore che gronda la fronte non gli dò importanza.

Finalmente uno strattone, ha abboccato.

La veemenza fu tale che la preda al suolo venne scaraventato.

 

Il tramonto accompagna il ritorno del cacciatore,

il colore rossastro tinge l’ambiente.

Durante il tragitto mi imbatto in un altro predatore.

Una lupa zoppica ferita, percepisco che non può farmi niente.

 

La ignoro. Proseguo fermo sul crepuscolo,

lei strema a terra, la fame la dilania.

Vorrei aiutarla ma in altre condizioni sarei io la sua cena.

Cammino ancora, con passo indeciso.

 

Due entità diverse, entrambi in petto un cuore che vive.

Un nuovo gemito, una lacrima mi riga il viso.

Non posso. Conosco il dolore con il quale convive,

abbandono la mia preda nei pressi del suo giaciglio.

 

Il suo sguardo riprende il suo vecchio orgoglio,

di bestia qual è, divorando il mio bottino.

La osservo sfamarsi, ridicolmente anch’io provo sazietà.

La lupa continua a vivere, l’uomo ha l’umore ottimo.

 

Entrambi acquisiscono nuove forze per affrontare la dura società.

 

Amicizia

C’incontrammo nella tenera età,

piccoli fanciulli che non conoscevano la realtà.

 

In questo fiume in piena, che è la vita,

cercavamo di non sprofondare.

Ogni giorno una sfida,

non sai che aiuto poterti venire a parlare

 

Tristezza, stupore, lacrime e gioie.

Il mare come sfondo per le nostre passioni.

Nelle cupe giornate in due non ci si annoia.

Una spalla c’è sempre per le nostre preoccupazioni.

 

Il nostro sangue diverso,

Cosi come i nostri cognomi.

Se non ci sei mi trovo disperso,

in una terra abitata da automi.

 

Con te al mio fianco posso vincere ogni duello,

ho sempre avuto l’onore di chiamarti fratello.

 

Leggenda

Plano adagio tra le soffici nuvole,

corpo affusolato cosparso di piume.

Libertà è il mio nome.

Tra gli sconfinati cieli ispiro le favole.

 

Alla continua ricerca del sereno,

vago attraverso qualche arcobaleno.

Sempre un’impresa oltrepassare i monti.

Dalle cime innevate, silenziose e imponenti.

 

I fanciulli al mio passaggio

alzan lo sguardo.

Gridano e festeggiano, sono per loro un baluardo.

Della mia fama gli mostro un assaggio.

 

Come la stella padrona comincio a brillare,

estendo le ali tra le vivide fiamme.

La luce emessa fa brillare il mare,

occhi scarlatti simili a gemme.

 

Un’intera città in preda all’ammirazione.

Lancio un ultimo grido maestoso, dono una canzone.

 

Lentamente plano adagio su una scogliera,

acqua possente si infrange e diventa spuma.

Poco dopo ecco cadere una piuma.

Sono passati mille anni orami, è ora di cominciare

 

il giorno della pira.

Agitando le enormi ali, il fuoco in circolo gira.

Un ultimo canto prima di diventar cenere.

Sgretolandomi sull’umida roccia fuoriesce dell’etere.

 

Un cumulo informe,

in balia del mare.

Una flebile fiamma, dai resti, comincia a brillare.

Rinasco dai tizzoni con ridotte forme.

 

Viaggio tra la vita e la morte.

Sempre stata questa la mitica sorte.

Destinato a vedere guerre e declini,

unico sollievo l’ovazione di quei bambini.

 

Quindi è già ora di ripartire.

Mi staglio nel cielo felice.

Il cupo pianeta mi accingo ad abbellire.

Elementare di fuoco, son la Fenice.