A Rachele

Ora è notte: calate son le stelle,

ascesa è la luna raggiante,

una limpida oscurità l’anime gemelle

avvolgevano, sì come l’ardor nostro trepidante.

Già m’annunziò il Cielo

che in un futuro non distante

il Fato prescrisse sul tuo volto un velo,

volendo interferir col nostro amor lussureggiante

che stava maturando come un fiore sboccia in primavera,

come in un bozzolo matura una farfalla,

ma ora per te è calata la sera!

Rimembro il giorno in cui, appoggiandoti alla mia spalla,

gentilmente ridevi,

e le tue rosse gote m’ispiravan la felicità,

sentivo di gioia colmo il mio cuore quando sorridevi

ed ora altro non resta che un cupo ricordo d’una passata età.

Giovani eravamo, tu ed io,

quando la vita ci era favorevole;

ma ora che posso fare se non pregare Dio

di consegnarmi a Lui e rifuggire da questo mondo spregevole,

giacché non più rivedrò il tuo dolce sorriso,

se non in una miglior vita

mai più toccherò il tuo viso:

la tua immagine è sparita!

Non un dì avrei pensato,

al futuro che all’erta rimaneva nascosto,

nel remoto passato.

Ora, le tende della mia finestra scosto,

per piangere guardando il ridente mondo

che incurante tranquillo prosegue,

la città ne è lo sfondo

ed il suo ritorno non concede tregue.

Non sopporto la tua mancanza, rosa dei miei giorni,

non sopporto che tu qui non sia,

non sopporto che nei dintorni

nessuno dia adito al mio dolore, i miei tormenti spazzati via

nella notte della tua scomparsa,

rimembro i dolci momenti

della nostra tenera giovinezza, che altro non si rivelò che una farsa,

l’anticamera a tanti tragici tormenti.

Questa è di ottobre la notte estrema,

quando tutti ridono e scherzano sulla morte.

Ma non per quelle maschere la mia anima trema,

bensì per la ricorrenza di quando la crudele sorte

mi privò del tuo amore,

mia adorata Rachele!

Nel mio cuor ora c’è soltanto dolore,

ma sempre tu rimarrai nel mio animo fedele.


 

Il perdono

Perdono, o Dio,

giacché i peccati nostri-

ed in testa il peccato mio-

fan delle tue creature mostri.

Infinito disgusto e orrore

proverai dai limpidi regni celesti

nel veder l’immane errore

che commettiamo. Mesti

come Adamo ed Eva, cacciati

dall’Eden, a tuoi figli

non possiam esser elevati.

Violenti e forti gli artigli

son della tentazione:

in ogni angolo, celato, satana all’erta

sta, pronto per l’azione.

Chiunque l’Amor Tuo non avverta,

cieco di fatto è; i peccati

che commettiamo,

poveri fedeli Tuoi malati,

agli occhi altrui nascondiamo,

ma non ai Tuoi.

Impossibil questo sarebbe,

come celar dietro una pietra dei buoi.

Ah, maledetto peccato che crebbe

negli anni!

Conseguenza sei del doloso pensiero.

Ah, quanti affanni

ha il Signor nostro invero!

Qual dolor per Lui è veder

i figli Suoi peccar:

ma niente dobbiamo temer,

poiché, misericordioso Padre, il perdonar

è Suo dolce dono.

Udiamo, udiamo

delle campane il suono:

ci vien detto quel che siamo,

depravati e privi

di benché minima morale.

Preghiam che il divin perdono non ci schivi,

ma sappiam che Dio non vuol per noi alcun male.


 

Il pesce maledetto

(tratto dalla sezione Racconti del terrore e dell’immaginario del libro “Primi Passi”).

Come tutti i venerdì sera mi stavo recando al ristorante italiano “Da Vito”, il cui cuoco, di origini

napoletane, preparava ogni sorta di specialità del suo Paese. Adoravo la cucina italiana e così, come

ho detto, mi recavo in questo ristorante al venerdì sera e raramente mancavo all’appuntamento,

tanto che Vito sapeva che quella sera doveva riservarmi il tavolo numero 18, vicino al caminetto del

locale. Se non vi andavo (e capitava di rado) era per un imprevisto o per appuntamenti importanti.

Comunque, quella sera mi accomodai al tavolo 18, come sempre ed ordinai una trota al cartoccio.

Aspettando che il mio piatto arrivasse, giocherellai con una forchetta e bevvi del buon Porto, il mio

vino preferito. Finalmente la trota arrivò; ero molto affamato, ma la mangiai con calma, senza foga.

Dovevo gustarla, non avrebbe avuto alcun senso altrimenti. La assaporai fino all’ultimo boccone:

solo Vito le sa preparare così buone!

Pagai il conto e tornai a casa soddisfatto, con la pancia “piena”. Adoravo le trote al cartoccio!

Arrivai all’edificio dove c’era un piccolo appartamento che prendevo in affitto da un militare a

riposo. Quella casa era alquanto confortevole, anche se non molto spaziosa: ma per un uomo come

me, scapolo, che è fuori tutto il giorno per lavoro, era più che sufficiente. Lanciai il cappello

sull’attaccapanni e, tolta la giacca, mi sedetti alla scrivania, sebbene l’ora fosse tarda, ad esaminare

alcuni documenti. Erano del Primo Ministro per il quale lavoravo e, in uno in particolare, vi era lo

stemma della sua dinastia, cioè due leoni speculari l’uno all’altro. Ad un tratto il foglio si mosse

nervosamente, i due leoni alzarono le zampe e cominciarono a scannarsi sotto i miei occhi! Dei due

leoni ne rimase uno, quello alla mia destra, mentre l’altro era disteso.

Il leone superstite voltò la testa dalla mia parte e ringhiò, mostrando i numerosi denti affilati. A quel

punto si scagliò verso di me, ma non mi azzannò: sembrava come trattenuto dalla carta del

documento. Fu la mia salvezza. Lasciai lì il foglio, mi cambiai e, dopo essermi messo in camicia da

notte, mi infilai sotto le coperte e spensi la luce.

Dio mio, che spavento! Ero certo che si trattasse di un semplice scherzo della mia immaginazione.

Forse non avrei dovuto mangiare la trota al cartoccio di sera, pensai, ma, in effetti, la trota non era

poi così pesante. Tentai di addormentarmi ma, improvvisamente, sentii bussare alla porta del mio

appartamento. Mi alzai e, con il bastone da passeggio in mano, mi diressi verso la porta

chiedendo:<<Chi è?>>

Nessuna risposta: solo un rumore che in altre circostanze avrei considerato insignificante, come se

qualcuno stesse grattando sul legno della porta. <<Chi è?>>urlai più seccato. Di nuovo quel

rumore. Ero molto arrabbiato, così aprii la porta di scatto, sempre brandendo il bastone: non c’era

nessuno! La richiusi e sentii ancora quel rumore, che detestavo. Di nuovo aprii la porta, e nessuno.

La richiusi con il chiavistello e anche con quattro mandate di chiave e mi voltai verso il letto. Ma

questo era occupato! Diamine, che spavento: una sagoma umana, presumibilmente, era sotto le

lenzuola. Facendomi coraggio anche grazie al bastone che avevo in mano, alzai la coperta: nel mio

letto non c’era nessuno! Ero molto confuso, non ci capivo nulla!

C’era qualcuno che mi faceva uno scherzo? Se sì, chi era? Però, pensandoci bene, era impossibile

che qualcuno si fosse infilato nel letto e poi fosse scomparso nel nulla!

La questione era assai strana. Provai di nuovo a dormire ma, questa volta il letto si mosse, come se

ci fosse stata una scossa di terremoto. Controllai il lampadario, ma era immobile. Non ci feci caso,

spensi la luce ed il letto fu scosso di nuovo. Questa volta, però, riuscii ad addormentarmi.

Dopo un tempo che non saprei determinare venni svegliato e mi trovai in acqua! Vidi un polpo

innaturale, con molti più tentacoli di quanti avrebbe dovuto averne, venirmi incontro: con uno dei

suoi enormi tentacoli, grandi il doppio di quelli degli altri polpi, mi prese ed iniziò a stringermi.

Urlai dal dolore, ma in acqua il mio grido venne soffocato. Dopodiché il polpo mi avvicinò alla sua

enorme bocca e mi ingoiò. Attraversai un tunnel molto lungo che supposi essere il suo esofago e mi

trovai in un’ampia caverna, con stalattiti e stalagmiti in ogni angolo. Sentii un improvviso scroscio

d’acqua e poco dopo tutta la grotta si allagò. Una trota enorme, che non sapevo da dove fosse

sbucata, si diresse verso di me ed aprì la bocca, come per ingoiarmi. Sebbene non sapessi nuotare,

iniziai a muovere gambe e braccia il più velocemente possibile nella direzione opposta. La trota mi

inseguiva e, proprio quando vidi una probabile uscita della grotta, questa si oscurò. Un’altra trota,

grande quanto la prima se non di più, mi si parò davanti, frenando la mia fuga impacciata dalla trota

precedente. I due pesci, con la bocca spalancata, venivano verso di me, pronte a pranzare ma io,

dopo aver atteso il momento giusto, con un colpo di gambe salii rapidamente, lasciando che i due

pesci si scontrassero. Come i leoni sul documento del Primo Ministro, le due trote combatterono

ferocemente, finché non rimase viva la seconda. Questa iniziò ad inseguirmi ed io fuggii, anche se

la grotta non era più spaziosa come all’inizio, si stava rimpicciolendo, conducendomi proprio nelle

“fauci” della trota. D’un tratto ci fu un’esplosione assordante, poi mi trovai, non so come, in mare

aperto. La trota non c’era più, ma c’era uno squalo grande il doppio di quelli normali (ed io lo

sapevo bene, poiché anche lo squalo mi piaceva molto da mangiare, come i polpi del resto),

attorniato da pesci d’ogni genere, sogliole, tonni, pescispada, gamberetti, carpe, tutti dall’aspetto

minaccioso. Lo squalo scattò verso di me, seguito dall’esercito di pesci che comandava, aprendo la

bocca e mostrando i denti acuminati. Qualcosa mi faceva pensare che aveva fame e penso ancora

oggi di non essermi sbagliato. Lo squalo si avvicinava sempre di più, così io, pietrificato dal terrore,

urlai selvaggiamente. A quel punto sobbalzai dal mio letto, con il cuore in gola.

Ancora oggi non ho capito se fosse stato un sogno, oppure no; a pensarci bene, però, penso proprio

che lo sia stato. Ma l’altro interrogativo che rimane è: se anche la parte di questo racconto che inizia

con il polpo che mi ingoia è stata un incubo, la parte che è venuta prima, cioè quella della porta, dei

leoni e del letto, faceva anch’essa parte del sogno? Non l’ho mai saputo, né mai lo saprò. E’ passato

molto tempo da quando questi fatti sono accaduti, ma tutto è ancora chiaro nella mia mente,

sebbene ora cominci ad invecchiare. Basti pensare che all’epoca di questa storia avevo appena

vent’anni, mentre adesso ne ho, be’, diciamo poco meno di mezzo secolo in più. Sono sempre stato

convinto che, appena tornato a casa, sia stato vittima di allucinazioni, mentre poi abbia avuto quel

terribile incubo, tutto provocato da quella maledetta trota al cartoccio che mangiai da Vito. Pesce

maledetto!

Se sia realmente andata così non lo so, fatto sta che da allora non ho mai più mangiato da Vito e,

soprattutto, ho smesso di mangiare pesce.


La crudeltà umana

(tratta dal libro “PRIMI PASSI”)

E quando la sera cala,

avvolgendo ogni cosa nell’oscurità,

nella mia umile sala

rimembro sull’umana crudeltà,

che spinge noi persone

a far del male ad innocenti,

a far “valer” il nostro animo da leone,

quand’ormai i princìpi morali son assenti.

Manipolando d’un uomo la psicologia,

si può piegarlo al nostro volere,

si può alterar la sua fonologia

e la sua volontà far cadere.

L’uomo è perfido, malvagio;

se decide di distruggere

lo fa, però, adagio

e la tua mente deve struggere,

senza interessarsi del fatto

che siamo tutti creature di Dio,

perpetrando il suo orribile misfatto

e suscitando il disgusto mio!

Perché mai una divina punizione,

non colpisce

questi mostri della crudele intenzione

e il loro corpo finisce,

giacché l’anima, in tal caso,

non potrebbe essere sfiorata?

Perché questo ordine di persone non vien raso,

liberando la società da una tal minaccia annunciata?

Oh, qual sospiro di sollievo,

quando udirò tal agognata novella,

quando saprò che non uno, di questa setta allievo,

è sopravvissuto ad una creatura sua gemella.

Ti prego, Dio del Cielo,

possa Tu fermare questa malvagità.

Fai in modo che tutto venga coperto da un velo

e che sul Tuo mondo regni la felicità.


Quando una guerra inizia

(tratta dal libro “PRIMI PASSI”)

Quando una guerra inizia,

scompare un’amicizia.

Quando si avvia un conflitto,

scompare ogni diritto.

Regna la legge del più forte,

regna la morte;

insiem tutti si parte,

marciando a due a due

verso paesi remoti,

dove si va a guerreggiar.

Dietro un palese pretesto,

si parte verso sogni di gloria.

I comandanti stan nelle retrovie,

i soldati affrontano la sorte con coraggio.

Sempre i leader in tenda se ne stanno

a pianificare strategie per sconfiggere il nemico,

mentre l’esercito,

in prima linea,

ha il compito di eseguire il lavoro sporco.

Un immenso campo di girasoli,

quando il sole è ormai calato:

questo è l’esito della battaglia,

questo della guerra il risultato.

Un deserto, di cui non scorge l’orizzonte,

vien raggiunto da un viandante.

“Questo è il luogo” egli si dice,

“dove si consumò la battaglia”.

E il deserto, silente,

vuol urlar col suo silenzio

la testimonianza;

i nomi di chi ormai sono il deserto,

di chi lì installò dimora.

E così, anche le montagne,

alte ed imponenti,

sembran monumenti,

obelischi atti a ricordare: “Avvenne qui”.

E, quando cala definitivamente la notte,

quando l’ultima luce si spegne,

sempre il deserto, le montagne e i girasoli rimarranno,

per raccontar col loro silenzio

la vera storia,

la cronologia dei fatti,

di chi organizzò la guerra

e di chi la combatté.


 

IL POLITICO

( Tratto dai racconti del terrore e dell’immaginario del libro “PRIMI PASSI”)

Era una notte buia e tempestosa, la grandine sbatteva violentemente contro le finestre della casa di

William Hungrey, celebre parlamentare inglese. Viveva con la moglie nel quartiere Soho, a Londra,

e non aveva figli. Si sospettava, in Governo, che nel suo studio progettasse chissà quali piani per il

rapimento della Regina e la sua conseguente incoronazione a Re d’Inghilterra. Che rivoluzione

sarebbe stata! Probabilmente questi sospetti erano ispirati dall’invidia che tutti nutrivano nei suoi

confronti, forse per il potere che aveva acquisito e che andava acquisendo, forse per il suo tracotante

modo di presentarsi alla Camera. Il suo più crudele oppositore, Hamish Stuart, faceva girare la voce

che frequentasse brutti circoli nelle zone più depravate della città. Molte persone credevano a

queste dicerie, anche perché Hungrey era spesso stato visto rientrare a notte alta. Anche la moglie,

purtroppo, dava adito ai pettegolezzi e meditava di divorziare dal marito, ignaro di tutto ciò.

Dato che, sotto l’abito elegante, si celava un animo violento e subdolo, se Hungrey avesse saputo

del progetto della moglie probabilmente l’avrebbe fatta a pezzi. Hungrey, comunque, era sicuro di

sé, convinto che la moglie gli fosse fedele nonostante le sue infedeltà. La moglie di Hungrey

garantiva la sua buona posizione sociale e, soprattutto, economica. Era infatti Patricia Hungrey, nata

Patricia Miller, ad assicurare tutte le certezze del marito, certezze che sarebbero scomparse con il

divorzio, ovviamente. È prevedibile, dunque, che ad Hungrey facesse comodo essere sposato con

Patricia, mantenendo comunque qualche relazione extraconiugale. Quella notte Hungrey pensava a

come sbarazzarsi di Hamish Stuart, preparando un accurato piano per incastrarlo. Stuart era un

moralista conservatore, con un punto debole però; se alzava anche di poco il gomito, gli era difficile

poi riabbassarlo. Hungrey aveva pagato un uomo per urtare il brillo Stuart. La reazione di

quest’ultimo, come il nemico prevedeva ma soprattutto sperava, fu esagerata: inveì contro di lui con

minacce, maledizioni e offese anche abbastanza pesanti. Il giorno dopo, l’uomo oggetto di tali

minacce venne trovato morto. La polizia incriminò Stuart, il quale, se anche fosse riuscito ad uscire

di prigione, avrebbe avuto la fedina penale sporca e la carriera rovinata. Andò proprio così: non fu

ammesso in Governo e, per l’onta, si tolse la vita. Hungrey aveva raggiunto il suo fine. Qualche

mese più tardi Patricia Hungrey venne investita da una carrozza.

Coincidenza o no, in molti sospettarono che ci fosse sotto lo zampino di Hungrey, ma, per la

mancanza di prove, nessuno poteva dimostrarlo. Sta di fatto che ereditò un’enorme fortuna e ne

spese una buona parte per la campagna elettorale che voleva vincere ad ogni costo. In effetti,

Hungrey, era il classico politico senza scrupoli che corrompeva gli elettori. Forse era anche per

questo che tutti l’avversavano.

Una notte, stanco per l’arringa in Parlamento che aveva studiato per mesi, andò a letto molto presto

e si addormentò molto facilmente.

Ad un tratto, a notte fonda, vide, svegliandosi di soprassalto, una donna che piangeva.

Riconoscendo la moglie defunta, si avvicinò a lei e le appoggiò una mano sulla spalla. La donna si

voltò e, mostrando due affilati canini da vampiro, si avventò sul marito. Questi tentò di fuggire, ma

la moglie lo raggiunse, lo spinse a terra ed iniziò a picchiarlo selvaggiamente. All’improvviso,

un’aquila prese Patricia per il colletto del vestito e la portò via. Appena Hungrey si fu rialzato,

malconcio e sanguinante, vide venire verso di sé Hamish Stuart, che lo squadrò con occhi gelidi e

gli puntò contro una pistola. Poco prima di premere il grilletto, girò la pistola e si sparò. Hungrey

era fuori di sé, non capiva più nulla. Cominciò ad urlare, mentre si alternavano, nella sua mente, i

volti di Patricia e di Stuart, che lo fissavano con occhi vitrei.

La terra tremò, dal pavimento uscì un essere mostruoso che assomigliava ad un dinosauro. Hungrey

si nascose sotto il letto, ma anche lì delle piccole bestioline lo raggiunsero, mordendolo in ogni

punto del corpo.

Hungrey gridava aiuto, ma nessuno lo udiva o accorse per aiutarlo. Nella più totale disperazione, si

strappava i capelli, si aggrappava al letto, poiché il dinosauro lo voleva trascinare con sé nell’abisso

della morte. Vide altre cose spaventose, cani e lupi di proporzioni immense, gatti enormi, di

grandezze esagerate, coccodrilli aggressivi, insomma animali giganteschi e mostruosi. Hungrey

fuggì dalla stanza, proprio mentre stava prendendo fuoco, corse giù per le scale, raggiunse il salotto

e si barricò dentro sbarrando porte e finestre. Ma il pericolo era all’interno; la testa di alce appesa al

muro si animò ed inveì contro Hungrey. Una fiamma si alzò dal caminetto raggiunse le tende e, ben

presto, il fuoco avviluppò l’intera stanza. Hungrey ruppe la finestra e uscì in strada, correndo per le

vie deserte. Ombre misteriose lo seguivano, si sentiva braccato da carnefici occulti, che lo volevano

uccidere. Le poche persone che incontrava lo guardavano in malo modo, come per dire: “Assassino!

Tua moglie ed Hamish Stuart li hai uccisi tu!”

Ma era stato lui? Beh, su Stuart non c’era dubbio. Ma Patricia? Era lui il mandante dell’ubriaco

vetturino che l’aveva uccisa? Non lo ricordava. Era confuso, molto confuso. Non sapeva cosa fare

ed era la prima volta che gli succedeva: doveva fuggire da una potenza misteriosa ed oscura, oppure

farsi uccidere per i peccati commessi? Da politico senza scrupoli qual era scelse la prima

possibilità: non aveva, però, il denaro necessario per un viaggio. Si voltò a guardare la sua casa: era

un rogo avvolto in lingue di fuoco scoppiettanti, che rischiaravano il cielo scuro. Hungrey

conservava il denaro in casa, poiché non si fidava delle banche e quasi tutto il patrimonio era in

banconote, quindi tutto andò perduto. Il parlamentare non possedeva più nulla, poiché le altre

proprietà le avevano ereditate i parenti della moglie. Non sapeva dove andare per trascorrere la

notte, né come sopravvivere nei giorni successivi. Tutta la sua potenza, la sua ricchezza di colpo

erano svanite. Chiese riparo a molte persone, ma tutti gli sbatterono la porta in faccia. Si insediò

sotto il Waterloo Bridge e da lì non si schiodò più. Di giorno domandava l’elemosina, mentre di

notte, coperto da qualche straccio, si dedicava ad azioni di brigantaggio; derubava, stuprava,

talvolta uccideva per ottenere i propri scopi. Portava via tutto ciò che poteva, anelli, soldi, bracciali,

collane, orologi e poi li vendeva di nascosto. In pochi mesi racimolò un bel gruzzolo, viaggiò

all’estero, triplicando la sua fortuna e poi ritornò a Londra, dove, cambiando totalmente aspetto ed

identità, ricostruì l’impero che era stato distrutto. Cambiò campo: dalla politica passò all’economia

e divenne un banchiere di successo. Raddoppiò ulteriormente il suo capitale con un trucco utilizzato

nell’antica Roma da Marco Licinio Crasso: appiccava degli incendi in alcuni condomini molto

grandi, poi li acquistava a prezzi stracciati, li ristrutturava con pochi soldi ed infine li vendeva a

prezzi esorbitanti.

Ma i suoi demoni tornarono a perseguitarlo: la figura piangente della moglie tornò nella notte e

così anche quella di Stuart con la pistola. Era estremamente suscettibile, sognò perfino la moglie

che si mangiava il suo denaro.

“Mi riprendo ciò che tu mi hai rubato!” ripeteva.

Questo accadeva regolarmente ogni singola notte. Infine giunse la mazzata finale.

Non si seppe mai come, l’intera fortuna di Hungrey scomparve nel nulla. William Hungrey non

resistette al trauma e si gettò dal quarto piano di casa sua, accompagnato dalla moglie e da Hamish

Stuart, che, come Virgilio per Dante, gli avrebbero fatto da guide per l’inferno, che da

innumerevole tempo stava aspettando quel politico senza scrupoli.