La tempesta nel cuore

Occhi rapaci la guardarono,
un invito sbagliato, un drink consumato,
quel suo istinto inascoltato.
Sulla sabbia desolata
il suo pianto nella gola si fermò.
Il suo vergine petto denudarono, in tre su di lei:
la picchiarono, la ferirono, la spogliarono;
Occhi assassini divertiti dallo spettacolo:
<<facci godere puttana, facci godere!>>
Non un grido, non un urlo uscì dalla sua bocca.
Muta, moriva trafitta ad ogni spinta, ad ogni dolore,
ad ogni sigaretta spentale addosso.
<<Facci godere puttana, facci godere!>>
Tre sciacalli su di lei l’azzannavano,
preda inerme lottava solo per non morire.
“Devo rimanere viva”.
La sua mente le offriva una possibilità per non essere morta.
Si fermarono sazi, ma insoddisfatti:
quella donna non aveva gridato!
Il corpo tumefatto, non più puro
era stato sfregiato, offeso, colpito.
Ma la sua anima no, si era salvata.
Tremando andò verso il mare, la sua pelle
era più fredda dell’acqua d’estate.
Si lavò, lentamente
divenne nuovamente feto
in un liquido amniotico salato.
Rinacqui ancora una volta, non più da mia madre,
ma da me stessa, dal mare, dalla stessa terra.
Fui di nuovo donna, di nuovo viva.


A Mimì

L’abitudine non ha avuto
il tempo di abbattere i tuoi giorni.
Dietro un muro di non vita, ti sei fermata,
per mano di un destino indecifrabile,
cattivo ed immutabile .
In fondo al cuore il tuo canto bufera,
si è spento in un soffio celeste.
Le tue ali, controvento lontane,
la tua lotta contro un’infame malattia: la jella.
I tuoi nemici: altri come te,
invidiosi del tuo rauco eco d’amore.
Le tue note compagne dei miei giorni.
Le tue parole,
spartiti della mia sfuggente vita.
“E non finisce mica il cielo”, cantavi.
Eh si, amica Mia,
avevi ragione tu, il cielo non può finire!.
Hai curato le tue vecchie ferite.
Hai curato le mie ferite, senza chiedere nulla in cambio.
Guarirà la tua assenza.
Chi pagherà?
Guarirai la mia partenza?


All’amico poeta Alekos Panagulis

“Nemesi
Non dimenticare
Non dimenticare mai
Non devi dimenticare”
Così tu scrivevi, così voglio ricordarti.
Quanta lotta nella tua vita Alekos!
E oggi chi lotta? C’è ancora una lotta?
Siamo stampe di pellicole preconfezionate,
tristemente uguali ed emulate.
Il branco uccide senza fame,
per noia, per gioco, per solitudine.
Il tuo, invece, ti uccideva perché lottavi.
Siamo gregge, tessere di un puzzle,
nelle mani di burattini senza onore.
Dov’è finita la lotta, amico mio?
Ho scelto la tua stessa strada:
irta, silente, insidiosa e solitaria.
Contesto un mondo che non mi appartiene.
Sono il rifiuto di questa società,
di una politica senza etica,
di una violenza senza rispetto.
Amico mio, ti sento al mio fianco,
in una scintilla di fiamma.
Non spegnerò la mia libertà, mai,
così come tu non hai spento il tuo combattere.
Brindo a te Panagulis! A me, e ai diversi!
Non dimenticheremo! Lotteremo!
Viva la rivoluzione!