IL NIDO

Un abbraccio lungo e sincero

La certezza di un tempo infinito

La carezza di una madre sulla nuca di un figlio

Il nido caldo e rassicurante offerto dalle parole prive di suono e dai gesti sinceri

e condivisi.

Tutto ciò lessi nel tuo sguardo, protetta dalle tue ali mentre mi indicavi la via…


IL COLORE DEL MONDO

E’ come ti guardo mondo che ti dà il colore

E’ il tuo profumo che congiunge la mia anima a te

I tuoi lamenti e le tue grida di gioia fortificano il mio spirito

Il bene nascosto nei tuoi angoli remoti fanno di me un essere di statura.


QUEL SOFFIO DI VENTO

E’ lì che ti trovai in fondo al mio cuore in quel punto preciso dove si danno la mano due compagni di viaggio dove tutto viaggia con la naturalezza del respiro…un’intera esistenza passata a respirare…a prendere e a restituire a inebriarsi di momenti…attimi che scaldano le notti buie sentendo di fare la cosa giusta e lasciarsi trasportare da quel soffio di vento come una ninfea candida sulle acque muove lenta ogni sua speranza e crescere come un virgulto la cui luce è il tuo sorriso la cui pace sono i tuoi pensieri. Per un’intera esistenza mi domandai perché fosse importante…ma poi ascoltando nel vento le risposte si che capii…esse mi guidarono senza sosta verso il tuo sorriso inesorabilmente persa nel sospiro del vento nel suono di una voce…timida sussurrava avanti…è oltre…


 

LA VOCE DEL MARE

 

Innamorati fin da bambini, Amina e Nabil, due giovani fidanzati archeologi, lavoravano agli scavi e al restauro della cattedrale San Simeone, in Siria.

Amina, che in arabo significa “fedele”, è una donna dal carattere docile e riflessivo, legata alle tradizioni della sua terra. La sua grande passione è la scoperta del passato e la sua relazione col presente. Nabil, che in arabo significa “nobile”, è un uomo dal carattere forte e determinato, pronto ad affrontare con impeto indomabile tutto ciò che la vita riservi.

Il legame dei due giovani era indissolubile ed avevano creato un rapporto di interdipendenza non comune nelle coppie del loro ambiente. La loro vita trascorreva nella normalità e nella semplicità, ma accesa da una forte passione comune: la sete di conoscenza.

Un’ombra inquietante però si faceva strada nella loro vita e non solo la loro. Nella primavera del 2011 arrivò la stagione della crisi, culminante nella guerra civile, e i due giovani furono costretti a vivere, loro malgrado, un tempo nuovo.

Avevano sempre immaginato il mare come una parte di essi, del loro intimo più profondo, una stupenda opportunità per esplorare nuovi confini, spinti dalla voglia di conoscere altri paesi e nuove culture.

I segni di quel tempo erano però sempre più tristemente visibili. I loro sguardi si incontravano velati da una sensazione di incredulità per quanto di terribile accadeva intorno a loro. Venivano spesso informati di rivolte e guerre civili, ma viverle significava smettere di misurare il tempo.  I loro cuori, invasi da un senso di impotenza, sembravano conoscere il destino delle loro certezze.

Il pianto dei bambini e le grida delle loro madri lasciavano presto il posto ad un silenzio di polvere.  La natura smise di emettere suoni e gli occhi della gente comune erano intrisi di lacrime dal sapore della rabbia e della vergogna.

Nabil sapeva che avrebbe lottato perchè la sua disperazione non si trasformasse in sorda ed impotente rassegnazione. Amina restava a lungo in silenzio…un silenzio nuovo ed eloquente che raccontava le sensazioni del corpo, reso inerme dall’aria pesante che si respirava tutt’intorno. Il giovane Nabil pensava al mare che tutto abbraccia, al moto delle sue onde che trasporta echi di voci lontane, suppliche e risa.

Come molti erranti i giovani si misero alla ricerca di una nuova vita, lasciando la loro terra d’origine e dedicando l’ultimo pensiero al palazzo Azm a Damasco dove nacque il loro amore. Non appartenevano più al loro mondo ma il desiderio della sua ricostruzione era più forte della loro tristezza e vinceva ogni paura.

Durante il viaggio in mare, una nuova luce nei loro occhi scrutava gli orizzonti che annunciavano ora l’alba ora il tramonto.  Si sentivano al sicuro dentro la loro anima, cullata dalla voce forte e incoraggiante del mare. I sentimenti dei due giovani non lasciavano spazio alla rassegnazione e alla perdita d’identità, nemmeno quando sentivano le grida di chi veniva risucchiato dai vortici. Come il mare, neppure loro avevano paese e questo li faceva sentire abitanti del mondo. No, non ce la facevano proprio a sentirsi “vinti”.

Dopo un viaggio lungo e pericoloso, Nabil e Amina arrivarono in Italia, un paese diverso da come se lo aspettavano o forse era soltanto lo smarrimento iniziale per aver lasciato nel mare, amico e confidente, le loro certezze.

Accolti da corridoi umanitari, ben presto compresero che era vitale cercare il contatto con persone che capissero la loro storia, il loro desiderio di tornare un domani nella loro patria, nel loro tessuto sociale.

La prima lacrima sul volto di Amina annunciava la parola “muro”, il sentimento che la pervadeva era il terrore che questo nuovo popolo li accogliesse considerandoli poco più di un numero, un corpo da ristorare, una pratica da evadere. Nabil sapeva, in cuor suo, che il rischio della spersonalizzazione era alto e teneva forte la mano di Amina allo stesso modo con cui si stringe un patto d’intesa.

Dopo alcuni mesi, i due ragazzi trovarono ospitalità presso una famiglia di Ragusa. Il loro calvario sembrava stesse volgendo al termine. Accoglienza e diffidenza furono presto trasformate in collaborazione e fiducia reciproca. Il lavoro nei campi non li spaventava e presto si adattarono alla loro nuova realtà. Non scelsero di assimilarsi al nuovo scenario culturale e di dimenticare la propria identità, bensì di interagire ogni giorno con ciò che la vita offriva loro. L’integrazione arrivò presto.

Più tardi si trasferirono ad Agrigento e qui riemerse la loro passione per l’archeologia. Le meraviglie della Valle dei Templi dorici, il loro stato di conservazione e resistenza evocavano la determinazione ad andare avanti e riuscire a farcela nonostante tutto.   Le stesse rovine di Eraclea Minoa, citate nelle verrine di Cicerone, ricordavano il mescolamento di cittadini vecchi e nuovi.

Come, per molti studiosi, anche il tempio di Segesta rappresenta un’opera non terminata, così per i due giovani archeologi la ricostruzione della loro terra d’origine deve attendere l’arrivo di tempi migliori…