Nel giorno dell’istrice

Ne felino
ne pecora
gomitolo notturno di aghi in cheratina
svii per massi e muretti
cerchi serpenti per mozzarne il capo
lasci la coda innervata di ultimi sussulti.
Saggio predatore delle ore di buio
arriccia il naso e carica a balestra
cupìdo di conquista
spara aculei
nelle ore del sonno,
qualche vergine ne rimarrà colpita.
Acu(i)lei fedele.


Radio Londra

proiettili umidi
rimbalzano sugli scuri
sicuri
i pensieri
liberi
fanno resistenza
al lungo gocciolare.


A m’ arcord, oppure no

Sera nostalgica
nevralgica
dolente
dò lente
in sù pe ì nervi
catervi
favella
Impruneta
unica moneta
bella
Euro
vento d’Est, Volturno
nostro turno
a difender la vigna
tigna
dimostra
timora
la nostr’ora
di dire uragano
una mano
una volta all’ Arno
o Rubicone
quante persone
al seguito
dì un Pò?
Nessuna
se non Fellini
racconta
ricorda.
Bellini
noi tesi
su corda
Saturnalia
una barbaria
scherzetto dolcetto
pezzetto d’Italia.


Ritratto

Ombelico della pangea. Concavo e riempito di nero nel limite del bordo. Ogni sasso che vi cade è zucchero che, a fondo perso, si scioglie in una tazzina di un buon tostato; fumante e caldo. Torbido e argenteo alla luce del pomeriggio filtrata dai rami di piante palustri; è un espresso. Appesantito e sporco nei resti galleggianti di natura morta è caffè greco allungato con posa in superficie.


Black Out

Il mondo si oscura. La luce artificiale per ogni dove è buia. Le tenebre s’impossessano di casa. La sfiga di una notte senza luna piomba sul capo priva di attenuanti. In cerca di spiragli di luce, il cervello è l’unico gruppo elettrogeno in funzione. Si accende una lampadina,è un’idea. Fai le condoglianze alla pera di vetro e tungsteno appesa al ramo del lampadario,Edison è morto due volte. Mantieni luminosità col cellulare, primi 5 secondi di luminescenza. Continua a spegnersi. E’ snervante la competitività del piccolo aggeggio infernale, il suo schermo non è una risorsa. Pensi, continui a pensare. Il cervello è un fuoco di ragionamenti. Biasimi il tuo non aver mai comprato i piccoli ceri da cimitero. Lumini, lupini, piccoli semi luccicanti, appiccati di sotto da Selene.


Nel buio

Leggevamo poesia nascosti nei sottoscala. Angoli bui e rime baciate. Lume di candela a far luce sull’inchiostro. Il problema era di tutti, il problema era il nostro. Evitare le guardie, non era gioco per ragazzi, e scivolare via, roba da pazzi. Percolato della notte e ombre sulle mura. Vietato scrivere e affiggere parole, comandamento primo dei dodici. Affliggere l’anima e infliggere pene era libero diritto dei viscidi dell’apostolato. Noi confinati nel sottosuolo, vivevamo in branco, vivevamo di contrabbando. Vivevamo stipati in loculi angusti, noi, scimmie amanuensi. Codice di vita e di morte, codici copiati a mano. Non si vedevano parole stampate dalla censura maior. Leggere era morire. Scrivere era vivere.


Firenze umana e disumana, manierata alla maniera dei romantici

Per incipere, cadono le foglie. Autunno, una nuova stagione per voltare pagina, svoltare l’angolo. Una passeggiata sotto la pioggia, per schiarirsi le idee e sgranchire le gambe. Per incipere, un lungo fiume, lungo quanto l’uggia dei pensieri. Umidi, pesanti, melmosi, arrotolati e marroni, acqua d’Arno. Rivoletti fanno ruscelli e mulinelli creano ingorghi. Qui nulla si sciacqua, nemmeno le parole. Restano scure, superficiali, riflusso giallo del Gange. L’anima pesa, si annerisce di nubi. Temporali interiori. Le A hanno punte di lancia, Le V spigoli aggomitati e le esse, beh le esse hanno le curve; e che curve, unica soddisfazione. Nessuna sensualità attraverso questo vialone dritto senza snodi. Buone maniere, manierismi, formalità e forme. Mi chiedo dove siano annegati il senso ed il succo, le cose che danno sapore alla vita. Per quale motivo debbano ristagnare al fondale, attaccati a chissà quale pesante zavorra. Umanesimo filantropico vuoto come un pozzo in secca. E noi: passanti non curanti della pioggia, misantropi, lottatori di coscienza 24/24 h in subbuglio, bollitori di succhi gastrici e pancreatici, profili dalla faccia oscura; in questo istante unici romantici sul cranio terrestre.


Mosche

Mosche attaccate al soffitto, la luce le eccita. La lampadina ad incandescenza le rende ridicole. Sono quattordicenni con ali rachitiche, sono quattordicenni che si inseguono, sono quattordici anni che ronzano sui miei pensieri ad escandescenza. Sorvoliamo, anzi “che sorvolino”. Giuliano ha di nuovo le mosche volanti, non gli capitava da mesi. Si piazzano davanti agli occhi e rimangono lì fino a che la crisi gli passi,fino a quando i 100 mg di Sertalina al giorno diventino paletta gigante e le schiacci sotto il peso di un farmacologico equilibrio. Succede quando i ricordi lo annegano, lo bagnano di paure mai affrontate e forti correnti lo spossano. Senza volontà va alla deriva. E’ un disperso, un naufrago di burrasche interiori.