Riflessioni

Siamo nel XXI secolo e sulla terra si continua a uccidere come mille, duemila anni fa.

E’ stato detto tutto sull’evento tragico che ha caratterizzato questi ultimi tempi, dall’11 settembre a oggi.
Tutto, parole di solidarietà per il popolo americano, parole crudeli per il fanatismo “islamico”, parole di guerra, di vendetta, di rivalsa, di sortita, d’indulgenza, di comprensione, di carità, di solidarietà, che aggiungere o togliere a quanto è stato detto? Mi ritornano alla mente le parole di Pascal “ gli uomini non sono né bestie né angeli ma bestie e angeli”. Gli uomini sono capaci di creare e distruggere, di ingannare e d’ingannarsi, se ricordassero questo, forse eviterebbero altri sbagli tragici che hanno rovinato e distrutto lavita di migliaia di persone che feriscono ancora la libertà e la dignità d’ogni uomo. La giostra della vita gira nel buio e solo un profilo contempla “assolutismo”. L’assolutismo della civiltà occidentale con il suo liberalismo pervertito, con la sua fraterna ipocrisia. L’assolutismo del modello alternativo (civiltà dei muslim) economicamente progressista e moralmente conservatore ossequioso dei precetti coranici. Civiltà diverse ma che hanno in se un’unica luce che punta sul cerchio totale svelando ingiustizie profonde contro la verità dell’uguaglianza. Nessun uomo è per se stesso, ognuno è un pezzo del mondo, dell’umanità. La vita è divina perché fin dal suo inizio, comporta un’azione creatrice di amore e rimane per sempre in una relazione speciale con tutto il creato. Ogni uomo è parte dell’umanità che porta in se ogni fratello, ogni uomo è chiamato a una fraternità universale. Un solo Dio, un’unica fratellanza un unico popolo.


Una donna

Era un giorno di primavera, esattamente 8 aprile, quello sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita mesta e l’inizio di un’emblematica sopravvivenza. La chiesa, quel giorno, era adornata di fregi e festoni. Petali d’orchidee, cadute lungo la navata centrale, facevano da guida verso il centro dove, due sedie ornate di pizzo e organza rossa, attendevano di essere occupate. Su i banchi libri spiegazzati, raccontavano le meraviglie della natura, l’opera di Dio e si elevavano in silenzio come preghiere, come suppliche. Quel matrimonio intriso di paura, d’ansia, era la celebrazione di una nuova, misteriosa vita.
Finita la celebrazione, il banchetto nuziale attendeva quegli ospiti, che ignari avevano assistito al preludio di giorni tediosi, per quei due che la vita per oscuri misteri aveva unito in matrimonio. La tavola era bandita con leccornie d’ogni genere. Al centro, piramidi di pancarrè con caviale, ai lati vassoi di porcellana decorati a fuoco erano colmi di filetti di sogliola tonnati. Crostoni di scamorza, in verde,alla trota su conchiglie di madre perla ornavano gli angoli della tavola. Fragolini alla panna, spuma al cioccolato,dessert di frutta al grill su coppe di cristallo, coloravano la bianca tovaglia di pizzo dell’elegante tavolo sulla terrazza della sala.
Lo sposo intratteneva discorsi con gli ospiti raccontando loro della fortuna che aveva avuto nell’aver conosciuto una donna meravigliosa come Laura.

Giuseppe, spiegava all’amico che tutte le spose i primi tempi sono eccezionali, accettano qualunque compromesso pur di renderti felice, le partite e anche le cene con le amiche ma poi, con il passare degli anni, diventano sempre meno tolleranti fino a costringerti a rinunciare ad ogni distrazione.
Laura ascoltava silenziosamente i discorsi di quegli uomini.
Lei non sarebbe stata quelle donne.

Sperava in una profonda armonia, in una complicità che mai avrebbe portato la loro unione alla distruzione. Credeva in quel principe azzurro, e che l’avrebbe amata senza condizioni, con tutto l’amore che avrebbe potuto.
Lei sarebbe stata la sua dolcissima principessa.
Sonia, una ragazza robusta, dalla pelle bianca come l’avorio, capelli lungo le spalle dal colore rosso tiziano e occhi neri come l’ebano, ricchi di letizia, era la sua più cara amica. Lei non aveva mai creduto in quel rapporto idilliaco.

Dietro quegli occhi verdi come il mare ne scrutava spesso le sue oscure profondità che tenevano segreti solo tanta malinconia.

Così era Laura, occhi verdi cangianti: al sole si schiarivano quasi a divenire trasparenti, all’imbrunire si scurivano di un azzurro intenso. La sua pelle scura la faceva da padrona su tutto il suo viso dai lineamenti marcati che la rendevano molto più matura della sua età. Il suo volto sprigionava un forte equilibrio. Non molto alta, ma aveva un fisico scolpito quasi statuario Il seno turgido risaltava nella sua corporatura minuta.
Dopo la gran festa, l’approccio dei due che avevano consumato già quell’amore proibito, fu pieno di passione.
Il giorno dopo una fuga verso quel viaggio interminabile. Strade, vicoli di città del nord dove tutto è cupo come il cielo che le sovrasta. Bologna, soprannominata dotta per le sue antiche tradizioni culturali, e la grassa per le sue tradizioni gastronomiche. Il portico del XV sec. Di S. Giacomo Maggiore. Chiese del medioevo coronavano la città conquistata già dai lontani Etruschi.
Venezia, su di una laguna dove gondole cullavano amori venuti da lontano. Giotto, Veronese, Tintoretto decoravano le chiese di questa città dai vicoli e ponti che si affacciavano su grandi piazze, dove uccelli attendevano un po’ di cibo dai numerosi turisti che si intrattenevano in discorsi, risa e ammirazione per le meraviglie di quella città.
Verona, sotto i piedi dei monti Lessini con il suo anfiteatro elevava note melodiche.
Visitarono tutto in tre giorni, poi il ritorno.
L’attesa di quel figlio inatteso le procurava un senso d’ansia. Pensava se mai fosse stata una brava mamma, capace di svegliarsi la notte per allattarlo, di educarlo nel rispetto dell’altro. Avrebbe mai potuto scrutare i misteri di quella creatura simile a lei? Le ansie della mamma nell’attesa sono il tipico sintomo della donna insicura. Le donne, celano una gran forza che spesso sorprende anche loro. Sonia cercava di far riposare la sua amica che ormai aveva consumato il tempo dell’attesa, era alla 41^ settimana.
Laura sentì che di lì a poche ore avrebbe partorito.
Dolori lancinanti, respiri affannati, stimoli, questo accompagna la donna prima che il nascituro, un bebè piagnucolone, si affaccia alla vita. L’ostetrica gridava di spingere ogni volta che Laura prendeva di nuovo fiato e ricominciare quello strazio infernale, sembrava impazzire.
Nella sua mente le parole del suo uomo, Leo, le sembravano assurde. Le diceva che le donne erano fortunate per la possibilità che avevano di dare la vita. Lei sosteneva che non era una fortuna, anzi, avrebbe dato volentieri questa gioia a un uomo, anche al suo.

Quando stanca ed estenuata si accorse che l’esserino da lei generato era sul suo ventre, Laura, lo accolse pensando che quello sarebbe stato come un fulmine a ciel sereno.
La felicità dura solo un istante.
Lei
Si alzarono di buon mattino, la barca li attendeva per un’escursione verso l’isola di Capri. Giulia indossava un paio scarpe da ginnastica che si abbinava alla camicetta la cui scollatura faceva intravedere la pelle che si era dorata al sole del giorno prima e jeans dalla vita bassa. I capelli raccolti evidenziavano il volto radioso pieno di spensieratezza e allegria. Anche gli altri, compreso Marco, quel giorno, indossavano vestiti comodi. Giovanni si affrettò a far salire sulla barca Giu ed Elena, sembrava sapesse come muoversi, anche su quella superficie che ondeggiava come il ritmo del cuore. Tutti si sedettero e la barca prese il largo. Giu rimase affascinata da tanta bellezza, l’acqua azzurra cristallina faceva intravedere tutta la roccia sottostante e una miriade di pesci saltava innanzi a lei. In quel luogo la terra si mescolava al cielo, al mare creando una luce straordinaria. La natura incontaminata cullava l’immenso scoglio che emergeva dagli abissi.
Erano davanti a Capri, l’isola dalle strane leggende, che aveva incantato nei secoli scrittori, poeti, musicisti, pittori e registi.

Giovanni prese a raccontare:

– C’è una villa, immersa tra pini e cipressi, che sembra un fantasma, sul ciglio di una rupe a picco sul mare sul Monte Tiberio. In questa dimora del mistero, della poesia, pare che sia possibile vedere strane luci e sentire strani rumori, si dicono fosse un santuario per amare e addolorarsi. Oggi la villa è aperta per alcune manifestazioni culturali.

Giulia pensava alle storie che si erano susseguite in quella villa, chissà quanti amori, passioni, delusioni potevano ancora raccontare le mura di quella splendida residenza. In fondo, si diceva, tutto qui è un sogno: le grotte marine, i faraglioni dalle forme singolari, il verde della vegetazione sulle scoscese pareti rocciose, gli ineguagliabili panorami e l’arte, cultura, mondanità, la rendevano ricca di fascino e di possibili avventure. Arrivarono vicino al lido roccioso di Gradola per visitare la Grotta Azzurra.
Affrontarono una lunga coda di turisti prima di poter fare il biglietto per salire su una piccola imbarcazione a remi. Giovanni e Giulia furono separati dal gruppo. I barcaioli iniziarono a cantare una delle tipiche canzoni locali.
L’atmosfera si tinse di un alone che evocava tempi lontani.
L’entrata della grotta era particolarmente stretta. Il barcaiolo fu costretto ad abbassarsi e spingere con forza la barca per entrare in essa.

Superato l’ingresso scavato nella roccia, il buio iniziale della Grotta Azzurra fu inghiottito da scintillanti riflessi azzurri dell’acqua, dovuti alla luce del sole che entrava nella cavità da un secondo ingresso.
Furono tutti sorpresi dal gioco di luci che si venne a creare nelle acque circostanti.
– Giovanni.- Disse Giu.
– Non hai la sensazione di essere sospeso nel cielo e non seduto su questa barca che galleggia sull’acqua? –
– Conosco bene la sensazione che provi. Ogni volta che faccio ritorno in questa grotta, sono assalito dalle tue stesse percezioni. Guarda i riflessi argentei intorno alla barca.
Giovanni la strinse tra le sue braccia, accostò le labbra alle sue e la baciò intensamente.
Lei sentiva lo scintillio di quelle acque entrare nel suo corpo, fremiti di piacere la assalirono. Quell’uomo era capace di donarle sempre nuove sensazioni, cariche di passione ed emozioni.
Giovanni, stringendola ancora a se prese a dire: – Sai questa grotta si presume che fosse uno dei ninfei preferiti dall’Imperatore Tiberio. Sul fondo della grotta, infatti, sono state ritrovate alcune sculture risalenti al periodo romano. Per molti secoli la Grotta Azzurra non fu più visitata e, anzi, i marinai locali ne stavano lontani, perché le leggende popolari la descriveva come un luogo infestato dai demoni e dagli spiriti. –

– Non capisco come tanta bellezza possa essere stata tenuta nascosta, per tanto tempo, solo da superstizioni che non credo abbiano fondamenti storici. – Le leggende hanno sempre avuto una forte influenza tra gli abitanti di queste terre. Per fortuna, fu “riscoperta” da uno scrittore e un pittore suo amico e compagno di viaggio, attorno al 1800.

– E noi ne possiamo godere senza timor alcuno. –

– Si tesoro.

Uscirono da quell’antro ricco di magia il cui fascino si sciolse alla vista della luce accecante di quella giornata tersa. Risalirono tutti sulla barca che li aveva condotti alla grotta per approdare sulle rive di Capri.
Il fascino di Capri li colse di sorprese. Risalendo interminabili gradini arrivarono al centro di Capri: la notissima e singolare Piazzetta situata in una stupenda posizione panoramica, dove come se fosse in un salotto, all’aperto, la vivace comunità internazionale si dilettava riposare sui suoi celebri gradini in un paesaggio elegante e unico. Caratteristiche costruzioni a volta che si stagliavano in un dedalo intrecciato di vicoli e strade molto strette, si affacciarono innanzi a loro. Visitarono la chiesa barocca di Santo Stefano, poi Palazzo Arcucci sede della fondazione Cerio. Giunsero, in fine, al complesso monumentale della Certosa di San Giacomo dall’architettura tipica caprese. Da li proseguirono per i giardini di Augusto, dai quali poterono avere una magnifica vista sui Faraglioni e Marina Piccola. Il parco, attraversato da viottoli e scalette, era un’oasi verde con un suggestivo belvedere. Dai giardini raggiunsero Marina Piccola attraverso un tortuoso viottolo che scendendo fino al mare offriva loro, incantevoli squarci panoramici sui fondali e sui Faraglioni. – Vedete lo “Scoglio delle Sirene”, – disse Giovanni. – Secondo le teorie di alcuni studiosi del passato, era proprio quello il luogo in cui si trovavano le terribili sirene narrate da Omero nell’Odissea. – Le sirene incantavano, – disse Giulia – con il loro canto soave, tutti gli uomini che passavano loro vicino, li stregavano. Potresti rischiare di non rivedere tua moglie mio caro Michele. – Sono stato già soavemente incantato da mia moglie. Nessuna potrà avere più capacità di lei nello stregarmi. – Giovanni guardò l’amico con aria misteriosa. Giulia lo osservò, non capiva cosa lo avesse turbato. Forse non credeva che una donna potesse stregare un uomo? O forse lo era stato ma non nel modo che intendesse Michele? Sapevano tutti quanto amasse sua moglie allora, perché quell’aria sospetta? Sviò i suoi pensieri ammirando il paesaggio che li sovrastava, non era il momento di fermarsi a scrutare i misteri che celava Giovanni.
Decisero di rimanere sulla spiaggia ad ammirare quel paesaggio spettacolare, riscaldandosi al calore di quel sole splendente che li aveva accompagnati per tutto il tempo.
Giovanni si sedette, su di un ciottolo, vicino a Giulia, lei rimase immobile assorta nei suoi pensieri.
– Ragazzi – disse Elena
– Questi posti sono veramente ricchi di storia e di fascino, ne avevo sentito parlare, ma viverli è senza dubbio un’altra cosa. Viene voglia di trasferirsi qui e mandare all’aria la nostra vita frenetica. –

Michele sentiva la lontananza di sua moglie e per non farsi prendere dalla nostalgia esclamò: – Ragazzi chissà che Elena, in questo magnifico luogo, non trovi un bel mediterraneo e finalmente dica basta a quel sanguisuga di Anthony.

Il silenzio precipitò su di loro.
Giulia ruppe il silenzio.

– Quando torneremo, il nostro bel capo sicuramente ci sommergerà di lavoro e chiacchiere a non finire: ragazzi il tempo stringe dobbiamo consegnare quel lavoro; ma com’è andato il viaggio? E il bel tenebroso ha sfoggiato il suo sapere? E poi bla bla bla. –

– Di sicuro quando tornerò, metterò in chiaro che non può spremermi come un limone tutti i giorni e fino a notte fonda. – Disse Elena.

-Se vuole una bella limonata, tutti i giorni, possiamo portargli i limoni di questi luoghi, che sono magnifici.

Tutti sorrisero.
La stanchezza si fece sentire così tutti decisero di rientrare in albergo.
Sentiva l’acqua scivolare sulla pelle. Giulia accarezzava l’idea che un giorno il seme dell’uomo che prorompente stava entrando nella sua vita l’avrebbe bagnata con tutta la sua virilità. La schiuma lambiva il suo corpo per poi correre via lungo le sue gambe, lasciandola dolcemente in balia del desiderio. Tremava all’idea che finalmente un uomo aveva risvegliato in lei il piacere del desiderio. Un ricordo le sfiorò la mente.

La cinta sfregiava il suo corpo e il caldo pungente le arrossava la pelle.
Le grida strozzate in gola ancora risuonavano nelle sue orecchie.
Non poteva, ora, tornare il passato.
Asciugò i capelli con il suo solito fare veloce, si guardò allo specchio, sfilò via l’accappatoio. Si sentiva, finalmente, bella, sicura di se. I seni turgidi e il ventre piatto conducevano il suo sguardo verso la sua fertilità, nel luogo, dove brulicava la sua verdeggiante sessualità.

Aveva sempre pensato che non sarebbe stata mai capace di amare con la passione che accende quel desiderio che divampa all’improvviso.

Credeva nell’amore, ma forse lo aveva più idealizzato che immaginato come doveva essere nella realtà di ogni coppia. Aveva imparato a non ascoltare le sue emozioni, le sue sensazioni a tal punto da non avere più la consapevolezza di se stessa.

Forse sfuggiva all’amore o forse semplicemente non aveva imparato ad amare.
Il tocco alla porta interruppe i suoi pensieri.

– Chi è? –

– Sono Giovanni, sei pronta, per una passeggiata lungo mare prima della cena?–

– Dammi il tempo di vestirmi ho finito adesso di fare la doccia e scendo. –

– Posso entrare?-

“Che cosa fare”? Non esitò, mise l’accappatoio e aprì.

Lui la guardò, si avvicinò dolcemente al suo viso, chiuse la porta dietro di se e posò le sue labbra sulla carne nuda che s’intravedeva dall’accappatoio. Lei tremò.
Le labbra si unirono e il caldo delle bocche scaldò le loro carni.
La sollevò da terra e la adagiò sul letto. Delicatamente scostò i capelli dal collo, baciò le sue spalle, scese lungo i suoi seni.

– Sei bella!

La sua mano dolcemente scese lungo le sue cosce, s’intrufolò tra di esse. Giulia fu assalita da brividi di piacere, inarcò la schiena, le sue mani pavidamente cercarono la virilità di quell’uomo. Slacciò la cinta che cingeva la sua vita, penetrò dentro i suoi vestiti e toccò l’apice della sessualità.

Lui sussultò.

Lei baciò il torace, poi il ventre e in fine tutto il suo piacere.
I corpi ora si muovevano al ritmo di quella musica che la loro passione eseguiva.
Il succo della loro sessualità bagnò i loro corpi ne assaporarono tutta l’estasi primordiale.
Giacevano adagiati l’uno accanto all’altra. Lui toccava la pelle della donna che era stata sua e si senti pieno di orgoglio. Lei accarezzava i capelli di quell’uomo che l’aveva riempita di un nettare mai assaporato, di una dolcezza infinita. Una soave pace l’avvolse.

– E’ bello fare l’amore con te. – Disse Giulia.

– E’ bello fare l’amore con te. – Disse lui.

La cena era pronta. Giulia e Giovanni arrivarono quando ormai i colleghi erano febbricitanti nell’attesa della loro venuta.

Elena guardò Giulia e non poté fare a meno di notare la sua pelle luminosa e il suo volto disteso.
Osservò lui e ne scorse un sorriso di compiacimento.
Scrutò ancora la sua amica, pensò che il giogo fosse ormai iniziato.

– Ben arrivati, pensavamo vi foste persi nel sonno profondo. – Disse Michele. –

– Mi sono coccolata sotto il caldo della doccia e non avrei mai smesso. Tutto qui. – disse Giulia.

L’amica le lanciò una frecciatina d’incredulità.
Sedettero e come sempre mangiarono divinamente. La zuppa di pesce era stata la pietanza più prelibata del pasto.
La mozzarella arrostita su foglie di limone, fatta secondo una ricetta tipica del posto che avevano assaggiata in località Cannati, quando fu fatto loro il paniere dall’albergatore, estasiò nuovamente i loro palati per la sua fresca dolcezza.
La torta positanese, accompagnata dal magnifico limoncello di Sorrento, terminò la cena.
Giovanni prese a dire:

– Sapete che la paternità del limoncello è ancora contesa dai sorrentini, amalfitani e capresi?

– E’ buonissimo! Che continuino a contenderselo purché sia prodotto nei secoli avvenire. – disse Giulia.

– Amen. – Terminò Elena.

– Ragazzi, non vorrei rovinarvi la serata, ma domani faremo scorta di questo limoncello perché a Roma non lo troveremo così buono. – affermò Marco.

– Faremo tutte le scorte possibili, chissà che il limoncello non sia finalmente il simbolo di pace che porteremo al nostro capo?- aggiunse Michele.

– Limoncello, capo?- dissero in coro.

– Sarà fatto! – Il discorso terminò.

Tutti gli ospiti furono fatti accomodare a disporsi sulla terrazza per un brindisi di chiusura della giornata.
La terrazza era sempre illuminata da tenui luci, che rendevano l’atmosfera calda e accogliente. Giulia sentiva l’aria fresca sfiorarle il volto, l’accarezzava delicatamente cullandola tra pensieri pigri e teneri.
Sentiva dentro se tanta pace.
All’orizzonte le acque tranquille riposavano in attesa del sorgere di un nuovo giorno.
Lui le porse il bicchiere, come aveva fatto la sera precedente, colmo di champagne, lei lo guardò e ancora una volta si perse nell’abisso dei suoi occhi.
I bicchieri si scontrarono per il brindisi di chiusura.