A mio padre (marzo 2013)

Il sole era alto nel cielo
quel giorno
quando te ne andasti,
padre mio,
e mi lasciasti
sola
come chi avanza nel deserto,
il cuore ricoperto di tenebre,
affollato dalle ombre.

L’ospedale, i fiori e le candele,
i miei compagni,
quattro parenti sparsi,
gli occhi arrossati e i capi stanchi,
il suono dello zinco nelle orecchie,
la bara portata sulle spalle,
la foga di un urlo chiuso in petto
e il quadro della morte lì davanti.

Oh, padre mio,
negli ultimi respiri
inchiodato a quel letto di dolore!

Ricordo la tua mano
posata,
un tempo forte,
ora secca, immobile.

Ricordo lo strazio del tuo viso
un tempo bello,
ora freddo, silente.

Padre amoroso,
rimani nel mio cuore
saldo ancor come allora,
e la tua mano sento
ancora
sfiorarmi il capo,
commossa,
dinanzi ad un buon voto.

Vorrei ancora sentire la tua voce
quella di allora
di quel tempo lontano
che si copre di nebbia all’orizzonte
grave
come la torre di una chiesa
soave
come la serena brezza
nelle prime ore della sera.


Insieme
(maggio 2012)

Insieme
contemplar la bellezza di un salice
il candore di un cigno

Insieme
con stupore infantile
una bianca cicogna
lo sciabordio dell’oceano
il luccicar di un fiume

Insieme
ascoltare la voce del vento
un sorriso al pallore lunare

Insieme
lo sguardo ad un cielo ricolmo di stelle
anelare a una fresca sorgente in un giorno assolato

Insieme
man nella mano
su un sentiero che sembra infinito
la pioggia sui volti

Insieme
scoprire la luce del bene nascosta
come tra i prati le viole odorose

Insieme
cogliere in piccoli cuori
briciole immani
di tenerezza infinita

Insieme
mille piccole gemme
che danno un volto all’more

Insieme
un cuore soltanto
traboccante
in ascolto

Insieme
preghiera
un unico grazie al Creatore
un unico sussurro nel buio
un’unica richiesta di pace
di forza infinita

Insieme


Anoressia del cuore (marzo 2013)

Vento che soffia impetuoso
anima in cerca di riposo

Lacrime cocenti
un tappeto rosso polveroso
dinanzi un tabernacolo silente

Beffardo un uom dall’altro lato ascolta
la sferza in mano

Una prece sul labbro
richiesta assai accorata

Pace
richiesta
sognata
agognata
supplicata

Pace
dileggiata
rifiutata
disprezzata

Pace invocata
lacrime versate

Solitudine donata
sofferenza dispensata
menzogna affermata
anima giudicata

Amor calpestato
offeso e dilaniato
Eccolo il peccato!

Barlume di speranza

Speranza
di pensiero fremente
ascolto paziente
amor sincero
tenero conforto

Mente che vagheggia

No!!

Diritti, tu?

Io sol.
Sol io.

Tempo per te?
Sol sabbia che scorre sul vento

Fremente
continua a volare
l’autunno nell’anima
sul mare in tempesta

Vi si perdono i sogni
annegan le speranze

La notte avanza
foriera di illusioni senza luce

Assordante silenzio

Anoressia del cuore.


Notte nel mondo

È notte. È notte a Torino.
Sulle panchine, tra opachi binari,
si muore, si muore di freddo.
E i poveri, i poveri a Torino non si curano di far pena.

È notte. È notte a Palermo.
Per le strade, fra gli altri palazzi,
si muore, si muore di fame.
E i poveri, i poveri a Palermo sono stanchi di far pena.

È notte. E notte a Mosul.
Nelle piazze, tra profanati templi,
si muore, si muore di odio.
E i cristiani, i cristiani a Mosul non hanno paura di far pena.

È notte. È notte a Kabul.
Negli stadi, tra spalti assolati,
si muore, si muore di sogni,
si muore d’amore.
E le donne, le donne a Kabul sono stanche di non esser libere.

È notte. È notte in Nigeria.
Su strade polverose, tra case dai tetti ondulati,
si muore, si muor di terrore.
E una madre, una madre in Nigeria
è stanca di vedere uno ad uno cadere i suoi figli.

È notte. È notte ad Aleppo.
Sulle colline, tra polvere e pietre,
si muore, si muore d’orrore.
E i bambini, i bambini ad Aleppo
non hanno più voce per cantare i lor sogni spezzati.

È notte. È notte in Libia.
Sulla spiaggia, il mare negli occhi,
il Cristo nel cuore,
si muore, si muore, si muore.

È notte. È notte. È notte nel mondo.


Il cammino di Santiago

O pellegrin,
chi, cosa ti chiama sulla strada
ad affrontar polvere e fango,
pioggia ed arsura?

Sarà il cammino delle stelle,
che spinse antichi re d’Oriente
a piegar le ginocchia
dinanzi all’uscio della stalla
in cui, fatt’uomo,
povero e nudo albergava
il divin Re dell’universo?

Sarà il bisogno di clemenza,
che spinse principi e regnanti
rinunciando al desiderio vorticoso della lotta,
ad indossare il sacco
per cogliere il sibilo del vento sull’increspar dell’aria
e poter gioire, alfin,
l’ebbrezza del perdono?

Saranno le vestigia del passato,
che vider sognatori ed alchimisti
in cerca dell’ermetica rosa
abbandonare il puro arcano
per coglier nell’oceano sciabordante
e nel fulgore degli astri luccicanti
messaggi del divino al di là?

È un bisogno interior,
pressante,
che spinge a percorrere la via,
da soli o in compagnia,
pronti ad ogni aurora
a riprendere il sacco ed il bordone,
il cuor mai vuoto ma colmo di speranza.

È una voce interior,
possente,
che spinge a percorrere il cammino
sfinito ma mai assente,
le spalle pesanti ,
i passi costanti,
per placare la sete d’infinito.

È sete di divin.
Pura.
Bruciante.
Che chiama a notti solitarie, in veglia,
che sana ogni ferita nel contemplar le stelle,
che parla al cuor seguendo l’orme altrui,
che insegna alla mente come recuperare il cuore,
che sussurra addio al passato e indica la meta,
possibile, concreta.

E andare avanti è solo un ritornar,
indietro,
alla primigenia Fonte.

A te, che ascolti,
e hai sete d’infinito
non perderti nell’affannoso viver d’ogni giorno,
non arrenderti dinanzi all’amarezza.

Non disperar se Dio ti sembra morto!

Ma vesti la tua anima di sacco
e intraprendi il santo cammino di Galizia.

Dio è là che t’aspetta nel silenzio.

Vedrai la luna illuminare la tua notte.
Sentirai il sole spalancarti il cuore.
Udrai le stelle svelarti la sorgente.

Ed ogni pietra, olezzante di divino,
ti sosterrà nella ricerca e t’aprirà all’Altrove, o pellegrino!


In route su Monte Pellegrino

Un passo dopo l’altro
sul sentiero di ciottoli.
Fichidindia e ginestre sbocciati tra i sassi,
alti pini profumano intorno.
Pesante, certo, la strada in salita,
ma compagni di strada ti allietano il cuore.
Pesante, certo, sulle spalle lo zaino,
ma di sereno coraggio ricolmo.
Muretti di pietra
costeggiano bassi la strada in salita.
Miracolo!
Qui l’entusiasmo non cala.
Ritorna.
Una sosta, poi un’altra,
seduti tra i massi,
a guardare laggiù
lo strapiombo.
Oh, Dio, che bel mondo!
Sforzo e sudore.
Il passo rallenta.
Alla curva sospira.
Ma ogni svolta, ragazzi,
è una netta vittoria,
man nella mano,
noi e Dio.