Lele e la scoperta della verità

Una volta in un prato un bimbo chiamato Lele, di circa dieci anni, giocava rincorrendo spensierato i semi di tarassaco che, come tanti piccoli ombrelli bianchi comandati dal vento, volteggiavano in una danza giocosa che sembrava non aver alcun senso, se non per quel piccolo bimbo biondo dagli occhi nocciola talmente trasparenti che il candore dell’anima si rispecchiava nell’iride non azzurra ma comunque di un colore chiaro e caldo che dava vivacità e innocenza al suo piccolo sguardo.

Quegli occhi tante volte avevano visto quel prato e tramite essi egli lo aveva conosciuto e amato poiché tante volte in passato si era fermato a giocare lì con il vento e con tutto ciò che questo trasportava, osservando curioso la vita che brulicava sulla terra e lo splendore del sole che illuminava le sue giornate giocose. Il verde prato, teatro dei suoi giochi e delle sue infantili scoperte, era poco lontano da un viale alberato lunghissimo a cui Lele era molto affezionato, forse più del prato, un viale pieno di splendidi alberi sempreverdi che in primavera e in estate si colorava delle calde note del cinguettio dei passeri.

E ancora più su, risalendo il viale, cominciava sulla destra, andando verso il paese, un piccolo sentiero che portava ad un limpido fiume di montagna, uno di quei fiumi ormai rari, limpidi e cristallini, dove il bagnarsi non procurava malattie e dove un’atmosfera incantata lo avvolgeva quando ne percorreva la riva.

All’imbrunire, il piccolo Lele, tornava al paesello natio dove c’era la sua casina e dove lo aspettava l’abbraccio nel petto puro dell’adorata mamma.

Un giorno Lele si sentiva a disagio, era nel prato come al solito ma i passeri non cantavano e l’aria era come ferma, quasi un’atmosfera surreale, come a presagire un avvenimento imminente, preoccupante e sconosciuto.

Mentre era assorto nei suoi giochi vide qualcosa luccicare fra l’erba tra un formicaio e una violetta.

Si trattava di una moneta, non una moneta qualsiasi ma uno di quegli oboli antichi che non si trovano facilmente in giro se non nelle raccolte dei collezionisti o in un qualche museo. Essa sopra aveva incisa una testa da un lato e dall’atro una frase sibillina che recitava “Estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae”.

Quella scritta gli sembrò familiare, guardò meglio la moneta e s’accorse che quella sembrava essere proprio la scritta riportata sul rosone della chiesa di san Rocco dove tante volte era stato con i genitori che lo portavano lì soprattutto la domenica quando c’era la messa.

Volle andare lì.

Incontrollato dai genitori che a quell’ora lavoravano nei campi, decise di incamminarsi per il sentiero che lo avrebbe portato alla meta prefissa accompagnato dalla sensazione che provava e che spingeva le sue esili gambe ad avanzare senza esitazione a scoprire l’ignoto.

All’improvviso il cielo si colorò di grigio e una goccia d’acqua gli arrivò sul suo piccolo naso. Si rifugiò nel capanno della legna del suo vicino e all’improvviso udì uno strano suono, un lamento insolito che lo inquietò e lo incuriosì al contempo.

Girando lo sguardo verso la mangiatoia vide un uomo a terra che si toccava il grembo ansimando, il volto rubicondo e lo sguardo vacuo, aveva accanto a se una bottiglia semivuota che ad un tratto prese con la sua mano rugosa e da cui cominciò a bere avidamente un liquido trasparente che sembrava tanto piacergli.

Si avvicinò a lui, quell’uomo aveva uno strano odore, molto simile all’alcool che la mamma usava per disinfettarlo quando si procurava una ferita. Lo guardò e gli disse: “Signore sta bene?”. E lui di rimando: “Ragazzo forse non saresti mai dovuto entrare qui dentro ma visto che sei venuto ti svelo un segreto, qualcosa che mai nessuno dovrebbe sapere ma che m’attanaglia il cuore e che se non dico a qualcuno mi sembra di scoppiare e non poterne sopportare il peso”.

E allora parlò e gli svelò l’orrore del suo peccato più grande: “Io sono il padre di una bimba orfana che non deve mai sapere l’orrore di quanto ho compiuto, io per ella non sono mai esistito ed è per questo che è orfana. Presto morirò e di me non ci sarà più traccia al mondo a parte la bimba. La guerra è finita da due anni ma sono riuscito a tornare solo ora da un paese lontanissimo. Sono arrivato da mia moglie e quando l’ho vista con un altro uomo sono impazzito poiché non mi aveva atteso e si era rifatta un’altra vita. Ma poi ho scoperto che non era così. Ho agito d’impulso ed ho commesso una follia! La bimba ha otto anni e mi ha visto ucciderle la mamma. Non mi perdonerò mai l’orrore che le ho procurato ed è per questo che mi sono ferito a morte. Quella bimba era mia figlia, capisci? Non lo sapevo e la donna che ho sempre amato e resa mia sposa me lo ha rilevato prima di spirare fra le mie braccia, ferita a morte dalle stesse mani che l’hanno sempre tanto amata”.

Lele si paralizzò, ebbe paura, tanta e si accorse solo in quel momento che il morente aveva l’altra mano sul grembo colorato di una macchia rosso viva, l’uomo la spostò e vide il sangue fluire dal suo ventre così come lo vedeva Lele inorridito da tanto dolore che traspariva chiaro negli occhi dell’uomo e lo fece diventare suo.

Ne ebbe compassione e gli chiese se poteva fare qualcosa per lui. E l’uomo rispose: “Non dire a nessuno ciò che ti ho detto. Tutti sanno che ero in guerra e nessuno sa che sono tornato. Ero tanto atteso dalla mia famiglia e se sapessero che sono morto in questo modo, tornando tra i miei luoghi, la bimba sopporterebbe un peso troppo grande, vivendo un trauma ancora più forte del mio abbandono. Aveva pochi mesi e forse neanche si ricorda di me e che sono andato via per combattere in un esercito mercenario; penserà che suo padre sia morto da eroe per l’onore e la libertà della sua patria e forse è giusto così, sarebbe una sofferenza inutile farle sapere la verità. Stalle vicino e dammi cristiana sepoltura… Lo guardò ancora imploratane e gli disse ancora: “Aiutami a non soffrire, colpiscimi con quello, indicando un ramo appuntito.

Lele era quasi ipnotizzato da quella visione e da tutto ciò che gli si parava innanzi. Guardò prima la ferita sanguinante e poi di nuovo guardò l’uomo negli occhi dove traspariva tutto la sua sofferenza e ne ebbe pena, una pena infinita che solo la pietà degli Angeli celesti poteva sopportare assieme a lui. Non sapendo cosa fare in quel momento e, in genere abituato a fare tutto ciò che gli dicevano i grandi, prese come in trance il ramo indicato e con un colpo deciso lo conficcò all’interno della carne già lacera. Un rivolo rosso comparve al lato delle labbra del morente e mentre gli occhi si spegnevano, provò un ultimo disperato tentativo di parlare e riuscendo nel suo intento, gli disse, guardandolo intensamente con uno sguardo pieno di ringraziamento, un’ultima tanto desiderata volta: “Abbi cura di te, comprendi i segnali e sii servo solo del tuo cuore”. Stava per replicare ma l’uomo non gliene lasciò il tempo poiché in un ultimo sussulto spirò e l’inesorabile morte appese al silenzio l’urlo che Lele avrebbe voluto emettere e tutte le domande che avrebbe voluto ancora fargli. Non aveva mai visto così tanto sangue e in quel momento si risvegliò come da un sogno ed ebbe disgusto e paura per la scena che aveva dinanzi: un uomo morto dissanguato e in mano egli ancora impugnava lo strumento che lo aveva aiutato a morire.

Non aveva toccato niente a parte il bastone appuntito e pensò che forse poteva fuggire lasciando tutto com’era, sperando che nessuno si accorgesse che fosse stato li ma qualcosa lo tratteneva, qualcosa che andava al di là della paura e le gambe paralizzate e vide comparire subito sotto la giacca dell’uomo una catenina recante una medaglietta avente la forma di metà cuore, come quelle che si dividono gli innamorati con su scritto un bellissimo nome di donna che gli sembrò quasi familiare e così tenero che pensò nessuna creatura con quel nome potesse essere cattiva e tal nome era Crystal. E poi, sotto il nome una frase “Siate prudenti come serpenti e”. Tale frase gli ricordava quella della moneta trovata nel prato e in quel preciso momento si rese conto che Dio aveva tessuto per lui il suo destino.

Si fece coraggio comunque, osservò che nei dintorni non vi fosse nessuno e trascino l’uomo nel campo di tarassachi per adempiere la sua promessa di degna sepoltura coronata da una dolente croce composta da due ramoscelli di ulivo che presto il vento avrebbe portato via assieme alla sua preghiera per lui.

Passò molto tempo da allora e non pensò più a quell’avvenimento e continuò la sua vita normalmente, come se niente fosse accaduto anche se un’ombra cupa ogni tanto gli attanagliava il cuore.

Da quel giorno in apparenza tutto rimase uguale ma all’interno dell’anima qualcosa era mutato.

Era difficile portare un simile fardello nel cuore, quasi impossibile. La veste chiara e candida che fino a ieri Lele indossava era ora permeata di tristi e cupe tinte purpuree. Aveva la morte nel cuore e l’orrore di ciò che aveva subito aveva paura che gli sarebbe comparso innanzi per tutta la vita.

Ma, nonostante tutto, la vita andò avanti, tutto proseguiva apparentemente normale anche se nell’anima imperava la nera tempesta. Gli eventi della vita continuavano comunque a forgiare il suo carattere sensibile a ogni soffio di vento che smuoveva le foglie più leggere e cresceva su sano, forte e timorato di Dio.

Per gli altri tutto era normale in lui e nessuno percepiva il suo disagio e la sua sofferenza interiore perché lui non lasciava trasparire nulla, convinto che in fondo la vita fosse bella e sempre degna di essere vissuta perché sempre capace d’insegnarti qualcosa anche quando ti pone dinnanzi prove difficili da superare.

Si trovò di colpo ventitreenne e pieno della gaia onnipotenza che solo la gioventù sa donare ma di li a poco un’altra dura prova lo attendeva, una delle prove più difficili, la perdita della mamma in un periodo in cui la sua spontaneità ed irruenza era ancora tipica di un giovane curioso del mondo che lo circondava che lo guidava alla continua scoperta di se stesso.

Fu un altro grande dolore, più grande del primo. Il dolore della perdita di chi ami che non aveva mai sperimentato.

Ma era forte e anche quest’ostacolo riuscì a superare.

Continuò così la scuola, le uscite con gli amici, studiava con passione e correva spesso nel suo adorato campo di tarassaco lasciando allenare i muscoli alle prove della vita adulta. E poi c’era il teatro, la sua grande passione. Ma il vero teatro è la vita e il film della sua esistenza scorreva così, sempre uguale e permeato a volte di una cupa sofferenza che solo lui percepiva.

I giorni si susseguivano ai giorni, le stagioni tornavano preponderanti con i loro colori e le loro armonie e sempre si aspettava il Natale quando tutti insieme si riunivano e gioivano.

E il Natale tornava, puntualmente, con le sue allegre tavolate, i tanti regali e la gioia incontenibile di una famiglia unita, ricca di valori e tradizioni, nutrita dell’atmosfera santa e solenne di quella festività.

Un giorno era in chiesa a pregare e, ritrovandosi a riflettere sul passato e chiudendo gli occhi, gli sembrava di tornare bambino, il vento fra i capelli e l’incontenibile bellezza della natura che lo circondava, colorata d’improvviso delle luttuose tinte del turbamento e della paura provata quel giorno.

Ma fino a quando può un animo sensibile e puro portare il segreto di un simile fardello? Fino a quando può una gioiosa e disillusa creatura sopportare la brutalità di una simile scena vissuta?

Il mondo gioioso che rifletteva la sua vita e se stesso come uno specchio lucido e perfetto portò il suo povero cuore a ricordare e soffrire, contaminato com’era dalle terrene frustrazioni e porta aperta alle tempeste dei demoni che albergavano nel suo cuore.

Tutto puro ai puri, pensava Lele un giorno, che si trovava sulla scrivania, immerso nell’organizzazione dei suoi studi e così si ritrovò di getto a scrivere un racconto come ispirato dalla storia capitatogli da bambino. Era la storia di una ragazza violentata da un uomo, colpita dalle barbarie di una faida familiare e che accettava con umile speranza di camminare in un mondo che non era il suo e che sperava un giorno di migliorare.

Avrebbe voluto vederlo puro, ricco d’amore e fratellanza, gioioso della prorompente e sacra armonia che solo Dio sa ispirare agli uomini.

Qualche giorno dopo aver compiuto il suo componimento, il giovane ragazzo sentì, irrefrenabile, l’impulso di tornare in quel prato. Era tempo che, volontariamente, non vi tornava. Così, seguendo il viale delle querce risalì fino al fiume e poi arrivò nel prato dove il vento stava compiendo la sua giocosa danza, trasportando i semi di tarassaco che, come tanti piccoli ombrelli bianchi comandati dal vento, volteggiavano e danzavano allegramente.

Non poteva scegliere di tornare indietro e fare in modo che non fosse mai accaduto quell’avvenimento di tanti anni fa che tanto gli aveva turbato la vita ma, all’improvviso, si rese conto che poteva scegliere di non soffrire e di trasformare il dolore in esperienza di sofferenza e quindi in saggezza nella consapevolezza che un’anima sofferente è un’anima sensibile e che qualsiasi avvenimento gli accada leggerà con gli occhi del cuore, senza lasciarsi condizionare dal turbinoso e pesante disordine della materialità.

E così proseguì nel suo cammino e, ad un tratto alzò, quasi comandato da una forza invisibile, il suo capo, fino a che gli occhi non si posero ad osservare l’altra riva del fiume, dove vide una giovane ragazza come assorta nei suoi pensieri, con lo sguardo rivolto a oriente e con le braccia allargate quasi ad abbracciare compassionevolmente tutto ciò che la circondava .

Si diresse verso un ponte che tante volte aveva attraversato da ragazzo ma questa volta sembrava fosse tutto nuovo e mai scoperto e s’incamminò per attraversalo. Passato dall’altra parte risalì fino al punto esatto in cui era la giovane donna e la guardò attentamente accorgendosi d’un tratto che era molto bella, con gli occhi di un azzurro intenso e limpido, quasi estranea a ciò che le accadeva intorno. Ella non si era accorta minimante della sua presenza lì vicina a pochi metri da lui.

Lele s’avvicinò ancora di più e, quando fu a pochi passi da lei, le disse: “Ciao, tutto bene?”.

La ragazza ebbe un sussulto e un lampo di luce le attraversò lo sguardo, lo guardò per un breve attimo con occhi interrogativi e finalmente gli rispose. “Chi sei?”

Sono Lele, i mie nonni abitano nel borgo qui accanto, ti ho vista dall’altra parte del fiume e, non so, è insolito vedere qualcuno in questa riva del fiume intento a guardare verso oriente e così mi sono spinto verso di te”.

“Hai fatto bene, forse sei un angelo che mi manda il Signore, avevo bisogno di qualcuno con cui parlare”.

“Cos’è accaduto?” chiese Lele.

Lo sguardo le si incupì e disse che non sapeva se poter condividere quell’atroce segreto con lui ma poi cominciò a parlare, dicendogli cose che non avrebbe mai dovuto raccontare e che nessun altro doveva sapere, a parte lei e la sua famiglia. Le parlò di una faida familiare, di un uomo trafitto nel fienile dei vicini che fu trovato morto un giorno in cui lei aveva otto anni. La ragazza parlava e continuava a gettare fiumi di parole raccontando di una lettera trovata in un vecchio libro in soffitta appartenuto al nonno e di un regalo che la mamma avrebbe voluto farle prima di morire ma che non aveva mai ricevuto perché rubato. Lele scorse nei suoi occhi, mentre parlava, tutta la tristezza e l’orrore che anche lui aveva provato quel giorno di tanti anni fa quando il sòrdito rosso imbrattò la veste del suo candore. Lele sapeva che era doloroso ciò che la giovinetta gli stava raccontando, un fardello troppo pesante che nessuno poteva sopportare se non condividendolo. Lele avrebbe voluto parlare e raccontarle di quel giorno nel capanno dei vicini di tanti anni fa ma sapeva che nel farlo avrebbe aggiunto dolore al dolore e non sopportava di veder soffrire una creatura così bella. I quel momento stesso Cupido colpì il suo cuore con la freccia d’oro dell’ardente passione e lui le zittì le labbra sfiorandole amorevolmente con il suo dito indice e le disse dolcemente: “Sss, lo so, so già tutto” e le disse una frase che solo lei credeva di conoscere “ semplici come colombe”. Ella s’accorse, d’un tratto, che il ragazzo che le stava di fronte sapeva ed era bella la consapevolezza di avere qualcuno al mondo con cui poter condividere quel simile peso il quale, come un macigno, la stava trascinando giù nel mare della disperazione. Ella così si chetò ed un lacrima luccicante cominciò a scorrerle sulla guancia. Cominciò così un pianto prima calmo e poi scosso da sussulti e, come le gocce del fiume riempivano e nutrivano il guado terroso, tali lacrime riempivano il solco dell’anima della ragazza, alimentando e nutrendo il suo spirito. Mentr’ella ancora piangeva fra le sue braccia accade ad un tatto qualcosa di davvero speciale.

Un raggio di sole uscì fra le nubi e si andò a posare sul tetto di un capanno. Lele guardò bene e riconobbe l’orribile posto dove tanti anni prima era morto quell’uomo sconvolgendogli la vita con ciò che gli aveva rilevato. Il suo cuore ebbe un fremito e all’istante comprese le parole dell’uomo che aveva aiutato a morire. Capì che quello era un segnale e fu pronto a lasciarsi comandare dal suo cuore. Nello stesso istante lei si accorse del suo turbamento e gli chiese come si chiamasse. Egli rispose e poi le disse “ E tu?”

“Io sono Crystal”.

Lele si paralizzò e rimase impietrito, nelle sue vene scorreva un brivido di ghiaccio che gli attraversò la schiena e la sua mente tutto collegò in un istante. Lo sguardo terso di lei, il dolore della ragazza e quella frase che gli svelò il supposto ignoto furono per lui rivelazione. Lele non sapeva cosa fare ma in quel momento ritenne giusto sverlargli la verità e le disse: “Quell’uomo era tuo padre” e tirò fuori dal bavero della giacca una collanina con un mezzo cuoricino ed una frase che Crystal lesse come in trance. Era shockata ed il fiume di pioggia fluente dal cielo dei suoi occhi si fermò di colpo. Non si muoveva più e riusciva solo a vedere quel ragazzo che aveva di fronte e ne notò la bellezza ornata da occhi nocciola candidi e trasparenti e da capelli folti e del colore del grano. La sua presenza la rassicurava. Si sciolse dal suo abbraccio e in quell’attimo si sentì più sollevata perché aveva trovato un cuore che sapeva e poteva comprendere il suo. Pian piano la letizia prese il posto del dolore.

Anche lei tirò fuori dalla sua camicetta una medaglietta simile che unì a quella di Lele formando così un cuore e un frase di senso compiuto “Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe”. Era la stessa frase scritta in latino sul rosone della chiesa di San Rocco. Sulla metà di Lele non vi era scritto alcun nome. Le chiese: “Chi te l’ha data?”.

Mia madre rispose Crystal, mi diceva sempre che un domani avrei trovato un uomo capace di capire il mio cuore e pregava tanto San Rocco per questo. Poi ricominciò a lacrimare dicendo, fra i sussulti del pianto disse di un fiato: “Avrei voluto tanto conoscere mio padre e ricevere le sue cure”.

In quell’attimo di sublime sofferenza accadde un fenomeno che entrambi osservarono con stupore e meraviglia: Una splendida e candida colomba venne a posarsi sul ramo di un albero quasi di fronte a loro, si fermò lì alcuni secondi, pochi attimi che li rincuorarono e di cui gioirono. Un ampio sorriso così attraversò i loro volti e subito dopo si guardarono negli occhi osservandosi intensamente. Tutto il dolore scomparve all’improvviso e se per Lele c’era voluto un attimo ad innamorarsi di lei anche nel cuore di Crystal comparve, d’incanto, il palpito dell’innamoramento e assieme pensarono, all’unisono, in una telepatica coincidenza amorosa, che l’uno era il destino dell’altra.

Il sole di nuovo venne a rischiarare il giorno dei due ragazzi ormai adulti. Il dolore venne relegato in una parte ancora accessibile del cuore ma non più dolente e il ricordare assunse un altro significato.

Compresero che il loro sacrificio non era stato vano e che la conoscenza dell’orrore ti porta a soffrire ma anche a crescere e a desiderare che a nessuno capiti di soffrire.

La verità era ormai nota e scoperta, il sacrificio aveva avuto un significato e la vita stessa acquistava un senso nuovo attraverso lo stesso supplizio che la vita aveva loro imposto.

Cominciò a prendersi cura di lei come non aveva mai fatto per nessuna e l’amore che aveva sempre regalato agli altri a lei era amplificato come in una cassa armonica di risonanza. Comprese anche dolorosamente che quell’amore per lei non andava trattenuto ma donato perché solo donandolo sarebbe vissuto in eterno. Ma non era l’amore della donna che ammirava in quel momento, era l’amore dell’armonia del mondo e del creato in cui riposa il cuore di ogni guerriero che ama il cosmo e che dal cosmo è ricambiato.

Comprese che la vera poesia non è un modo di esprimere un’opinione ma è l’opinione colorata e musicata d’espressione.

Non avrebbe mai voluto ammazzare quel padre quel giorno ma si perdonò quell’orribile gesto e una nuova gioia s’impose nel suo essere. Si rese conto di essere vivo e soprattutto di essere felice perché la vita gli stava dando un’altra possibilità dal riscatto del suo antico dolore, forse non l’ultima perché avrebbe sofferto ancora ma ora con la consapevolezza di non essere più solo e disperato perché quando si acquisisce la volontà di cambiare, anche se cadi non temi più di essere a terra ma vivi nell’ardore di rialzarti sapendo che di là c’è l’amore e la compassione di Dio a tenderti la mano. Comprese che molto prima del suo era arrivato il perdono della vita e che la morte di quell’uomo aveva prodotto i suoi frutti e quindi aveva vissuto portandolo su di un cammino costellato di autentica gioia con Crystal. Voleva vivere pienamente quella sua nuova vita con lei e si sentiva pronto ad aiutarla ed amarla come nessuno avrebbe mai fatto e il frutto del loro amore sarebbero stai i figli che il mondo avrebbe guardato con amore e Dio benedetti perché nati da sentimenti puri e forgiati dai labirinti degli ostacoli che gli eletti devono attraversare.

E intanto udiva una voce nell’intimo suo più profondo, un comando ripetuto che come una cantilena lo cullava e lo faceva sentire al sicuro e protetto:

 

Odi fanciullo

Il canto lontano di una sirena,

guarda la tenue scia

che si perde

nell’orizzonte dorato,

ascolta

attento

il delicato rumore dell’universo.

Non è forse questa la vera gioia?

Non più il torbido rosso tedio

a imbrattare la vita

Ma la bianca candida armonia dei colori

a significarla.

Nell’attimo sublime della tua catarsi

i tuoi sensi si perderanno

nel turbinio dell’estasi

e l’immenso echeggerà di gloria.

 

E mentre il suo animo ciò recitava si ritrovò dinanzi a Dio e un suo ministro, l’altare era profumato e fiorito e nell’atto di darle l’anello assieme dissero:

Grazie Signore di questa unione, benedicila e aiutaci ad arrivare a Te camminando con rettitudine sull’intrepido percorso della nostra vita insieme. Aiutaci sempre a cercare e ritrovare la Verità poiché molti hanno il lavoro ma non la professionalità, il denaro ma non la ricchezza, una chiesa ma non la fede, un compagno ma non l’amore.

Lele era felice e appagato perché comprese che la Verità è Dio e la Sua coerenza di Amore per le sue creature e solo questa verità, una volta compresa, può rendere un uomo e una donna docili strumenti del Suo amore infinito che fluisce in loro e a tutto arriva, riuscendo a rischiarare anche i cuori più induriti.

 

E Lele e Crystal fecero incidere sull’altra metà del cuore d’oro il nome di lui e come le lettere del suo nome si fusero al prezioso metallo di quel cuore così il loro amore si fuse all’armonia dell’universo rendendo più gioioso il creato e fungendo da specchio per chiunque dalla sofferenza non si lascia vincere ma ritrova se stesso e la propria gioia in ogni segnale che il buon Dio ama inviare alle sue dilette creature.