non per attimi
non per istanti
non per punti
nello spazio di un sogno
non per la strada vuota
(mentre torno a casa)
non per il mare lontano
(anche se ascolto la sua voce)
non per gli uccelli che mi guidano verso casa
per il loro nido senza terra
per il loro avorio di cielo
per il loro strazio di sogni e suoni
magnifici dei d’etere
mentre si amano nelle mie orecchie
la loro venuta
il loro arrivo discreto
e la loro apocalisse di segnali
nella sera azzurra e cremisi
in quel cielo
io torno a casa e non so ancora dove sono
anche se avrò varcato la soglia
dei colori e dei sogni senza terra
anche se avrò ascoltato
il verso della civetta sotto la pioggia
e la memoria di ali senza terra
sarò ancora casa?
quale colore sia qui stasera
tra le pieghe del tempo
la polvere d’argento
dei tuoi sorrisi
quale sia
o non sia
perché sempre sarà
che io lo veda o no
o lo possa solo ascoltare
quale colore torni qui stasera
e misuri gli spazi tra noi e questi alberi
tra noi e le ombre
e le voraci parole
che non sappiamo più capire
e quale silenzio
di mura dopo il crollo
e il verso di animali notturni
tra foglie di verde e rossa terra
quale colore ha la tua voce
mia sera, mio sole e mia luna
mie per gioco o per desiderio
e solo dentro un profondo sogno
dentro la ruota del tempo
e per sempre sul rasoio del tempo
nel momento in cui l’alba e il mercurio dei sogni
fanno ancora il loro lavoro
uno spirito mi ha istruito sulla costruzione della città
tolgo allora la sua voce dal caos dei segni
la lascio sullo schermo d’acqua del fiume
mentre la luce nera di questi luoghi rilegge questa voce
e tenta di segnare in tempo, prima che lui fugga,
l’invito silenzioso dei glifi nuovi,
io osservo in questo luogo il tempo perduto delle figure di metallo e di cristallo
quando il mattino inoltrato farà confusione con il demone del meriggio stanco
e l’ora sarà senza accadimento e il qui non avrà luogo
mentre questa città perde la sua luce
e diventa cristallo nel tempo,
di tempo in tempo e misura di spazio di luogo in luogo
frammento di segni una volta composti e ricomposti e dispersi in sequenza
senza corollario di voci o di affetti
verso questi stessi posti, pur vissuti e abitati
e segnati dal bianco manto della dea bianca
e compositi secondo il peso di materie su materie
industrie del pieno e del vuoto a noi ora ignote
noi incapaci di leggere i loro strati
le loro figure terrestri e i solchi che lasciano tra le pieghe del nostro tempo
noi, come quell’angelo, guardiamo il passato
e restiamo senza letture
anche se ci resta un ascolto
e il suo vuoto spazio, in cui vorremmo sperare