SALVE! TESTIMONI DI GEOVA

Io quel rotto in culo prima o poi l’ ammazzo!!
Sì era proprio quello che pensavo quel giorno, ma non credo d’ averlo pensato solo quel giorno, forse l’ ho pensato tutti i giorni. Ci sono giorni che la penso così, con leggerezza, con una piccola puntina di rabbia, ma niente che potrebbe nuocere alla sua salute. Giorni dei quali caso mai va tutto bene, un dì di quelli, diciamo tranquilli, perché belli sarebbe già un eufemismo, o un idealizzare romantico che non fa parte della mia persona. Se si fa una stima d’altronde di quanti giorni viviamo. Si lo so! Giorni l’ ho già detto sei volte, e allora?! Non sono uno scrittore, sono soltanto un operaio che aveva voglia di scrivere, qualcosa in contrario?! Potete anche non leggermi e caso mai scorrere le righe alternate da squallide fotografie di quell’ insulso giornale di Alfonso Signorini. Se si concedono il lusso di scrivere articoli come in quelli di “Oggi”, beh, lo faccio anch’ io. Addirittura avrei il diritto di poter parlare in televisione, di fare l’ opinionista, dal momento che lo fa anche Pierluigi Diaco. Quando saranno in vendita solamente giornali di spessore ed in televisione ci saranno programmi che possono appartenere soltanto alla categoria “cultura”. Ecco, a quel punto starò zitto! Quindi in questo fetido 2011, dove Nicol Minetti è consigliere regionale, Silvio Berlusconi è presidente del consiglio e Barbara D’ Urso conduttrice di successo, anche io, Leonida Daimalotti, posso in maniera sacrosanta, prendermi spazio tra la montagne di merda fumante oramai più alte delle Alpi Apuane.
Insomma, dicevo che ci sono giornate in cui semplicemente mi piacerebbe defecargli in testa, però non quelle feci solide e dure, che se uno ha avuto un’ alimentazione sana e regolare, nell’ atto di cadergli sulla faccia lo sporcherebbero marginalmente. Cioè dove basterebbe una sciacquatina ed il suo vile volto ritornerebbe come prima. No, una defecazione causata da un grave disturbo intestinale, in pratica una colata simile alla fonduta, però marrone e puzzolente, di modo che rammenterebbe la sua appartenenza. Ecco, questi sarebbero i miei giorni di magnanimità!
In quelli dove mi fa girare esageratamente i testicoli, per non essere volgare e credetemi non è per niente facile. Perché per lui ho esaurito tutto il mio vocabolario, quello adibito al linguaggio scurrile. Quelle giornate di odio feroce il mio intelletto supera la sua capacità di concezione ed elaborazione, tante volte stupendomi pure, sì, perché sono arrivato a concepire trenta modi per ucciderlo facendolo soffrire, cosa che la cascata di merda in faccia sarebbe un favore. Potrei anche elencarvi questi trenta modi brutali d’ omicidio, ma non sono per niente originali, infatti non mi sono stupito per la loro originalità, però sono tutti e trenta differenti tra loro ed in una società monotona e ripetitiva, trovare trenta modi diversi per ammazzare una persona è già cosa degna di stima.
Ecco quello era uno di quei giorni, dove avrei voluto stramazzarlo al suolo e percuoterlo rabbiosamente con una mazzetta, quella con cui generalmente scolpisco le tracce nel muro per far passare i fili della corrente. Io ovviamente quei fili non ce li faccio passare, perché se no sarei già un elettricista, quindi sarei un gradino sopra nella fottuta scala gerarchica. No io sudo e basta, per lasciare il posto, a quelli che ora vengono definiti periti elettronici. Che arrivano con le loro belle manine curate e linde, capaci anche di rompermi le palle perché il solco non è abbastanza ampio. Così io, già fradicio del mio fetore, con la spalla destra che non sa più di appartenere al mio corpo, riprendo la mia mazzetta, il mio scalpello, le mie colorite bestemmie e rinizio il calvario. Solo l’ immagine di me con quella mazzetta, che invece di colpire il muro, colpisce il corpo di quel bastardo è capace d’ allietare la mia triste esistenza.
Vi chiederete chi é quel bastardo che io ucciderei in trenta maniere diverse?
La risposta è abbastanza scontata, ormai nella nostra obsoleta epoca, non ci sono più vie di mezzo. Un’ era dove ci sono solo due classi: i padroni ed i loro dipendenti. I calli nei palmi delle mie mani, dal momento che hanno assunto sembianze analoghe alle dita sovrastanti, facendomi assomigliare a Wolwerine, fanno chiaramente capire che io non sono uno dei padroni. Sono quello che in un ristorante sarebbe l’ aiuto del cugino del fratello del lavapiatti. Uno che ai tempi del grande Egitto avrebbe contribuito alla costruzione della piramide di Keope. Sono colui che oggi non viene più definito schiavo, ma manovale. Il fatto che io sia ignorante e non sappia neppure scrivere, non significa che sia un emerito imbecille, anzi nella mia rozzezza mi reputo anche abbastanza intelligente. Per cui cosa ho fatto? Sono andato a scoprire il senso etimologico di queste due parole (cosa vuol dire etimologia l’ ho scoperto grazie a Fabio Fazio e per riscriverlo qui, beh ho usato più volte il bianchetto) schiavo e manovale:
Schiavo; individuo giuridicamente considerato come proprietà altrui, e pertanto privo di ogni diritto umano. Soggetto all’ arbitrio altrui, con l’ idea implicita di una condizione di inferiorità poco dignitosa o addirittura umiliante.
Manovale; operaio addetto a lavori manuali e di grande sforzo fisico, per i quali non sono richieste particolari cognizioni tecniche. Operaio edile addetto ai lavori più gravosi e meno impegnativi dal punto di vista concettuale. Collaboratore di modesta levatura, con mansioni meramente esecutive.
Ora partendo dal presupposto che ho dovuto ricorrere al dizionario, non solo per queste due definizioni, ma anche per decifrarle. Bene, una volta acuita la mia intuitività miscelata all’ esperienza diretta, posso dire con fierezza che il manovale e lo schiavo sono la stessa cosa, cambia solamente il contesto storico.
Ora il classico stronzo mi dirà:
– Si ma gli schiavi non venivano pagati ed erano costretti a lavorare –
Io posso dargli temporaneamente ragione, finché non faccio un accurato confronto. Grazie ai documentari di Piero Angela, ho potuto appurare che gli schiavi dell’ antica Roma erano sì costretti a lavorare, lavori d’ immane fatica, senza retribuzione. Però, e qui c’ è un decisivo però, avevano un dormitorio e venivano sfamati. Quindi, vitto ed alloggio grazie ai loro sforzi.
Io guadagno 1100 euro lordi al mese, di cui 150 vanno a Silvio Berlusconi, per cui me ne rimangono 950. 600 euro vanno via così, in un attimo, neanche il piacere orgasmico di toccarli, per l’ affitto. E di certo non vivo in una reggia, ma in un appartamento a Viareggio, che tra le altre cose non è poi così in centro come m’ avevano promesso, va beh. Quindi mi rimangono 350 euro, con i quali devo pagare le bollette e fare la spesa per mangiare. Per fortuna, mia moglie facendo le supplenze, molto di rado ( E lei che aveva l’ illusione di diventare una vera professoressa!) porta a casa qualcosa. Facendo i conti, amari conti, rimangono in esubero, e non sempre, giusto 50 euro. Che io spendo in alcolici per non pensare a che vita di merda sto vivendo!!
In conclusione io lavoro, esclusivamente, per il vitto e l’ alloggio, proprio come facevano gli schiavi. Quindi questo fa di me uno schiavo del 2011.
Adesso che abbiamo realizzato, indiscutibilmente, il fatto che sono uno schiavo, per meritarmi tale appellativo devo anche essere soggetto all’ umiliazione. Ed è proprio questa che mi fa incazzare! Io so che sono un manovale, so che più di tanto non posso guadagnare, come so che per vivere devo fare dei sacrifici. Accetto tutto ciò, fa parte della vita e mi accontento. Però pretendo d’ essere trattato con dignità! Perché: se io ho la melma dei calcinacci tra le mani, non ti da il diritto di trattarmi con alterigia a differenza di come ti esprimi con l’ architetto. Poi l’ architetto lo pagherai di più, molto di più e se lo merita, per il semplice motivo che ha studiato e faticato maggiormente in passato. Ci deve essere soltanto un giusto divario salariale, e basta. Il trattamento morale e discorsivo, deve assolutamente essere uguale. E’ ovvio che il mio usare la prima persona singolare, si vuole riferire al padrone. Il padrone in generale. L’ uomo non necessita per forza di soldi, basta che essi li permettano di vivere, ma vuole dignità pari agli altri uomini.
Detto ciò, io quel giorno ero incazzatissimo con il mio capo, per i soliti motivi frustranti, di cui ho parlato poco fa. Il mio affitto non mi permetteva di reagire, anche solo verbalmente, quindi dovetti ingollare come sovente avveniva dalla prima era del lavoro.
Infuriato, uscii dal cantiere, afferrai la mia bicicletta, maledetta e fottuta bicicletta! Sì, perché era tutta scassata e mi doleva al sedere. Rivolevo la mia macchinina, era dal meccanico da più di due settimane e ne dovevo aspettare un’ altra. Il motorino l’ aveva mia moglie, quindi mi toccava quella cazzo di bicicletta! Una volta su quello scomodo sellino, mi accingo ad andare verso casa. Era anche freddino, e mi ero scordato i guanti, dopo un centinaio di metri, infatti persi la sensibilità alle mani.
Mentre pedalavo ripensavo allo stronzo: “Daimalotti!! Quanto ti ci vuole a portare quella calcina?!!” questo ovviamente davanti a tutti, nonostante io tenessi un ritmo da mulo, lui davanti ai futuri proprietari degli appartamenti doveva farsi vedere bello e dispotico. Questo per tutto il giorno, ogni volta che passava nei dintorni uno di quei ricconi lui: “Dai Daimalotti?! Per cosa ti pago èh?! Per passeggiare?!”. Quanto gli garbava a quel bastardo dire “ti pago”, lo faceva sentire potente.
Va beh, con questo umore mi diressi verso casa, finche non passai davanti alla solita piazzetta che vedevo ogni sera al mio ritorno. Era una piazzetta davanti alla chiesa dove si riunivano tanti ragazzetti, a fumare le canne ed a fare i deficienti. Ogni volta che passavo di li, cinque o sei di quei ragazzini mi guardavano con derisione, proprio negli occhi. Poi quando m’ allontanavo di un bel po’, gli stupidi per farsi grandi davanti alle bimbette, mi gridavano:
– Oh sfigato!! – o se no – Oh briao!! – altrimenti anche – Oh schifoso!! -.
Ecco, ora io ho trentacinque anni, un lavoro, una moglie che aspetta un figlio da me e questi stronzi m’ offendono? Io alla loro età, come i miei coetanei, non mi sognavo neanche lontanamente di permettermi di gridare così ad una persona più grande. Avevamo paura perfino d’ incrociare lo sguardo con i cosiddetti solennemente “grandi”. Invece questi cazzettini di diciassettenni, non solo ti guardano come se fossero star, ma t’ offendono pure.
Io lasciavo sempre perdere, perché ero tutte le volte troppo lontano, per cui stanco e di certo non me ne fregava niente di cinque scemi. Però quel giorno, beh quel giorno mi girava il cazzo!!
Passai la piazzetta, come d’ abitudine mi guardarono sorridendo, poi gli passai d’ un bel po’ e sentii in coro:
– Oh ciotta!! –
Ero quasi contento che l’ avessero detto. L’ essere umano attende sempre un pretesto.
Mi fermai, e con molta tranquillità e spavalderia tornai indietro. Come se fosse una bella pedalata in un giorno spensierato e senza uno straccio di nuvola. Loro mi guardavano. Tutti. Però fu bellissimo il cambiamento espressivo di ognuno di loro. L’ altezzosità nei loro bambineschi occhi non c’ era più. Molto gradualmente, ad ogni metro che facevo si leggeva solo del timore.
Il viareggino è sempre stato e sempre sarà vigliacco.
Posai con cura il mio rottame, sul suo ancor più precario cavalletto e mi diressi verso di loro. Puntai un biondino che avrà avuto al massimo diciassett’ anni. Era lui il più bastardo, in ogni gruppetto di idioti c’ è sempre il più idiota e costui è automaticamente il capo degli idioti.
– Ciao – gli dissi sorridente, poi gli porsi la mia mano – sono il signor ciotta! Che come secondo nome fa sfigato e di cognome schifoso –
Il ragazzetto molto imbarazzato mi diede la mano, gli altri guardavano in silenzio. Appena gli strinsi la mano, lo tirai a me con veemenza e portai in avanti il mio testone, frantumandogli il naso. Lui barcollò, successivamente si portò le mani al viso piangendo.
Adesso tutti quegli altri erano terrorizzati, uno mi disse balbettando:
– Ci scusi … ha ragione siamo dei cretini … si scherzava … –
– Ma anch’ io sto scherzando – dissi io accendendomi una sigaretta – e proprio perché lo scherzo sia più divertente, adesso se non volete che vi spacchi la testa come al vostro amico stronzetto. Dovrete fare una cosa. Chi di voi ha un cellulare connesso ad internet? – silenzio tombale – bene vi spaccherò la testa! – dissi con ardore avvicinandomi velocemente ad uno di loro.
– Io … io, ce l’ ho io! – disse un ragazzetto tutto brufoloso, togliendosi dalla tasca un Iphone 4.
– Bene – dissi io – connettilo a facebook e dammelo –
Il Cassano in miniatura eseguì il mio ordine e mi diede il cellulare.
– Adesso voglio che, solo voi maschi, vi caliate i pantaloni e facciate una sorta di trenino, in mutande, simulando l’ atto della penetrazione anale – i ragazzi mi guardarono sbigottiti – forzaaa!!! – gridai io cattivamente.
Ebbene quei cinque ragazzi, vedendo che non avevano alternativa si sbottonarono i pantaloni, rimanendo imbarazzati ed in mutande, mentre le ragazze dietro si stavano pisciando addosso dalle risate. Poi si misero in fila indiana, ognuno con le mani sui fianchi di quello che gli stava davanti, però molto distaccatamente, allorché io gridai:
– Voglio vedervi appiccicati!!! – loro fecero ciò che io imperai – bene, ora girate la testa verso di me e sorridete – una volta che i loro sorrisi, finti e timorosi, furono dentro il mio obbiettivo io scattai la foto. – adesso vi potete rivestire, tu, bruglioletto … vieni qua – lui molto timidamente venne – voglio che tu qui davanti a me pubblichi questa foto sulla tua bacheca, che tu tagghi tutti questi merdosi e scriva “siamo gai e felici di esserlo”, hai scritto tutto fa vedere? Benissimo, bravo pus. Non credere che come io vada via tu la possa cancellare. Ora, io ho visto che ti chiami Gregorio Rossellini, appena andrò a casa ti chiederò l’ amicizia e tu accetterai, non perché me ne freghi un cazzo d’ averti come amico, ma così ti posso controllare. Quella foto e vale per ognuno di voi, deve rimanere in bacheca almeno 24 ore, da ora, altrimenti l’ indomani passerò di qui con una mazza. Ci siamo capiti! Passate le 24 ore io cancellerò la tua amicizia; e voi avrete capito che bisogna portare rispetto alle persone più grandi di voi. Ciao, statemi bene ed è stato un piacere fare la vostra conoscenza –
Presi la mia bicicletta e molto rilassatamente me ne andai a casa. Sinceramente mi sentii soddisfatto, come se mi fossi ripreso la mia dignità. E’ vero, la tolsi ad altre persone, ma se essi non avessero provato ad infangare la mia, io non avrei avuto bisogno di deturpare le loro.
Arrivato a casa, la prima cosa che feci fu quella di accendere il computer, per chiedere l’ amicizia a quei cretinotti e controllare se i miei imperativi avessero lasciato il segno, sì. Era tutto come avevo richiesto, da quanto ero sollevato m’ ero anche dimenticato di quel bastardo del mio capo. Mia moglie non c’ era, sarebbe tornata dopo le 22.00, perché era andata da sua sorella a Forte dei Marmi a cena. Ogni tanto si ritrovavano, erano come bisognose almeno una volta alla settimana di stare insieme, altrimenti ne sarebbe scaturita una lite sicura. Già perché se lei, Celeste, mia moglie, non vedeva sua sorella con la giusta assiduità diveniva insopportabile. A cose normali era la polemicità in persona, lato che io adoro, ma quando questa particolarità diveniva solo un difetto, beh volavano i piatti!
Quindi un giorno che era partito di merda, si stava per concludere meravigliosamente. Solo in casa. Quanto adoravo esserlo. Potevo fare due cose, liberamente, che molto amo, ubriacarmi ed ascoltare a tutto volume il pianoforte di Roberto Cacciapaglia.
Posai il mio stanco deretano sulla mia veneranda poltrona, ma il bello era che più essa invecchiava, più si sfondava. Più mia moglie mi rompeva i coglioni per cambiarla, sapendo che non ce la potevamo permettere, diveniva sempre più comoda. Presi il mio Ballantines, il miglior scotch da sempre, ed accesi lo stereo.
Mentre bevevo con una certa ripetitività, i tasti del pianoforte dolci ed intensi all’ unisono facevano volare la mia mente verso paesaggi sconfinati. Montagne bianche come una purezza che non ho mai posseduto. Montagne ancora illibate, dove l’ uomo non le ancora oltraggiate come la dignità altrui. Montagne che non hanno nemmeno i segni di quei fottuti scii, mentre io son lì che le guardo, sospeso in aria grazie alla musica, senza sentire la necessità di posarvi il mio puzzolente piede. Sto bene solo nel vedere, l’ incontaminato, il primordiale, il vero. Ovvero ciò che c’ era da prima di me e degli altri stronzi come me. Perché come ripenso a quel che vedo odiernamente, a quel che contribuisco a costruire tutti i santi giorni, beh, allo stesso tempo vedo quelle montagne sbiadirsi, perdere la loro lucentezza e mi sento mortalmente in colpa. Eppure io sono solo un tassello, insignificante, d’ uno schifoso mosaico che sarà letale a quelle montagne. Perché so che arriverà anche a quelle montagne e le distruggerà, come ha distrutto ogni cosa.
Quella era la mia mente, che vagava e formulava pensieri, prima di estasi, poi di sdegno ed infine di malinconica tristezza. Ma il mio scotch rendeva quella tristezza, quella malinconia, addirittura piacevole, nonché goduriosa. E Cacciapaglia si faceva più rabbioso su quel pianoforte, ma sempre con solenne rispetto, ed io lo seguii, mi feci più severo con me stesso, m’ incazzai per tutto. Per la mia vita, che mi faceva schifo e m’ avrebbe fatto sicuramente più schifo, perché tanto non sarebbe mai cambiato niente. Sì, sarebbe arrivato un figlio, un altro poveraccio buttato incoscientemente in questo fango. Bevevo, sognavo, m’ incazzavo, poi ribevevo, fumavo una sigaretta, volavo, mi costernavo, m’ intristivo, finché non mi rincazzavo e cercavo di capire dove avessi sbagliato. Forse quando mandai tutto al diavolo a dicassett’ anni, non finendo neppure il liceo, o quando salpai per lavorare in uno yacht, facendo il lurido mozzo, oppure non mi dovevo sposare e girare errante per il mondo. Non riuscivo a capire, eppure un errore, o tanti, ci dovevano essere, se quello che mi circondava era solo merda e io ci sguazzavo come un maiale. Poi mi consolai pensando che sono uno dei tanti maiali, in balia dei tanti mattatori.
Suonò il citofono! Così, dal nulla, svegliandomi dal mio viaggio interiore. Chi cazzo poteva essere se mia moglie era a Forte dei Marmi e la nostra vita sociale era piatta come il mare in piena bonaccia?
Provai ad alzarmi, ma ricaddi come un bradipo sulla poltrona, cazzo! Ero proprio sbronzo. Guardai la bottiglia di Ballantines, l’ avevo quasi scoppiata. Esplosi in una risata ubriaca, m’ alzai dondolando sguaiatamente, ritrovandomi perfino felice.
“Chi è?” dissi io al citofono.
“Si salve, non la vogliamo disturbare, volevamo solo sapere cosa ne pensava lei della Bibbia”
“Io … della Bibbia?!” erano quei rompicoglioni dei Testimoni di Geova, che generalmente io mandavo in culo all’ istante. Non ho mai sopportato coloro che ti vogliono imporre il loro pensiero, anche se con finto garbo. Che cazzo! Se voglio farmi Testimone di Geova sarò io a venire da te e non te da me! Però ero sbronzo, ed in vena di cazzeggiare. Ogni tanto mi prende la sbronza assopente che non ho voglia di nulla, alle volte invece, come in quel caso, mi viene quella felice e smaniosa di conversazione quindi dissi “Beh, io della Bibbia penso una cosa, che credo sia la più vera … credo sia una grande opera d’ arte, forse una delle più grandi, come L’Iliade o L’ Odissea, ma niente di più”
“Guardi che la Bibbia è molto di più d’ una grande opera d’ arte”
“Questo lo dice lei!”
“No, no, la Bibbia è un messaggio sacro mandatoci dal signore”
“E chi lo dice che sia Sacro, lei, o altri come lei in passato. Non c’ è mica un bollino che ci autentichi la sua sacralità. Può darsi che migliaia d’ anni fa un grande visionario come Omero, abbia dato il via a quel libro, con la genesi, e poi altri come lui si siano dilettati nel portarlo avanti seguendo una certa linea. Questo non significa che la Bibbia sia il vero messaggio di Dio”
“Ed invece qui la voglio, cortesemente contraddire, è la Bibbia stessa a farci capire la sua provenienza eterea”
“Ah sì, ve l’ ha detto lei!” dissi io ridendo come un deficiente appoggiato al citofono.
“Diciamo che in un certo qual modo sì. Se vuole le diamo una sorta di prova leggendole un versetto molto importante e significativo”
“Va beh, a questo punto salite, non si può mica discutere al citofono come idioti” e pigiai il bottone sul citofono che permise ai messaggeri di Dio d’ entrare.
Mentre loro salivano le scale io mi voltai per caso verso lo specchio in salotto, cazzo! Ero in mutande e subito mi misi a ridere. Me l’ ero completamente dimenticato, bevvi quel poco che rimaneva del mio Ballantines e non avevo per niente voglia di vestirmi. Poi presi un’ altra bottiglia di scotch e tre bicchieri, insomma volevo apparire una persona ospitale, la casa non era poi neanche messa così male, Celeste l’ aveva pulita nel pomeriggio. L’ unica cosa messa male, ero io, ero letteralmente ubriaco e pronto a divenirlo ancora di più.
Aprii la porta di casa, e cosa vidi? Vidi due donne. Una molto bruttina e cicciona, che indossava vestiti così opachi da far intristire l’ anima anche al Burlamacco. Era abbastanza anziana, sicuramente era la nonna di Geova. L’ altra, giovane e molto carina, bionda con gli occhi azzurri, un po’ in carne, ma diciamo: di quella pinguedine piacevole. Però erano tutt’ e due accomunate da uno sguardo inorridito ed imbarazzato. D’ altronde li avevo aperto la porta in mutande ed ebbro.
– Prego, signore accomodatevi! – esclamai io muovendo platealmente il braccio a mo’ di maschera accomoda persone.
– La prego però si vesta … non credo sia il caso … che stia in mutande – disse la vecchia leggermente adirata, mentre la bionda non lo sembrava per nulla, tutt’ altro, apparve divertita.
– A me non sembra sia il caso che lei mi dica cosa debba fare in casa mia … se volete entrare per conversare bene, altrimenti richiudo la porta ed arrivederci! – dissi simulando la chiusura della porta, ma la vecchia:
– No, no va bene – ed entrarono, le feci accomodare sul divano, mentre io mi misi sulla poltrona.
– Gradite un po’ di scotch? –
– No grazie – dissero all’ unisono.
– Ma? Lo gradireste, però non potete? O semplicemente è una vostra scelta, non un imposizione di rettitudine?- domandai io biasciando un po’ la frase.
– No, non ne abbiamo bisogno – disse molto convinta la bionda, trovando su di se lo sguardo fiero della vecchia.
– Ma io volevo offrirvi un bicchiere, mia una stoppa!! – dissi ridendo – va beh, insomma cosa volevate chiedermi? –
– Innanzi tutto leviamo, se vuole, queste formalità, piacere io sono Veronica – disse la bionda porgendomi la sua mano vellutata. L’ altra fece lo stesso, si chiamava Teresa, un nome scontato per una testimone di Geova, per giunta cadente.
– Piacere Leonida, via, cosa volete sapere? –
– Tu Leonida, ritieni che la Bibbia non sia in realtà il messaggio di Dio, giusto? –
– Vedi cara e dolce Veronica. Io credo che la Bibbia sia quello che l’ uomo abbia sempre pensato ed ipotizzato su Dio, sì, credo che sia un insieme d’ ipotesi, belle ipotesi tra le altre cose, e basta. Ma siccome è stato scritto in passato, migliaia e migliaia di anni fa ed il fatto che sia tramandato così nel tempo, fa diventare quelle ipotesi verità. –
– Quindi per te non è un libro sacro? –
– No, è solo un libro, il libro più letto della storia e questo non fa di esso un libro sacro –
– Ecco proprio per questo noi volevamo leggerti un versetto tratto dal Vangelo secondo Matteo, che diciamo, smentirebbe in parte quello che ci stai dicendo –
Io mi versai un po’ di scotch, sorrisi alle mie ospiti, d’ un sorriso colmo d’ ebbrezza e m’ accesi una sigaretta attendendo questo fantomatico versetto. Veronica prese la bibbia in mano, cazzo ci credeva proprio quella bella donna in tutte quelle stronzate. Lo si vedeva dalla solennità con cui afferrava il libro, dalla parsimonia con cui sfogliava le pagine, o dalla gioia con cui voleva leggermi quella cosa. Inizialmente pensai di divertirmi, data la mia sbronza, di farle venire su ed offenderle, ma poi quelle movenze mi fecero capire che quelle due donne credevano ciecamente in quel che dicevano. Non sono in molti a credere realmente nelle stronzate che dicono, a partire dai politici, sono loro il vero esempio d’ incoerenza, dicono una cosa e fanno tutt’ altro. Invece lei amante del suo pensiero, anche se era un pensiero indotto lesse:
– Dal “GIUDIZIO FINALE”, a parlare è Gesù Cristo: “Quando il Figlio dell’ Uomo verrà nella sua maestà, accompagnato da tutti i suoi angeli, allora si siederà sul trono di gloria e davanti a lui saranno condotte tutte le genti; egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e metterà le pecore alla sua destra, i capri invece alla sua sinistra. Allora il Re dirà a quelli che stanno alla sua destra – Venite, benedetti dal Padre mio, prenderete possesso del Regno preparato per voi sin dall’ origine del mondo. Poiché: ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrino e m’ ospitaste, nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, ero in carcere e mi veniste a trovare. – Allora i giusti diranno – Signore, quando ti avemmo aiutato? – e il Re risponderà loro – In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’ avete fatto a me -. Quindi dirà a quelli che stanno a sinistra: – Andate via da me, o maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi seguaci. Poiché: ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere, ero pellegrino e non mi ospitaste, nudo e non mi copriste, infermo e in carcere e non veniste a trovarmi. – Allora risponderanno anche loro dicendo – Signore, quando vedemmo aver bisogno d’ aiuto? – Allora risponderà loro dicendo: – In verità io vi dico: ciò che non avete fatto a uno di questi più piccoli, non l’ avete fatto a me. – E questi se ne andranno al castigo eterno, i giusti invece alla vita eterna. –
Bevvi un altro po’ di scotch, spensi la sigaretta, alzai la testa e vidi i loro occhi indagatori su di me, attendevano una mia risposta o reazione. Perciò non li feci attendere ulteriormente:
– Avete visto?! Ho ragione io! –
– Esattamente su cosa? – chiese visibilmente perplessa Teresa.
– Ma come su cosa?! – esclamai io – Del fatto che la Bibbia sia la più grande opera d’ arte, cazzo questa sì che alta filosofia!! – e mi accesi un’ altra sigaretta, già ero un buon fumatore, ma quando ero sbronzo le avrei fumate una dietro l’ altra.
– Mah … forse te non hai bene afferrato … –
– Certo che ho afferrato!! Per chi m’ avete preso per un beota?! – dissi io più rabbioso.
– No, no, lungi da noi volerti offendere Leonida, soltanto volevamo chiederti se avevi afferrato l’ importanza di queste parole? –
– Certo che le ho “afferrate”, sono parole stupende. Ora io non sono molto colto, anzi forse sono maledettamente ignorante, anche un po’ per scelta. E’ mia moglie quella colta, è professoressa di lettere, oddio ancora no, per’ ora è solo una fottutissima supplente. Però come potete vedere questa casa è piena di libri, ed io ogni tanto ne sfoglio qualcuno, non ne finisco mai uno, perché sono pigro. Però se si fa una stima di libri che ho letto a pezzi in qua e la, beh forse ho letto anche tanto. Quello che vi voglio dire è che quello che tu, Veronica, hai splendidamente citato, per quanto possa essere profondo, fa parte delle stesse cose che ho letto io in quei libri. Quindi è un opera d’ arte e basta e non mi da di certo la prova della sua sacralità!! –
– No scusami Leonida ma credo che tu non abbia appunto capito la profondità e l’ estrema bontà di queste parole … – disse Veronica con disappunto. Allora s’ incazzano anche i testimoni di Geova! Cazzo la conversazione si faceva interessante!
– Certo sono parole molto belle, ma che le poteva scrivere chiunque fosse molto profondo emotivamente –
– No, Leonida nessun uomo, a meno che non sia il figlio dell’ Onnipotente poteva elaborare un concetto di così alta solidarietà –
– Bella solidarietà del cazzo!! – sbottai io, Teresa svenne quasi per lo sdegno, ma d’ altronde m’ arrabbiai, infatti mi versai nuovamente da bere, ero sbronzo fradicio – Tutti quelli a sinistra vengono bruciati agli inferi!! –
– Perché sono peccatori! – esclamò, questa volta saccente Veronica.
– Ed è proprio perché sono peccatori che vanno aiutati e capiti, ma mica bruciati porca troia!! E poi come si può chiedere a dei poveracci di dare da mangiare, bere, riposo e tant’ altro a degli sconosciuti, se sono loro i primi a non avere un cazzo èh?!! Dimmelo su?!! –
– Credi in Gesù Leonida? – domandò così a bruciapelo Veronica. L’ altra era schifata dalla mia figura e le mie parole, beh, che se ne andasse a fa in culo! Voleva diffondere un messaggio, cosa credeva che fosse una passeggiata? I primi cristiani venivano sbranati nel vero senso del termine! Comunque risposi alla domanda dell’ altra, che sembrava molto più aperta di mente.
– No non ci credo – fui lapidario.
– Ah, quindi non credi nemmeno in Dio –
– No … diciamo che in Dio ci credo –
– Scusa ma sei ebreo? –
– No! –
– E allora non credi in Gesù, ma credi in Dio? –
– E qui che vi sbagliate da sempre, cara Veronica, voi persone religiose, volete catalogare e schematizzare una cosa che neanche si vede –
– Posso chiederti come mai non credi in Gesù? –
– Certo che me lo puoi chiedere, sono una persona democratica ed anche ubriaca! – mi misi a ridere e lei, anche se con discrezione, sorrise – secondo me, Dio è talmente immenso, superbo e presuntuoso, che non ha mai avuto bisogno di mandare delle conferme quaggiù, nella merda, per confermare la sua esistenza. Perché lui è il primo artista di sempre, e l’ unica cosa che vuole fare un’ artista è quella di creare, non per necessità, ma per diletto e di conseguenza per godersi la sua creazione –
– Potrebbe essere un confronto interessante, che a me piacerebbe continuare, perché ti possa spiegare degli argomenti molto importanti sul messaggio di Dio, però percependo le tue vedute, capisco che ci sarebbero molte differenze, quindi potremmo parlare, pacificamente intendo, per ore. Hai da fare adesso? Possiamo anche ritornare se vuoi-
In effetti m’ ero rotto i coglioni di parlare di Dio and company, poi la mia sbronza si stava assopendo ero stanco per tutta la giornata lavorativa sulle spalle. L’ unica cosa che volevo fare era mangiare qualche schifezza e accasciarmi dolcemente sul divano.
– E’ se non vi dispiace ho da fare … – la vecchia mi guardò con occhi che parlavano e dicevano: “che cazzo avrà mai da fare questo rozzo ubriacone in mutande?”. Io le sorrisi beffardamente – tra poco arriva mia moglie e dobbiamo andare in un posto … –
-Certo Leonida non ti vogliamo disturbare – disse Veronica alzandosi, in concomitanza con la vecchia, non mi garbava un cazzo quella lì! Si era la classica bigotta che ti guarda dal suo piedistallo della moralità, dove crede che non avendo scopato un po’ in qua e la, o preso qualche sbronza, o incappata in qualche rissa, o anche solo aver imprecato, insomma per aver condotto una vita d’ abnegazione si crede meglio di te. – però ti vorrei fare un’ ultima domanda Leonida-
– Spara – dissi io, sputacchiando pure, era come se lo scotch tutto di botto mi stesse levando ogni capacità intellettivo motoria.
– In merito al versetto che ti abbiamo letto … credi nel giudizio di Dio, quindi nel Paradiso e l’ Inferno –
– No. Credo che ci sia Dio e basta. Che Egli non giudichi nessuno, perché ha creato volutamente un qualcosa d’ imperfetto, solo per il suo divertimento, e non ci sia il bisogno di giudizi, premi o punizioni, visto che tutto ciò avviene già in vita per mano nostra. Insomma credo che una volta morti ci sia come una grossa nube bianca, dove ci siamo noi e Lui, ed ognuno deve convivere per l’ eternità con quello che ha fatto, ha detto ed ha provato. Quindi alla fine dei conti sia questa la vera punizione o beatificazione, sia questo il vero giudizio, quello che ognuno di noi sia darà autonomamente –
– Interessante, poi approfondiremo un’ altra volta, quando vuoi che ripassiamo? –
– Quando vi pare, per voi la mia porta sarà sempre aperta – dissi io sbattendogliela in faccia. Mi lasciarono un opuscolo intitolato: “Qual’ è il segreto per far durare il matrimonio?”. Lo gettai ridendo sul tavolo, in mezzo allo scotch, i bicchieri e le cicche, poi con sommo piacere sprofondai nella cosa che più amavo al mondo: il mio divano.
Credo di aver fatto uno dei sogni più stupidi della storia, che perfino Freud in persona si sarebbe rifiutato d’ analizzare, vista la cosmocologica idiozia. In pratica ero in passeggiata, e c’ era una fottuta pecora nera con sfumature grige che mi dava la caccia. Mi nascondevo dentro i bar, ma come uscivo e sondavo il terreno, questa mi correva contro come un toro imbufalito e mi colpiva con quella testa secca di pecora. Fortunatamente non aveva le corna, anche perché se no sarebbe stata una capra. No era affascinante come sogno, tutto così, ogni volta che ero all’ aperto la pecora m’ inseguiva e se non ero abbastanza reattivo mi colpiva con veemenza.
Per fortuna a svegliarmi da quella stronzata ci pensò mia moglie, perché se anche fosse una stronzata, beh, creava parecchia ansia. Infatti mi svegliai tutto angosciato ed in condizioni vomitevoli, analoghe a come avevo lasciato il salotto. La testa m’ esplodeva, ed ad accentuare quel dolore ci pensò anche mia moglie, che parlava a raffica, ma io non capivo un cazzo. Vedevo le sue carnose labbra muoversi velocemente e migliaia di parole che fluttuavano nella stanza, qualcuna di loro ogni tanto m’ investiva proprio come fece quella pecora. Gradualmente iniziai a capire il contenuto di quella modica sfuriata, era incazzata perché m’ ero ubriacato. M’ alzai, mi grattai le palle e mi diressi verso la cucina, senza degnarla d’ una risposta o spiegazione, non perché me ne fregassi di lei, ma perché ero un catorcio e non riuscivo nemmeno ad emettere un sibilo. Avevo bisogno di caffè, mi scaldai, da vero cazzone, quello che era già dentro la caffettiera, ma Celeste disse con tonalità devastante:
– Ma che prendi il caffè all’ una di notte?!?! –
– Amore non urlare … l’ una?! –
– Certo è l’ una, ma che cazzo hai fatto eh? –
– Ho bevuto un po’? – dissi io scartabellandomi la testa, forse cercando di vedere se ne usciva qualche frase che m’ avrebbe salvato da una discussione, che non avrei saputo sostenere.
– “Un po’” assume le sembianze di un vero e proprio eufemismo Leonida! Ti sei bevuto … perché tu lo sappia, così d’ ora in poi ti regolerai, io controllo le bottiglie, insomma ti sei bevuto quasi un litro di whisky! –
– Scotch per l’ esattezza – specificai io, forse avrei fatto meglio a darmi una mazzata sui piedi.
– Non me ne frega niente di quello che è!! – s’ inviperì lei, l’ amavo talmente tanto, che anche quando le vene del collo sembravano quelle di Hulck, vene prettamente per me, la vedevo sempre bellissima – Perché hai bevuto così tanto Leonida? E poi come un adolescente, che aspetta che la mamma non ci sia, per trasgredire … per lo meno spiegamelo? –
– Posso prendere il caffè e fumare una sigaretta? – dissi io, proprio come avrebbe supplicato un adolescente alla mammina.
– Va bene … vado a spogliarmi e a mettermi il pigiama – disse Celeste un po’ scocciata, spero scocciata, perché se l’ avesse detto rassegnata, mi sarebbe dispiaciuto. Si è vero ogni tanto bevevo, ma c’ era sempre un motivo per cui lo facevo e sia io che lei sapevamo che ero una buona persona.
Ci sedemmo al tavolino della cucina, io finii il mio caffè, era anche molto buono. M’ accesi una sigaretta, lei mi guardava, seppur arrabbiata, vedevo che m’ amava, che la sua rabbia era provocata dal troppo amarmi. Forse se non mi avesse amato, non si sarebbe neppure arrabbiata così. Sono le cose che amiamo a farci arrabbiare di più, perché oltre a volerle preservare, idealizziamo in loro una cornice dorata che in realtà non hanno.
Le raccontai la mia giornata di merda, di come quel bastardo m’ avesse trattato, di come la mia dignità ogni giorno venisse defraudata, per il solo motivo che ero l’ ultima ruota del carro. Le dissi di come mi ero rotto le palle d’ essere l’ ultima ruota del carro, di quanto ero stufo di tutto ciò e che forse se dentro di me prima sentivo di valere qualcosa, beh, adesso credevo d’ essere veramente quella cazzo di ruota. Celeste m’ ascoltava con occhi amanti. Le dissi con molta tristezza, che ebbi avuto bisogno di quello scotch per soffrire con dignità, per farlo poeticamente e che lo facevo quando lei non c’ era per il semplice motivo che l’ amavo. Ed amandola avevo il compito d’ essere forte davanti ai suoi occhi e debole solo in sua assenza, era come un dovere che m’ ero da sempre prefissato e che per sempre avrei portato avanti. Lei mi guardava con occhi amorevolmente splendenti. Le dissi che non si doveva preoccupare, ma che ogni tanto necessitavo di quello scotch, non di esso in particolare, solo di staccare temporaneamente la spina, azzerare la mia dignità calpestata e demolita dagli altri. Così potevo ripartire per interpretare il mio ruolo in questo cazzo di mondo, un ruolo dal titolo: “uno dei tanti”.
Celeste mi baciò, senza dire niente, era per questo che l’ amavo, forse aveva già capito all’ inizio del mio discorso quello che provavo, ed io lo sapevo e lei sapeva che io sapevo che sapeva. Quindi ci comprendevamo a meraviglia. Facemmo l’ amore, il sesso e lo scopare lo lascio a voi persone vuote.
Dopo che avemmo fatto l’ amore, mentre fumavamo una sigaretta, pura poesia, le raccontai per filo e per segno tutta la mia vicenda con le due testimoni di Geova. Lei rise tanto, poi disse:
– Ti amo –
– Anch’ io –
Poi guardai il fumo elevarsi sino al soffitto, dopo di che posai lo sguardo sul soffitto, bianco, bianco come la nube in cui andrò a finire. Guardai Celeste e dissi, credo a Dio: “Alla fine posso ritenermi felice, e quando verrò in quella nube, sicuramente sarò più felice di tanti altri, ti potrei anche ringraziare, ma dopo ti monteresti la testa!”