Il giglio delle dune

 

Dondolano le lampare al ritmo delle onde
occhi che spiano nella profondità dell’essere
punteggiano di luce il mare dell’inconscio.
Tra le ali tremolanti di un angelo imbronciato
una nube piange, la pioggia cade.
Le gocce bagnano la sabbia,
dissetano il giglio bianco sbocciato sulle dune.
Un profumo dolciastro riempie l’aria
che odora di polvere e di romantiche effusioni.
Le note di una canzone rigonfie di energia e passione
fendono il buio fino a sfiorar le stelle
e fanno breccia nel cuore indurito e stanco.
Atmosfera quasi surreale in cui l’anima a nudo mette le sue fragilità
e risveglia i reconditi passaggi della vita, dalla mente cancellati.
Riaffiora un bagaglio di esperienze, d’azioni ponderate,
sconsiderate scelte che di te stesso han fatto quello che sei
e ancor ti chiedi il perché di tutto questo.
La risposta giace tra le braccia del vento
che gli anni trascina in una corsa sfrenata col tempo.


 

Figlia di un altro tempo

 

Sorridono le stagioni al tempo
mentre corro nel vortice dei giorni
per afferrare un sogno
mi scontro con un palpito del cuore
nasce l’amore la vita prende il suo colore.
Nel profondo ricerco il mio essere bambina
nell’anima ritrovo arcobaleni di emozioni
sulle mie guance riscopro il rossore del primo bacio
dopo un rimprovero il pallore
della famiglia il suo calore
sulla pelle provo il giovanile impulso di volare in alto
senza fermarmi all’ingannevole apparenza.
Si accumulano gli anni come foglie secche
gli scenari cambiano.
Consapevole delle mie scelte
accarezzo quei ricordi sostanza della mia vita
nel petto custodisco tutti quei valori.
Ascolto una musica cadenzata
un ritmo di note sempre uguali
barcollo tra idee stravaganti
sorrido a inconsueti atteggiamenti
e annego in un mare di incomprensioni e cambiamenti.
I sentimenti colorano i miei versi
che ingialliscono nelle pagine di carta
come candele si consumano gli affetti.
Grido la mia verità al vento
e mi scontro con il silenzio
d’improvviso mi sento figlia di un altro tempo.


 

Diario di un  pericolo scampato

 

Eravamo molto giovani, la nostra prima bambina aveva solo sei anni e desideravamo fare una vacanza in campeggio per goderci la barca, una piccola lancia a remi, corredata però da un motorino di fortuna, usato  ma revisionato. 

Con alcuni amici, dividevamo una piazzola con un pergolato sotto il quale mio marito amava schiacciare un pisolino durante la canicola per cui, quel pomeriggio caldo ed assolato in cui lui rifiutò di fare il suo abituale sonnellino per andare a provare sulla barca il corretto funzionamento del motore appena riparato, fu facile per me capire che mentiva. 

Affidai la bambina che dormiva tranquilla nella roulotte alla mia amica e indossai il bikini più osé che possedevo, fatto da me all’uncinetto e piuttosto succinto per quella epoca. 

A passi lunghi e veloci, con il cuore in gola, mi recai alla spiaggia con gli occhiali da sole scuri che nascondevano il mio sguardo feroce e, incurante di chi mi salutava, continuai  ad avanzare finché non sentii che l’acqua fresca lambiva le mie gambe. 

Mi fermai di scatto e fissai i miei occhi su quel puntino nero che si  vedeva a largo. 

Anche se accecata dal sole, mi accorsi che quella era la nostra barchetta in cui distinguevo a malapena tre figure : lui che remava adagio, quasi non volesse mai raggiungere la riva e altre due persone che, dai capelli lunghi e dal costume, sembravano due donne.      

Gridai qualche cosa che non ricordo e loro,  dopo aver guardato bene verso la spiaggia,  si tuffarono senza esitazione, una da una parte, l’altra dall’altro lato. 

Riccardo, rimasto solo, pareva non avesse più la forza di remare ma, una volta a riva, lo scontro fu inevitabile : 

io arrabbiatissima gli sputavo ingiurie addosso, lui, 

candidamente, si giustificava perché, nel passare tra gli ombrelloni, due “infermiere” gli avevano chiesto di portarle a fare una giratina in barca e lui, così generoso di cuore e ben educato, non aveva saputo rifiutare… 

Quelle parole non ebbero affatto il potere di consolarmi, sapevo benissimo che la figura del “gentleman” non gli apparteneva.

Per farsi perdonare questa marachella decise di passare tutto il giorno dopo solo con noi e di raggiungere San Vincenzo via mare per pranzare in quel ristorante famoso che a me piaceva tanto. 

La prima parte della giornata andò bene ma, ritornati sulla spiaggia trovammo che il mare calmo del mattino aveva lasciato il posto ad onde minacciose che si alzavano da lontano sospinte dal vento e si facevano sempre più alte, mentre noi dovevamo rientrare.  

Prendemmo il largo a fatica mentre sentivo gli occhi degli altri bagnanti sdraiati per godersi l’ultimo sole, puntati su di noi e provavo disagio per l’incoscienza di quell’avventura. 

Feci indossare i braccioli, il salvagente e le pinne a mia figlia che si sedette nel fondo della barca vicino alle due assi di legno per poterle afferrare come sostegno e, mentre la forza del mare mi faceva sobbalzare sulla poppa dove ero seduta, lei mi chiedeva:

“ Mamma c’è pericolo?… quando arriviamo ?.. perché non c’è nessuno in mare?…”. 

Io tentavo di rassicurarla, ma forse ero poco convincente anche perché sentivo sotto di me lo scricchiolio del legno che si crepava, mescolarsi a quello delle mie ossa.

 Di fronte a me, mio marito cercava di tenere ben fermo e dritto il timone direzionale del piccolo motore che scompariva regolarmente dentro l’acqua del mare e riaffiorava seguendo il ritmo delle onde che minacciavano di penetrare all’interno della barca, con la probabilità che si riempisse ed affondasse.

Vederlo in un atteggiamento fantozziano, mentre le onde  spumeggianti gli sovrastavano la testa e la barca procedeva a zig zag, nonostante i suoi sforzi per mantenere la rotta, sarebbe stato anche divertente,  ma quello non era il momento adatto.  

Fortunatamente riuscì ad uscire dal mare aperto e, trovandosi di fronte ad una spiaggia grande e deserta, decise di avvicinarsi sempre di più, finché spinse il motore al massimo della sua capacità e la barca leggera prese una tale velocità che nel tempo in cui mi buttai nel fondo per proteggere la bambina, con la bocca soffocata da un grido che non volevo far uscire, ci ritrovammo sulla spiaggia, all’altezza della seconda fila di ombrelloni del club Mediterranè  che a quell’ora tarda della sera, era già vuoto.

Il pericolo era scampato, ma quella notte non chiusi occhio, continuando ad avere la sensazione di andare in barca, mentre lui accompagnava i miei sbadigli con un respiro regolare e tranquillo, proprio di colui che si gusta i suoi sogni. 

Ogni estate, stessa voglia di mare e di avventura in barca ma accadeva sempre qualche cosa di nuovo e mai di piacevole, tanto che gli amici, anche quelli più assidui, a forza di essere coinvolti nelle nostre disavventure, iniziarono a evitare gli inviti insistenti di mio marito e, se non potevano rifiutare, una volta saliti sulla barca, a stento nascondevano la paura per ciò che poteva accadere.  

 Con il passare degli anni e con la barca più grossa e piena di confort, a chi mi chiede:

 “ Perché non ami andare in barca con tuo marito ?,…. lui ci tiene così tanto…! “.

 Che cosa dovrei rispondere? …

 

RACCONTO SCRITTO PER L’ANTOLOGIA VACANZE PUBBLICATO DA PERRONE AD AGOSTO 2008