Scarpe rosse

 

Alice appoggiò la bici al muretto della vecchia casa del pastore e cercò un posto tra l’erba dove non ci fossero ortiche per aspettare.

Si erano dati appuntamento alle tre e lei doveva essere un po’ in anticipo. Anche se era lontana dal paese, si sarebbero dovute sentire lo stesso le campane della chiesa che regolarmente battevano le ore. Aveva messo le scarpe nuove che le aveva comprato la nonna al mercato il giovedì precedente e si sentiva molto bella con quella vernice rossa ai piedi che il sole di luglio faceva risplendere in tutta la sua perfezione.

Si sdraiò a guardare le nuvole lente e grasse mentre un grillo le arrivò sul ginocchio scoperto a fissarla incuriosito. Un rumore che si stava avvicinando indicava che Raffaele e Massimo stavano per arrivare.

“Ciao Ali”- disse tutto sudato Raffaele mollando la bici per terra sul prato—“è tanto che ci sei?”

“No, cinque minuti”- rispose lei. Dietro Raffaele, Massimo stava tentando di appoggiare la bici a un vecchio castagno che non voleva saperne di collaborare a tenergliela in equilibrio. “Puoi appoggiarla vicino alla mia dal muro” fece lei, gentile.

“Fa caldo” disse lui, mentre si scostava un ricciolo scuro che gli scendeva sulla fronte. Massimo era più basso degli altri ragazzini di dodici anni, magro, sportivo. Raffaele era alto biondo con un paio di occhiali che ad Alice facevano pensare a quelli di un medico anziano, con le lenti un po’ scheggiate e sempre con una camicia a mezza manica di colore diverso.

Lei era carina. Alta il giusto, con i capelli castani che portava legati in una coda di cavallo e gli occhi verdi, come sua mamma. A scuola, quell’anno, due o tre compagni di classe le avevano chiesto di fidanzarsi ma Alice si sentiva bene così, senza un ragazzo, per ora. Non voleva avere qualcuno che non le piacesse davvero. Insomma, pensava che dovesse essere tutto molto più romantico di un bigliettino con su due quadrati da riempire con delle crocette, nell’ora di matematica, per decidere se fidanzarsi o meno.

Raffaele tirò fuori dalla tasca un fazzoletto a quadri verdi. “Ci siamo fermati sul sentiero a prendere delle more per te” e gliele offrì. Alice stava bene, si sentiva contenta nel prendere una larga, rotonda mora scura e nel metterla in bocca.

Massimo stava un po’ in disparte senza dire niente strappando fili d’erba e guardando basso. “Forse verrà anche mia sorella con Giuliano” disse poi. “ Le ho detto a pranzo che volevamo farlo e così ha detto che ci avrebbero raggiunti. Scusate.”

“Che problema c’è?” disse Alice prontamente. “Se siamo in più forse è meglio e poi lei è forte”. Ester era la sorella di Massimo. Aveva 14 anni così come il suo ragazzo Giuliano. Alice li aveva visti dopo la sagra andare mano nella mano lungo la strada per il cimitero da soli, al buio. Lui a un certo punto le aveva detto qualcosa all’orecchio e si erano fermati a guardarsi. E poi l’aveva baciata. Come in un film. Le stelle nel cielo, la musica della festa della sagra di sottofondo e quelle due figure abbracciate…stava ancora pensando a quello quando li vide arrivare in una nuvola di polvere. Giuliano aveva una moto da trial che suo padre, un meccanico, gli aveva messo su come regalo di promozione alla fine della prima. Faceva lo scientifico con Ester, si vedevano anche a Genova, tutti i santi giorni, anche se non erano nella stessa sezione.

“Ciao gente” –disse Ester -. Era bellissima. Alta, con i capelli neri lunghi e lisci e gli occhi nocciola, che al sole diventavano dorati. “Allora è qui?” – chiese Giuliano scendendo dalla moto.

Raffaele disse di sì e poi spiegò il piano. “Dobbiamo scendere per il sentiero delle pecore fino al fiume e poi proseguire per un po’. Poi arriveremo al punto e sappiate che i cellulari lì non prendono quindi se dovete fare qualcosa, fatelo adesso. Non fate casino e poche domande”.

Sembrava un vero capitano. Giocava a basket e se ne vantava spesso, di quanto fosse fondamentale nella squadra. Quell’autunno era sicuro che l’allenatore lo avrebbe nominato capitano, perché il ragazzo che lo faceva prima non avrebbe continuato con loro dopo un trasloco in riviera. Era già nel ruolo.

Mentre scendevano per il sentiero Raffaele davanti poi Ester e Giuliano e dopo di lei e Massimo, sentiva i sassolini entrarle nelle scarpe rosse e le vedeva impolverarsi lentamente. Avrebbe dovuto pulirle con cura prima di tornare a casa.

Il campanile aveva battuto le tre da un po’ ma il sole non faceva più così caldo perché gli alberi erano fitti e pochi raggi filtravano leggeri. E poi, di colpo, il rumore dell’acqua. Basso, ritmico, libero. Erano al fiume. Ester chiese di fermarsi e prese dall’Eastpack nero una bottiglietta d’acqua gasata. Raffaele si appoggiò a un albero, Giuliano si girò una sigaretta e Massimo controllava le cose che aveva portato con sé nello zaino.

Alice non aveva niente. Solo le chiavi di casa nella tasca dei pantaloncini. “Che stupida”, pensò. “Potevo almeno prendere qualcosa di merenda. Ora mi verrà fame alle sei.” Massimo le porse una merendina. “Tieni, se vuoi, ne ho portate due”. Era sempre così generoso.

Proseguirono lungo il lato sinistro del fiume, per più di mezz’ora. Poi, di colpo, Raffaele si bloccò. “Ci siamo, ragazzi. Fate piano.” Dietro a un grosso sasso, vicino a una quercia, c’era una tagliola con una volpe rossa che doveva essere ancora viva, anche se si muoveva appena. Sull’erba il sangue rappreso e la bestia inerme stritolata tra i ferri. Ester senza pensarci le si avvicinò e le accarezzò la testa. Raffaele tirò fuori il cellulare e si mise a fare delle foto. Giuliano prese un sasso e cercò di aprire la tagliola. Massimo era tornato un po’ indietro e stava vomitando. Alice si avvicinò a guardare e mentre Giuliano ed Ester liberarono la volpe, l’animale barcollò e cadde sulle scarpe di Alice. Il sangue si era distribuito sulla vernice rossa e non si vedeva quasi in quella penombra. Fu un gesto spontaneo. Alice raccolse una pietra e la scagliò sulla testa della volpe. Si sentì un crock e l’animale cadde morto a terra.

“ Non potevamo lasciarla così, stava soffrendo” – disse lei seccamente.

“Sì, non ce l’avrebbe fatta comunque, hai fatto bene” – disse Raffaele.

Ester abbracciò Giuliano e si mise a piangere, Massimo ancora non si avvicinava.

“Basta, torniamo indietro” – disse Giuliano –“non vorrei che qualcuno mi fregasse la moto.”

Raffaele tirò fuori un sacchetto di plastica, ci mise dentro l’animale e lo infilò nel suo zaino.

“Andiamo dai, che sono già le cinque, il tempo vola quando ci si diverte.”

Massimo stavolta camminava davanti a tutti lungo il fiume. Arrivati all’imboccatura del sentiero Alice gli chiese di aspettare un attimo. Gli altri tre stavano già andando tra risate e battutine. Alice si tolse le scarpe, le bagnò nel fiume e chiese a Massimo una mano per tenersi e non caderci dentro tutta. Il freddo del fiume l’aveva scossa si sentiva elettrizzata e l’aver ucciso la volpe le dava un senso di potenza mai provato. Divenne coraggiosa. Si avvicinò a Massimo e con le dita bagnate gli scostò il ricciolo dalla fronte e lo baciò.

Gli mise le mani gelate sotto alla t-shirt mentre lui stava immobile a farsi baciare lentamente.

Lui era bloccato, paralizzato. Dopo il bacio che ad Alice era sembrato meraviglioso, lui disse. “ok, andiamo dagli altri”, senza un sorriso, senza un minimo accenno di felicità per quel regalo perfetto che lei gli aveva appena fatto. Anzi era disgustato, lontano.

Alice sentì crescere dentro una forza strana, un impulso di rabbia, un attimo di incontrollabile follia per essere stata rifiutata così. Mentre Massimo aveva iniziato a camminare lei prese un sasso bianco grande e glielo diede in testa, come con la volpe. Ma non bastò una volta sola. Fece quel gesto dieci, quindici volte, finché gli occhi di Massimo non guardarono altro che il nulla e poi prese dal suo zaino l’altra merendina e si sedette vicino al suo corpo a mangiarla. Ora si sentiva di nuovo bene. Ora aveva rimesso le cose al posto giusto. Entrò nel fiume e nuotò finché non vide più le sue scarpe rosse, accanto a Massimo, sparire nel buio.