Occhi grigio

Sarà stato ottobre, sarà stato il 2004, non lo so. Ci sono immagni e ricordi che rimangono

come scolpiti nella mia mente, a volte ho una memoria sorprendente, ricordo nomi,

aneddoti raccontatomi, ma quasi sempre non riesco a collocarli bene nel tempo, è come

se non riuscissi a dare un ordine alla mia vita, oppure è come se non fosse realmente

importante dare un’ordine, mah.

Insomma sono qua, dentro una punto rossa insieme a gente che non conoscevo sino ad

un mese fa.

Si perchè un paio sono colleghi di corso dell’università, Christian e Filippo, vivono nelle

residenze del campus universitario ed un mese fa mi hanno invitato per la prima volta a

studiare con loro.

Non amo studiare in gruppo, mi sembre di perdere tempo, ci si distrae troppo, comunque

per educazione e con un senso di lusinga su cui certamente loro hanno fatto leva, decido

di andare. Conosco altra gente, non sono i miei tipi, un po’ sfigatelli, ma persone

intelligenti e dal cuore onesto, poi studiano sul serio e le distrazioni sono poche.

Insomma un giorno dopo lo studio mi comunicano di una loro attività di servizio, una

sorta di volontariato, che fanno settimanalmente, ogni sabato, ci vado.

Così mi trovo in questa punto rossa, guida Filippo, dietro Christian ed un certo tizio di

cui non ricordo il nome e che chiamerei “coso” per semplicità narrativa. Ci segue una

Toyota Yaris grigia, con altri quattro “cosi”, stesso modello.

Coso è particolarmente eccitato e fiero dell’attività che stiamo per svolgere, ne parla di

continuo, la cosa mi piace ed ascolto. Intanto dal finestrino della punto il panorama

cambia, stiamo uscendo da Roma, siamo nella bucolica Trigoria, cielo nitido, si vede il

profilo dei castelli romani, verde intorno.

Ad un certo punto non ascolto più la voce di Coso, mi sintonizzo su un’altra lunghezza

d’onda; il volume è bassissimo ma riconosco dalla radio “ In the shadows” e mi sembra

na buona colonna sonora, mi sembra di stare nella versione nerd di un video dei The

Rasmus, pensiero raccapricciante; però mi ci vedo in realtà…in the Shadows.

Parcheggiamo all’ombra di un pioppo in un cortile sterrato, siamo arrivati. Un edificio

squadrato di mattoncini rossi, costruzione recente, per forza! fino a ieri qui c’erano solo

pascoli e tanta agricoltura; è una casa di riposo per anziani, nulla a che vedere con

quelle megaville cui fanno un sacco di pubblicità in tv o nei cartelloni pubblicitari delle

strade statali fuori città, quelle dove vedi foto di arzilli signori/re che se la spassano nel

lusso, che quasi ti verrebbe voglia di passarci il ferragosto o di trascorrerci una vacanza

intera tanto sembrano spassarsela.

Invece no, questo posto è proprio triste, di fatto è un condominio, al citofono risponde

una voce straniera, saliamo una rampa di scale strette. Ci accoglie la voce straniera, che

a quanto pare è una suora peruviana o giù di li, ancora non la vedo bene perchè sulle

scale c’è poca luce e riconosco solo un sorriso bianco di accoglienza, ci parla Filippo,

quello più ammanicato, entriamo.

Lungo corridoio e seconda porta a destra e…eccoci qua, provo a descrivere: stanza direi

gialla, ma non per la tinta delle pareti, per la luce tenue del sole sempre più basso che

passa dalle finestre, pochi quadri, arredamento “minimal”, ma non “mimimal chic”,

rende meglio la traduzione italiana: minimo!

Lungo tutto il perimetro della stanza una dozzina di anziani inquilini di questo posto

improbabile, sguardi spenti quasi a fissare un punto sul pavimento, qualcuno bofonchia

qualcosa con il vicino, una signora lavora con l’uncinetto, molto silenzio di fatto se non

fosse per la presenza dell’infaticabile servizio entertainment e aggiornamento; al centro

della stanza a dominare la scena c’è infatti un televisore 32 pollici a tubo catodico,

tenuto acceso su un canale qualsiasi, per una compagnia passiva ed annoiata ad un

audience di età media 80 anni.

Primo effetto del nostro ingresso: abbassiamo l’età media di almeno vent’anni!

Il secondo e contestuale effetto è pura magia, si illumina tutto (io spengo il televisore nel

frattempo), dodici persone che ci guardano come se fossimo angeli venuti a salvarli;

entriamo ridendo, salutando tutti con calore, facciamo casino, ma è la nostra missione.

Mi vengono i brividi e quasi mi si bagnano gli occhi, sono commosso da queste dodici

persone che di colpo si accendono e tutte, dico tutte, ti regalano un sorriso a pieni denti,

in tutto quaranta-quarantacinque denti, ma non importa!

Non tutti sono lucidi e nelle loro piene facoltà intellettive, qui Alois Alzheimer è amico

di tutti o quasi. Inizia lo show e offriamo pasticcini, appositamente scelti morbidi per

poter essere “masticati” da tutti, qualcuno ha il diabete, ma oggi è sabato e vengono i

giovinotti! Qualche strappo alla regola a novant’anni si può fare.

Io inizio subito a bomba, mi prendo Concetta, 85 anni, cominciamo a parlare e mi

racconta di tutto, ma soprattutto di suo figlio, che pare essere un fenomeno a scuola!

Assecondandola le chiedo che classe fa e lei mi dice: <>. Ascolto quasta

mamma orgogliosa che alza il braccio mimando il figlio con il dito verso l’alto e mi

viene da sorridere pensando a questo studente modello che attualmente avrebbe 60-65

anni, in una scolaresca di bambini, all’ultima fila, in un banco troppo piccolo per lui;

insomma sorrido e sorride anche lei. Questo fatto della maestra me lo avrà raccontato

sedici volte in

dieci minuti, ma l’avrei ascoltata per ore.

Due ore siamo stati, due ore per cui avevano aspettato una settimana, si perchè in molti

casi, come in quello di Concetta, vuoi per la tenera età o per il troppo studio in vista

dell’esame di quinta elementare, Claudio non ci andava a trovarla, così come nessun

altro.

In due ore ho sentito storie e condiviso pensieri, gioie e paure, ma c’è qualcosa che tutti

mi hanno comunicato, me lo hanno urlato in faccia e di fronte a quel qualcosa mi sono

sentito annichilito, come se mi avessero sbattuto al muro; tutti avevano negli occhi la

paura di morire, rispetto a me erano più vicini alla morte e quasi la aspettavano da un

momento all’altro, ma avevano il terrore ed avrebbero pianto come bambini. Mi

dicevano che si ricordavano di quando avevano vent’anni e che sembrava ieri, poi il

tempo li ha divorati e ora il tempo sta per finire.

Queste persone, eroi del tempo, molti rimasti soli, esperti di vita e di storia, perchè la

Storia l’hanno fatta e qualcuno l’ha scritta sui libri che ho letto al liceo, questi signori,

che hanno attraversato la fame e la guerra, i colpi e le delusioni della vita, se li guardi

veramente negli occhi, perdono la loro forza incrollabile e tornano ad essere fragili

eindifesi come bambini che hanno paura del Buio.

Tornato a casa ho scritto “Occhi Grigi” e l’ho dedicata a mia nonna.

Occhi grigi
Occhi stanchi,

di amore e costanza

di fame e speranza.

occhi grigi,

fiaccati dal vento

del passare del tempo.

occhi adulti

nel passato sofferto,

occhi infanti

nel domani incerto.

forti ed esperti

che tanto hanno amato,

ma pur sempre occhi

bagnati dal pianto.

(a mia nonna).