Critica

In una terra stuprata da ideali tanto indegni
io mi muovo al pari di un invalido
ch’abbia perso facoltà di adagiarsi sui sostegni.

Sotto un cielo senza stelle camuffato da stellato,
va a capire cosa è giusto, va a capir cos’è sbagliato!
Qui si vive tra pupazzi, commedianti e burattini,
ma la vita, cari miei, non è teatro per bambini!

E non conta ciò che sei ma la maschera che hai!

Non si vive di sol pane, ma neanche d’illusioni,
e in un mondo inconsistente popolato da figure,
puoi distinguer mai il vero dalle tue supposizioni?

Come fosse carnevale qui la gente sfila in piazza,
s’imbottisce di coriandoli il cervello tumefatto
e non nota tra il folclore il colore che li ammazza.


 

E’ Ora di morire

Le mura unte di sudore
nascondono la faccia tra le sbarre attonite,

l’orologio, macabro metronomo,
scandisce l’ultimo valzer: è ora di morire.

L’oscurità rantola tra le mie membra contratte,
le lancette, martelli insanguinati,
percuotono, avide come asce,
le mie tempie allucinate,
hanno aperto la gabbia: è ora di morire.

Nel grigio corridoio,
strisciano, curvi, spasmodici pensieri,
stringo tra le dita paure soffocate
e già sento il tanfo d’unghie arse: è ora di morire.

Nella platea di sguardi truci
che invocano dolore…
inchiodato al trono mortale,
come strega nelle mani della Santa Inquisizione,
da Ieri all’indomani, non è cambiato nulla…
è ora di morire.


 

II Mantello Corvino

Mantello corvino, avvolge nelle sue scure palpebre,
gonfio di sonno, la città assopita.
Accarezza una casa, rischiarata dal fresco
della notte bugiarda, puntellata dal silenzio.
Piccoli nei lucenti bucano la maschera di mistero…
Tra le foglie di un arbusto sorride la civetta,
spiando il crepuscolo sgranchirsi le tenebre.
La luna trancia la volta, cupola michelangiolesca,
che chiude la vista nella sfera di vetro,
lontana memoria.
Vaganti fantasmi tra le strade deserte.
Un cane vecchio e storpio
trascina una coppia di scapole contratte,
urtando il buio pesto.
Una palpebra ricade pesante,
scuotendo il silenzio
tra l’eco di parole non dette.
un peschereccio si imbarca,
ingoiando sale e sprazzi di sole.
Il vento sussurra parole d’angoscia,
piegato dal torpore.
Uno schizzo di sangue dipinge il cielo,
squarciando il mantello, che ricade sottile,
come velo trasparente e svela l’inganno:
un sorriso schizoide, con occhi esplosi,
sconvolgente delirio, si sollazzava nel buio
della notte materna.