Margherita
D’un fiore il nome m’hanno dato
candida nuvola di prato
non è regina, non è signora
di spine una selva non l’onora
non risplende di colori la sua veste
né profumo emana da far dolere teste
la calpesti come niente sotto i piedi
sul suo corpo, incurante, ti ci siedi
rustica forte, le basta un granellino
di terra e poche gocce per fare capolino
al ciel spalanca l’occhio suo dorato
umili grazie rende al creato
senza lei non esiste primavera
quanti mazzetti offerti in preghiera
a grate appesi, in crocicchi contadini
risalgono dagli anni miei bambini!
Là dietro, Madonnine screpolate
al dono sorridevano beate.
D’un fiore il nome m’hanno dato
per nulla appariscente, né dotato
ma s’erge fiero sul piccolo suo stelo
e punta in alto, buca anche l’asfalto!
Andrea
Cugino, stanotte ti ho sognato:
camminavi su un verdissimo prato
Mi hai visto; un cenno, un sorriso
eri guarito, lo sentivo*
Allacciandoci come due fidanzati
ci siamo avviati
Mi hai mostrato il tuo regno:
le dolci colline, i poggi, le chine…
Non ricordo se hai detto qualcosa
ma è rimasto nel cuore
un senso di pace
Sei vivo, cugino,
fratello di sangue!
È che noi, sulla terra,
abbiamo l’anima troppo esangue
per guardare ai tuoi cieli
a quei verdi tappeti
che calchi ogni giorno
un purissimo giorno
d’eterno sereno
nel tempo ormai pieno
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*Mio cugino si è spento a 17 anni, a causa di una malformazione cardiaca congenita.
Nonna
Da sotto le persiane del mio cuore
filtra la candida freschezza
delle trine della nonna
dei centro-tavola, dei lini ricamati
Quanti giorni sudati spesi a cucinare
cucire sciacquare stirare…
Candida chioma di zucchero filato
vestito rimboccato sulle magre braccia
d’uccello, leggero fuscello
ape laboriosa tutta casa
e casa e casa…
Ricordarti adesso è una canzone
Ancora vorrei poterti parlare
sfiorare il lindo, grezzo grembiulino
forse, per dispetto, sfilare il nodo
della cintolina, come facevo da bambina
Ancora vorrei sentire il bruciante calore
delle tue mani
Ed eccoti esposta
la mia febbre nascosta:
“Vale la pena di vivere, nonna?
Tu l’hai capito?”
Muta è la risposta
ed io
resto a pensare…
Anima
Schegge di luna e lava di vulcani
ardono nell’anima mia. Poesia.
Laggiù disegna un fiume i suoi meandri
serpeggiando s’inabissa, trascina
tronchi morti, rallenta poi riprende
la corsa che lo porta chissà dove.
Amara vallata dell’inquietudine
nei tuoi gran cieli sprazzi d’ali bianche
lente calan tra il cupo della notte.
Già il vento squassa querce sulle alture
rimbomba il tuono rotola si schianta,
baluginio d’affocati orizzonti
piovon rade scintille siderali.
Incastrato nel fondo d’una forra
lo scarabeo d’oro va gridando:
<<Fammi uscire!>>.
Immagini
Ruggenti vette della mente
lingue di fiamma sorvolano
estese solitudini.
Boschi di abete rosso inanellano
minuscoli laghi di vulcano.
Solleva la cerva sospettosa
le mobili orecchie oltre la verzura.
Lame di luce filtrano da sotto
la porta che ancora resta chiusa.
Guizza il pesce nel barattolo
di vetro, anela
alle profondità del mare.
La lupa
Là, in mezzo allo scuro delle fratte
lampeggia il fuoco di due occhi acuti
guardinghi, rosso cupo, occhi di lupo.
Mi fissan silenziosi, s’insinuan nella mente
è strano, non li temo: sono i miei.
Or s’avverte l’ansimare del respiro
sinuosa correndo tutta notte
lo scatto fulmineo dei muscoli potenti
le orecchie ben tese, è scesa
giù dai monti col suo passo di neve.
La lupa, a caccia di preda, ha trovato me
io, a caccia di me, ho trovato lei.
Tacite avanziamo, al chiaro di luna.