Se la nostalgia…

Se la nostalgia avesse forma dilaterebbe il tempo
Solo per mandare avanti e condannarsi al fermo
Se avesse voce più alta d’un sussurro sarebbe pece
E colla capace di diventare inferno e pace.
Se possedesse sguardo, sarebbe il mare quando
è grande e profondo e se si facesse confronto
niente sarebbe l’immenso., ma incontenibile
come quando dei sogni si tenta di fare lista o resoconto.


Scivoli

Senza età d’inverno scuri giorni con la neve tra le ciglia
Di occhi infreddoliti miagolii innamorati mulinelli di pensieri
Lievi e volteggianti senza destino esonerati da ogni sentiero
S’impigliano alle mani d’alberi invocanti
Baluginii assenti in voli lievi d’uccelli
Senza ali.


Il seguace

In un giorno indeterminabile d’ ottobre, l’arabo salì su una collinetta per valutare la storia.
Si sentì smarrito, ebbe freddo, in quella regione folta di acque, familiari solo per le comuni origini saracene. Una terra contesa, di incomprensibili confini, come una puttana disputata nella provvisorietà confusa delle più infime risse. La sua gagliarda cavalleria islamica era quel giorno un insieme di ottantamila uomini disseminati per la campagna ostile, incattiviti dal clima, accampati al tepore blando di fuochi provvisori, tremavano all’idea di immergere un solo alluce, in quelle gelide correnti spaventosamente nordiche, un vero trauma per la loro pelle di mori. Per non parlare del cibo, consistente in indigeste anatre, insipide galline in brodo, e le maledette prugne che li costringevano a dissenterie improvvise. Ma come potevano ribellarsi, alla fiducia tatuata nel proprio sangue, che per nascita dovevano riporre nel loro generale? L’arabo sospirò. Cosa avrebbero fatto quegli islamici alla prossima meta, decisamente atlantica? Si sarebbe guadagnato l’odio, sotterraneo ma autentico, e direttamente proporzionale all’umidità che li aspettava. Avrebbero starnutito e maledetto il fanatico estremista, le sette, le guerre e poi perché mai si deve combattere sempre nelle stagioni delle piogge? L’arabo non poteva sfuggire alla fame di bottino, ma cercò di sfuggire al futuro di correnti provenienti da ovest, e deviò la mente all’avanzata verso quella città dal nome evocativo di Bordeaux: magari vi avrebbero trovato le lucciole più belle della cristianità! “Forse questo li ammansirà” pensò alle truppe dei suoi fanti, gli alfieri da sacrificare, solo soldati votati al massacro, meditò malinconicamente masticando una vaga contrarietà; “La storia mi sostiene, altrimenti perché mai avrebbe fatto soccombere Manusa?”. Questa non era una semplice spedizione, ma la Spedizione, era valsa la pena di affrontare quell’aria perennemente bagnata dei Pirenei. Un viaggio faticoso, e tirarsi dietro tutti quei pigri, ma indispensabili dromedari poi. L’odore acre di quei pazienti animali gli penetrò nelle narici, e sorrise al pensiero di una guerra che aveva armi addirittura scientifiche, chimiche perfino. “ I loro cavalli sono pesanti e goffi, e si lasciano condizionare dagli olezzi, al punto da imbizzarrire.“ “Nulla a che vedere con i nostri. Sangue caldo e mantelli nobili, come il mio Sauro lucente e guizzante come una freccia!”, ”Pensano d’essere sostenuti dalle loro divinità, dalle loro asce, perfino quelle sono bifide, le bipenne francische” L’autunno, la storia lo volevano amato generale, qui rifletté e sogghignò. “Ah, duca indigeno, dal nome metallico di maniglia, sei solo un cane infedele dai facili armistizi”. Ottone, e quella guerra santa di cui si ricordava ad intermittenza Non potevano perdere, di lì a qualche tempo sarebbe caduto il centenario della morte di Maometto, questa ricorrenza li avrebbe protetti dalla sconfitta.