Addio

 

Correva l’anno della povertà, quando dovemmo lasciare per sempre il nostro caro paese.

La decisione non fu immediata e facile, ma fu frutto di sudate discussioni e di inaccettabili consapevolezze. Non c’era lavoro, né per me, né per i miei figli e mia moglie non sapeva più come cucinare le cipolle. Non eravamo capaci di immaginare un futuro lì, in quello splendido, meraviglioso, familiare, amato villaggio, di cui conoscevamo ogni singolo respiro e ogni sofferente gemito. Nella piazza principale c’era la chiesa del nostro matrimonio, nel verde parco la panchina del nostro primo appuntamento, nel bar sulla strada tutti gli amici di una vita. Ma un giorno, dall’enorme vallata dell’ignoto provenne un grido di speranza, che per la prima volta decisi di ascoltare. Quel grido si chiamava America.

«Peppino, che fai ancora qua? Vieni con me a Nuova Yorka!» – diceva Turi, partito alla scoperta del Nuovo Mondo qualche tempo prima e tornato in patria come un vittorioso combattente dopo un estenuante duello. Sapeva di nuovo Turi, di fresco, di cambiamento, di vita, mentre noi ce ne stavamo indolenti e silenti, come sedati dalla mirabile maestosità delle montagne che ci circondavano e dall’accecante azzurro del cielo. Come se il cielo non fosse dappertutto poi. Chissà se l’America aveva questo stesso cielo, e così azzurro.

Nonostante la bellezza del paesaggio e il viscerale legame col paese natio, quella miserabile miseria si faceva sempre più palpabile, a discapito di qualche profumata pagnotta o di un pezzo di carne per i ragazzi. E così pensammo all’impensabile, deciframmo l’indecifrabile, nominammo l’innominabile: AMERICA.



In mezzo al mare

 

Tutti ammassati ci respiriamo,

le onde decidono dove andiamo,

ma quest’odore non lo sopporto,

rivolgo l’ultimo sguardo al porto.

 

Addio terra amata e amara,

solo con me sei stata avara,

ti odio perché mi hai rifiutato,

solo il sole mi hai regalato.

 

La pelle bruna ci fa un tutt’uno,

con occhio attento ci guarda Nettuno,

ci compatisce e si compiace:

«Va con la corrente, gente audace!».

 

Una mamma allatta il bimbo che piange,

un’altra la sua vecchia vita rimpiange,

Terra, perché ci hai fatto questo?

Ci abbandoniamo ad un pianto funesto.

 

Il Nuovo Mondo potrà salvarci

da questi pensieri grigi e marci?

Piero si chiama il molo e a lui ci appelliamo,

ci accolga il continente che noi aneliamo.

 

Ti prego, prendi la nostra mano,

fa che tutto diventi americano,

tranne lo spirito, quello no,

quello per sempre sarà Italiano.


 

La Terra Promessa

 

Eccola qua la Terra Promessa,

abbraccia chiunque le sue lodi tessa,

quante valigie quante persone,

nessuna storia, basta nome e cognome.

 

È un gioco di numeri questo controllo,

solo una moglie e nessun torcicollo,

due occhi interi, non tanti anni,

né politici o sociali affanni.

 

Due più due fa quattro, caro Italiota,

per non avere il marchio di idiota,

se poi presenti solo un sorriso,

in un’altra lingua sarai deriso;

guai all’anticonvenzionale,

potrai ricalzare il tuo vecchio Stivale.

Eppure mi appare la faccia di Giano,

mi bisbiglia un messaggio strano:

«Quest’isolotto della paura,

un giorno ti avrà come scultura!».