Una ragazza vestita di lilla

Se non mi fossi sbrigata, sarei stata io, la testimone, a fare tardi quella mattina. Immagi-navo già la scena: lo sposo impaziente sull’altare, la piccola chiesa piena d’invitati e la mia migliore amica in abito bianco fuori, ad aspettare con il padre l’arrivo della sua testimone per poter entrare e dare così inizio alla celebrazione. Sarebbe stato come immergermi in uno dei miei incubi peggiori: tutta la gente in chiesa si sarebbe voltata a guardarmi con irritazione e impazienza, tutta l’attenzione sarebbe stata su di me, mi avrebbero guardato e, soprattutto le signore e signorine presenti, avrebbero criticato la mia mise da testimone, almeno fino a quando non fosse iniziata la marcia nuziale e tutti non si fossero voltati per veder entrare la sposa con il padre, distogliendo così l’attenzione da me.
Ma questo non deve assolutamente succedere, pensai mentre cercavo nervosamente il mio mascara volumizzante nuovo di zecca, comprato il pomeriggio prima nel centro commerciale appena fuori il paese.
«Marta, hai preso tu il mio nuovo mascara? L’hai già adocchiato, non ci posso credere! Non hai ancora perso il vizio di frugare nelle mie cose!»
«L’ho solo preso in prestito ieri sera prima di uscire ma ho dimenticato di rimetterlo a posto» urlò mia sorella dalla sua stanza.
«Riportamelo più in fretta che puoi, sono le nove e trentacinque e alle dieci comincia la messa. E’ l’ultimo tocco e poi sono pronta». Calmati Laura, andrà tutto bene, mi dicevo mentre cercavo di esaminare il trucco che avevo appena finito di fare da sola perché la mia amica estetista si era ammalata il giorno prima. Fortunatamente la parrucchiera era venuta altrimenti i capelli non sarei mai riuscita ad acconciarli così bene.
«Smettila di preoccuparti per l’orario, sorellona, lo sai che le spose sono sempre in ritar-do». Mia sorella Marta era in piedi appoggiata allo stipite della porta della mia stanza da letto con il mascara in mano. Si era alzata da poco ed era ancora in canotta e pantaloncini.
«Appunto, sono le spose che fanno ritardo non le testimoni» le risposi mentre le toglievo di mano il mascara e finalmente tornavo allo specchio per finire quel benedetto trucco.
«Comunque non preoccuparti, stai benissimo» la sentii di nuovo dire mentre ritornava nella sua stanza, forse per rimettersi a dormire o per ascoltare la sua musica preferita.
Aprii l’anta dell’armadio e nel lungo specchio dietro di essa diedi un ultimo sguardo alla mia persona. Sembrava tutto a posto. Almeno esternamente. Ma che m’importa di come sto? In un attimo sentii crescere il panico e il mio respiro diventò corto e affannoso. Perché sono venuta? Perché ho accettato di essere la sua testimone? Dovevo inventare una scusa, anche all’ultimo momento, anche se ciò avrebbe fatto soffrire la mia migliore amica e guastato il nostro rapporto.
«Laura sono le dieci meno un quarto, farai tardi». Mia madre aveva parlato dalla cucina alzando un po’ la voce per farsi sentire.
«Arrivo mamma, sono pronta». Afferrai la pochette dalla mia scrivania e andai da lei.
«Allora, come sto?»
«Magnificamente. Questo lilla è meraviglioso e fa sembrare i tuoi occhi più verdi che nocciola. Farai un figurone» disse mia madre sorridendo.
«O una figuraccia se non mi sbrigo. Corro, ci vediamo stasera».
La chiesetta non distava molto da casa mia, così avevo deciso di andare a piedi ed evita-re il fastidio del parcheggio che mi avrebbe fatto perdere solo altro tempo. La giornata era splendida. La tipica mattinata di fine primavera in un paesino del sud, calda e soleggiata ma non ancora eccessivamente afosa da togliere il respiro, anche se sicuramente più tardi il caldo sarebbe aumentato. Per il momento però la temperatura era piacevole, così come lo era percorrere la stradina che portava alla piazzetta di fronte la chiesa. Così familiare e rassicurante. Così satura dell’odore della pasticceria, dove da piccola il nonno mi portava tutte le domeniche a comprare una guantiera di pasticciotti, e dell’aroma del caffè del pic-colo bar accanto. Negli ultimi due anni passati lontano da casa a Milano, questi ricordi e-rano ritornati spesso, soprattutto nelle buie e fredde serate invernali, quando ero da sola nel mio appartamento con del lavoro extra che mi ero portato dall’ufficio, approfittando del fatto che la ragazza con cui abito era fuori a cena col fidanzato.
Ma adesso, anche se solo per pochi giorni, ero a casa mia, nel Salento, e stavo ripercor-rendo questa stradina così cara e salutando Assuntina, la fioraia che aveva il negozio alla fine della via. Ed era proprio questo il problema: ero arrivata alla piazzetta di fronte la chiesa. L’auto della sposa stava arrivando ed io decisi di non salutare adesso la mia amica ma mi affrettai a entrare insieme agli ultimi invitati che stavano ancora fuori.
La piccola chiesa era piena e tutti guardavano il portone chiedendosi sicuramente se sa-rebbe stata puntuale o no. Ma Vanessa si era comportata bene proprio come mi aveva promesso la sera prima al telefono: erano solo le dieci e cinque e lei era già arrivata.
«Sarò la sposa più puntuale del mondo!» mi aveva detto ridendo con l’entusiasmo da ra-gazzina che conservava ancora nonostante avesse ventotto anni come me. Vorrei averlo ancora anch’io il suo stesso entusiasmo, pensavo mentre mi affrettavo al mio posto da te-stimone.
Alzai lo sguardo e incontrai quello di Cristian. Non avrei potuto evitarlo ancora. Lui era lì, sull’altare, naturalmente, ad aspettare Vanessa come da manuale, come in un matrimonio che si rispetti, con l’aria tesa ed emozionata a malapena nascosta da un sorriso. Il blu notte dell’abito gli donava, ma il taglio era un po’ troppo classico per lui, o forse era perché non ero abituata a vederlo così elegante. Ci sarà sicuramente lo zampino di sua madre. E magari anche di Vanessa.
Lui mi guardava ed io ricambiai il suo sguardo con un cenno del capo e un sorriso a mo’ di saluto ma mi sedetti al mio posto lontano da lui, dalla parte riservata alla sposa: volevo essere in qualsiasi luogo tranne lì. Il suo testimone, il fratello più piccolo, si avvicinò per dirgli probabilmente che la sposa stava per entrare: e, infatti, due secondi dopo cominciò la marcia nuziale.
«Che abito meraviglioso, le sta a meraviglia» sentii dire tra le invitate mentre Vanessa e suo padre avanzavano verso l’altare. Lei era davvero bella, ma ciò non era dovuto solo all’abito o a tutto il resto, era quell’aura di felicità mista a emozione e tensione che rendeva il suo viso dolce e angelico; ma io sapevo benissimo che Vanessa era tutt’altro che angelica. L’avrei definita piuttosto brillante, spiritosa, piena di gioia di vivere, ma anche un po’ incostante e sfuggente. Il suo entusiasmo si accendeva e si spegneva con la stessa facilità, la sua mente passava da un pensiero a un altro rapidamente, non era mai stanca di gioire dei piaceri della vita. Poche volte l’avevo vista davvero triste e abbattuta o, peggio ancora, addolorata. Lei era stata il mio raggio di luce nei giorni bui ai tempi del liceo, dopo la morte di mio padre. Le nostre strade si erano un po’ separate dopo: io mi ero iscritta a Lettere moderne a Lecce, lei aveva preferito aiutare la madre nella cartolibreria di famiglia, ma la nostra amicizia non era mai cessata, nemmeno quando due anni fa mi ero trasferita a Milano per lavorare nella redazione di un giornale.
«Sai Laura, io e Cristian ci siamo fidanzati» mi aveva detto lo scorso Agosto, quando io ero appena tornata a casa per il mio agognato mese di ferie sulle spiagge del Salento in-sieme ai miei cari e a i miei vecchi amici.
«Tu e Cristian? Ma se non vi siete mai degnati di uno sguardo!» La notizia che Vanessa mi aveva riferito nel suo solito tono noncurante mi aveva sorpreso non poco e, nello stesso tempo, mi aveva provocato un tuffo al cuore.
«Non mi hai sempre detto di non sopportare il lato un po’ antico, da uomo del sud del suo carattere?» avevo cercato di continuare scherzando. Sarà solo un altra delle sue innu-merevoli ed effimere infatuazioni, pensavo mentre lei si metteva a ridere buttando la testa all’indietro e scuotendo i lunghi capelli castano scuro. Eravamo in spiaggia, sole io e lei, due giorni dopo il mio arrivo. Volevamo quel pomeriggio tutto per noi, ed io non avevo ancora rivisto Cristian o gli altri miei amici.
«Hai ragione Lauretta mia, me ne ero dimenticata! Forse dovrei dirglielo e troncare subi-to!»
«Vanessa, sii seria una volta tanto! Io, te e Cristian ci conosciamo da tanti anni e siamo sempre stati buoni amici, non ricordo nemmeno una volta che tu mi abbia parlato di lui in termini diversi. Come vi siete potuti innamorare di punto in bianco?»
Adesso Vanessa si era voltata verso di me e mi guardava senza ridere, studiandomi come se ci fosse qualcosa che non quadrava. I suoi occhi sembravano più neri di come li ricor-davo io, impenetrabili e misteriosi.
«E’ successo e basta» continuò lei riprendendo la sua solita espressione noncurante. «Una sera del mese scorso siamo usciti insieme, da soli. Poi lo abbiamo fatto due altre volte e infine ci siamo resi conto che tra di noi c’era qualcosa di più».
Per il resto del mese ero rimasta a guardare Vanessa e Cristian che si frequentavano come due veri fidanzati, ma mi ero convinta che finita l’estate, tutto sarebbe tornato come prima. Lui non mi aveva dato nessuna spiegazione, naturalmente, non me ne doveva alcuna. Solo una volta, quando lo rividi il giorno dopo, percepii nel suo abbraccio un leggero imbarazzo e i suoi occhi azzurri mi guardarono ansiosi, come alla ricerca di un’approvazione che io evitai di far trasparire. Come avrei potuto, Cristian.
Ma adesso, mentre li guardavo scambiarsi un lungo e profondo sguardo sull’altare co-minciavo a pensare che forse, dopo tutto, erano davvero innamorati. Forse la mia cara Va-nessa provava finalmente qualcosa di vero per un uomo, qualcosa che l’avrebbe fatta cre-scere e maturare. La notizia del loro matrimonio in Gennaio, dopo solo due settimane dal mio ritorno a Milano dopo le vacanze di Natale, mi aveva distrutto. La richiesta di Vanessa di essere la sua testimone mi aveva dato il colpo finale. Ero rimasta a casa senza uscire per una settimana odiando Vanessa, Cristian e tutto il mondo. Odiando soprattutto me stessa.
«Ciao tesoro» mi sussurrò la sposa girandosi un attimo verso di me prima di sedersi.
Le sorrisi e subito dopo il sacerdote iniziò a parlare. Respirai profondamente e cercai di vincere la tentazione di alzarmi e andare via. Il mio sguardo si posò sul profilo di Cristian. Lui era attento, completamente assorbito dalle parole del prete, apparentemente sereno. Mi tornò in mente la prima volta che lo vidi, il primo giorno di scuola alle elementari. I capelli castano chiaro portati piuttosto lunghi e quegli occhi di un azzurro incredibile lo facevano sembrare diverso dagli altri miei compagni maschi. Lui e un altro bambino sedevano nel banco accanto a quello mio e della mia compagna. Più tardi quello stesso anno la maestra ci assegnò un compito assieme e lui venne a casa mia per studiare. Da allora siamo stati inseparabili, abbiamo frequentato le stesse scuole anche dopo, lo stesso liceo scientifico e avuto la stessa cerchia di amici.
«Ecco la mia sorellina» diceva spesso agli altri quando ci incontravamo.
Vanessa era arrivata dopo, alle medie e poi aveva frequentato con noi il liceo, ma subito era diventata un’amica preziosa per entrambi.
Cristian, amore mio, io ti ho sempre amato ma non solo come un fratello. Possibile che tu non l’abbia mai capito?Ma come non poteva essere così, la colpa è solo mia, avrei dovuto dirtelo apertamente, non avrei dovuto cercare di nasconderlo e di soffocare i miei sentimenti.
Non avevo mai avuto il coraggio. Né l’avevo mai confessato ad alcuno. Ho sempre sen-tito il suo amore verso di me, ma non era quel tipo d’amore che io volevo da lui. Forse era stato proprio per questo: avevo paura del suo rifiuto. Preferivo conservare la nostra amici-zia così com’era piuttosto che rischiare di rovinarla e, magari, di perderlo per sempre. Così, soprattutto dalle medie in poi, quando crescendo mi ero resa conto di amarlo perduta-mente, avevo recitato la parte della migliore amica e della sorellina che non aveva mai a-vuto. Lui aveva avuto altre storie, durate tutte poco, io solo una, durata quattro anni, il mio unico vero fidanzato che mi ero lasciata alle spalle già da cinque anni, e di cui non sentivo assolutamente la mancanza. Mi ero illusa di poter amare qualcun altro come amavo il mio Cristian, ma con Fabrizio, almeno, non era stato così.
«Carissimi Cristian e Vanessa siete venuti insieme nella casa del Padre…» L’omelia era finita e il prete aveva dato inizio al rito del matrimonio. L’aria nella chiesetta era diventata soffocante, il profumo dei fiori e quello indossato dalle donne presenti era diventato intol-lerabile. Avrei tanto voluto uscire fuori, nella piazzetta, a respirare profondamente l’aria esterna. Una bambina di non più di cinque anni vestita da damigella, che riconobbi come la figlia della sorella maggiore di Vanessa, si avvicinò all’altare con in mano il cuscino delle fedi.
«Vanessa, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Ero stata a molti altri matrimoni e ogni volta quando si arrivava a questo punto immagi-navo che al posto degli sposi ci fossimo io e Cristian a pronunciare quelle stesse parole e a scambiarci gli anelli. Ora, invece, lui c’era per davvero ma io continuavo a fare la parte della spettatrice. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, ma le mie non erano di gioia come quelle della madre della sposa, che sentii tirare su col naso e soffocare un singhiozzo dietro di me. Erano lacrime di sofferenza, ma soprattutto di rimpianto. L’unico grande amore della mia vita stava sposando la mia migliore amica, l’ultima persona al mondo che avrei pensato che lui sposasse, ed io non gli avevo mai fatto capire di amarlo. A cosa era servito andare via a Milano due anni fa? L’avevo forse dimenticato? O conservavo magari la sciocca speranza che lui sentisse la mia mancanza e si rendesse finalmente conto di amar-mi? Se glielo avessi detto sarei stata finalmente libera. Adesso invece ero condannata a una prigionia eterna.
Soffocai le lacrime e continuai ad assistere al resto della cerimonia cercando di stampare sul mio viso l’espressione più allegra che mi era possibile. In fondo chi era più brava di me a nascondere i propri sentimenti?
Finita la messa e firmati i documenti mi avvicinai finalmente a Cristian e Vanessa prima della loro uscita dalla chiesa.
«Laura, sono così felice, è andato tutto bene a parte mia zia Lorella che ha dimenticato di leggere la seconda lettura e ha dovuto farlo il prete. Ma non mi importa, è davvero il giorno più bello della mia vita! Spero che continui così anche al ricevimento!» Vanessa era l’immagine stessa della felicità, solare come i girasoli e bella ed elegante come le calle con cui aveva fatto addobbare tutta la chiesa e che componevano anche il suo bouquet.
«Continuerà ad andare tutto bene, non preoccuparti» le dissi io mentre ci abbracciavamo, ma un attimo dopo lei si era già voltata verso sua madre e sua sorella che richiedevano la sua attenzione.
Mi voltai verso Cristian e lui senza dire niente mi abbracciò stringendomi forte.
«Finalmente posso salutare la mia sorellina» mi disse dopo, con voce roca ed emozionata, guardandomi intensamente. Era il nostro primo incontro perché io ero arrivata solo la mattina precedente e non era stato possibile vederci prima. Ed io avevo preferito che fosse così.
«Sono venuta solo per il matrimonio. Domani pomeriggio ho l’aereo per Milano».
«Ma tornerai ad agosto, vero? Non hai ancora visto la nostra casa. Non sei più tornata da gennaio».
«Ma sì, certo, tornerò ad agosto» mentii. Avevo già deciso di fare un viaggio. Desidera-vo da tempo andare in Irlanda.
Il fotografo ci interruppe informandoci che era arrivato il momento per gli sposi di uscire. Così io li lasciai e finalmente andai fuori da quella chiesa e raggiunsi gli altri sul sagrato.

*****

La stanza dove gli sposi avrebbero trascorso la prima notte di nozze era la più bella di tutto l’agriturismo. Il rifugio perfetto dopo la giornata faticosa appena trascorsa. Faticosa, sì, ma emozionante. O come continuava a definirla Vanessa ‘il giorno più bello della mia vita’. Così pensava Cristian, mentre dalla finestra della loro stanza osservava il personale dell’agriturismo togliere le sedie e i tavoli da sotto i gazebo nel prato. Aveva ancora ad-dosso la camicia e i pantaloni del suo abito mentre Vanessa era già sotto la doccia. Non aveva nessuna fretta di porre fine a quell’attimo di pace e tranquillità. Il sole era ormai tramontato e le luci dei lampioni cominciavano a illuminare il parco. I suoi pensieri riper-correvano i momenti di quella giornata, i volti, le frasi, le risate, le emozioni. Ma si sof-fermavano sempre su una persona in particolare, dai dolci occhi nocciola e i morbidi capelli castani. Sapeva l’enorme sacrificio che quel giorno aveva compiuto quella persona. Aveva sentito ogni suo momento di disperazione, anche quando non l’aveva davanti o quando lei cercava di nasconderlo agli altri. Sì, lui sapeva tutto. L’aveva sempre saputo. Ma in questo era stato più bravo lui di Laura a nasconderlo. Si era sempre chiesto perché non riuscisse ad amare più che come una sorella una ragazza così bella e così totalmente innamorata di lui. Ma non era mai riuscito a darsi una risposta. Così come non era mai stato in grado di amarla diversamente, anche se sua madre un tempo lo aveva sperato.
Il rumore del phon proveniente dal bagno lo scosse momentaneamente dai suoi pensieri e si rese conto che ormai era completamente buio fuori. Il suo sguardo si soffermò su uno degli angoli più belli del parco, dove poco prima del loro ultimo saluto alla fine del rice-vimento, una ragazza vestita di lilla sedeva sola immersa nei suoi pensieri.


Anche se sono lontana

Chiudo gli occhi e in un attimo
sono ancora lì.
Percorro le strade di sempre,
i cari paesaggi sono di nuovo miei.
Echi di parole pronunciate,
attimi di esistenza vissuti,
assaporo ancora le antiche gioie,
riprovo i trascorsi dolori.
Vivida è la calda luce dei pomeriggi estivi,
forti sono le voci delle persone familiari,
nitidi i loro volti e i loro gesti.
Sono sempre lì,
tutto è sempre mio
anche se sono lontana.


Assenza

Vuoto fisico attorno a me
in questa stanza così silenziosa.
Il vento mi fa compagnia …
Il vento della tua voce
arriva come un’eco lontana.
Assenza.
Manchi tu a riempire quel vuoto.

Soffro e intanto fuori la pioggia
cade lentamente …
Ma quel vuoto è sempre qui,
in questa stanza,
a tormentare la mia inutile esistenza.

E’ un’assenza infinita,
ti cerco con tutti i miei sensi
ma non ci sei, non ti trovo.
Mi son persa nel tuo vuoto
come in un labirinto da cui
non so se uscirò più.