Il palazzo del Cigno

 

I “Cigni” erano una famiglia nobile originaria di Napoli.
Il palazzo del “Cigno” si erigeva imponente sulla piazza principale del piccolo paese aspromontano , 

accanto alla chiesa matrice . Diroccato, bianco, lasciava spazio alla fantasia dei bambini e non solo.
La casa paterna, dove io ho trascorso l’ infanzia, era situata di fronte a questo grande palazzo. Ero talmente abituata a vederlo che mi sembrava naturale stesse li’, tra case antiche e costruzioni nuove.
Un giorno ,incuriosita , chiesi notizie a nonna.
Lei mi raccontò che i proprietari non si vedevano mai in giro per il paese e non uscivano se non per andare a Napoli dal parrucchiere o a fare spese..
Ricordava bene la carrozza con la quale partivano e ritornavano.
Erano due fratelli e una sorrella . Uno dei fratelli, forse il maggiore, veniva soprannominato ” Cigno” , 

per la sua superbia o il suo distacco , caratteristica tipica del cigno sul lago.
Usava i guanti bianchi perché si schifava di tutto , al punto che le giovincelle, alle sue dipendenze e addette ai raccolti dei suoi campi, dovevano essere necessariamente ragazze vergini. Chiaramente vigeva anche in questo casato la “ius primae noctis “come in molte altre famiglie altolocate del paese.
Mi raccontava nonna che la sorella , per non soccombere alla volontà dei fratelli ,che volevano imporle un matrimonio combinato e adatto al suo rango sociale , si avvolgeva ogni notte
in un lenzuolo bagnato sino al punto da morire per polmonite.

Alla scomparsa dei “Cigni ” il grande palazzo piano piano si deterioro’.
Rimasero finestre enormi da cui spuntavano ciuffi di erba e piante incolte, un posto adatto per la nidificazione di parecchi uccelli.

Spesso questo posto ritorna nei miei sogni , come del resto altri luoghi del mio paese.
Oggi mi ritrovo ad avere a casa mia,qui a Roma, alcuni libri di quei misteriosi signori di un tempo , strani ma di grande cultura .

Mio padre con i suoi fratelli, da ragazzino , entrava in questo antico palazzo ,senza porte e senza soffitto , per giocare o per trovare monete d’ oro nascoste nei muri spessi o sotterrati nel pavimento sassoso, come si vociferava al paese .
Trovo’ invece libri di filosofia, di etica , di epica , di eloquenza ecc.
Li prese e li diede a nonno che li conservò con cura.
Un giorno , quando capì che poteva farlo, mio padre mi diede quei libri antichi, come quando si da’ qualcosa di prezioso , piu prezioso delle monete d’ oro!

(Uno dei libri è datato 1826)

 


 

 “A Barberia “

 

Sulla mia via c ‘erano due barberie, poco distanti l’ una dall’ altra.
Da bambina mi incuriosivano perché erano diverse e per il barbiere che ci lavorava e per la gente che vi entrava.
Sulle pareti del “salone” della prima barberia c’ erano immagini di donne dall’atteggiamento un pò osè ( per quel tempo) , in bikini , con gambe scosciate e sguardi languidi, alla Marilyn Monroe.
A Natale queste immagini venivano abbellite da stelle filanti dorate o argentate , con lucine intermittenti.
Il proprietario, “u  maistru Pascali” , era un barbiere dalla mole un po’ grossa, con mani grandi e viso tra il quadrato e il rotondo.
Le sue gote ,sempre rosse, facevano da cornice a un sorriso che non mutava mai .
Non capivo se fosse consapevolmente felice o ingenuamente beato.
Nei momenti di pausa sostava sull’ entrata del ” salone ” e guardava, con occhi un pò cupidi, le donne che passavano.
E Sempre con quel suo sorriso.!
Entravano da lui, per farsi sbarbare, perlopiù contadini , pastori, gente semplice dall’ aspetto un pò rude , che guardavano con sguardo stupito i suoi calendari.
Questo salone si trovava di fronte casa mia.
Un Po più giù c’ era l’ altro barbiere ” mastr’ Antoni ” , diverso dal primo. 

Aspetto più fine, magrolino , capelli brillantinati e brizzolati , sorriso sornione.
A lui arrivava, con la corriera, anche il quotidiano che vendeva a chi amava aggiornarsi , la famosa” Gazzetta del Sud” .
I suoi calendari non rappresentavano donne osè ma carabinieri in divisa, foto di animali o di paesaggi.
La gente che frequentava il salone era decisamente diversa.

 I suoi clienti erano artigiani, professionisti, i ricchi proprietari del paese, il dottore, il farmacista e il poeta d’ occasione che inventava , li’ per li’, piccoli stornelli in vernacolo.
Mio nonno, insegnante in pensione, era cliente di quest’ ultimo barbiere

 Anche quando non facevano la barba o i capelli, il pomeriggio i suoi clienti si riunivano tutti li, d’ inverno dentro e in primavera fuori , sulla strada .
Era un salotto di cultura generale dove si soffermavano, occasionalmente, anche i contadini ei  i pastori raccontando piccoli aneddoti.
Al calar del sole ricordo che, affacciandomi con una mia cuginetta sul portone di casa , vedevo mio nonno discutere vivacemente di politica, di caccia , di storia antica , sull’ onda profumata di un sigaro cubano.
Era tempo di pace , di condivisione, di comunicazione di antichi saperi.
C’ era da imparare, da tutti, dal pastore all’ artigiano , dal contadino al dottore. Ognuno portava quello che aveva .
Chi con orgoglio, chi con sofferenza , ma senza menzogna .
Ho imparato tanto da quel passato .
A Natale gli zampognari suonavano per le vie del paese e, passando davanti alla barberia , facevano l ‘ occhiolino al barbiere dai calendari ose’.
Io e mia cugina  ballavamo sotto lo sguardo amorevole del nostro caro nonno, convinte che il Natale non sarebbe finito mai.

Maria Felicia Gelonesi 


 

IL MESE DI MAGGIO E GLI ALTARINI DI NONNA ROSINA.

 

Ormai la casa si apriva solo d’ estate , per un mese, preferibilmente ad agosto, quando figli e nipoti scendevano giù per le ferie .
Rimaneva chiusa per tutto il resto dell’ anno.
Le sue camere ,ampie e luminose, riflettevano un’aria pulita, rigorosa, che si adagiava su un mobilio semplice ed essenziale.

Ogni anno, a maggio, la piccola parrocchia del paese sollecitava le famiglie a preparare gli altarini dedicati alla Madonna .
Era il mese Mariano. Il mese delle rose .
Ogni casa doveva avere il suo altarino. Mia nonna lo sistemava in alto, in un angolo della grande camera , addossato alla parete .Era piccolo, rettangolare, adornato da centrini fatti da lei stessa all’uncinetto.
Per me era il più bello.

Il profumo delle rose si avvertiva subito, giungeva alle narici appena varcata la soglia di casa. Nonna le raccoglieva da un grande vaso situato in terrazza, ce n’erano di gialle , rosse , bianche. Fresche di rugiada mattutina, le sistemava sull’altarino accanto alla statuetta minuta della Madonnina.

Quest’angolo profumato diveniva , ogni pomeriggio, luogo di preghiera.
Le donne del vicinato, col rosario in mano, insieme a nonna, intrecciavano preghiere e canti mariani.
Questa ritualità si svolgeva, nello stesso orario ,in diverse case.
Veniva scelta la casa della persona più anziana o più autorevole.
Mia nonna Rosina era molto rispettata in paese per il suo modo di essere riservato e composto. Era saggia, schiva, di poche parole e forse per questo la sua casa, spesso, veniva preferita alle altre.
Lei, silenziosamente , nella sua modestia, ne andava orgogliosa.

Era una casa semplice . Profumava di rose e di preghiere.