Poesie
XXVIII MAGGIO
Questa notte di Maggio posa sul prato un velo
Sospeso di lucciole. Ne adorno il corpo
Lo rivesto di scabro fulgore, avvolta nell’umido buio
Rendo luce alla mia nudità. Questa notte di maggio
Rammenta un vagito, quello stesso ruvido e roco
Che posa la bocca fremente al mio seno.
Questa notte di Maggio ti penso bambino
Ti levo al latte materno per conoscerti uomo.
Verde limo irrigato su aride rive le tue iridi.
Petalo carnoso di magnolia la tua bocca acquerellata
E impresso il tuo passo a una nota incalzante e sonora.
Un caotico sciame di sensi, aleggiante
Di pollini aspri e vischiosi, effusi
In anelli d’oro grezzo sui capelli selvaggi.
Questa notte di Maggio, le tue mani
Sono Manto cobalto, lava di luce, innestata
Ferocia di morbidi sensi aggraziati
Effusi sulla mia geografia
Di lago silvestre di antro marino.
Maree d’assalto le tue acque irrompono
Intermittenti come lucciole, in questa notte
Incompiuta, in questo sogno incarnato, in questa
Notte sospesa di labbra intrise di labbra
Che cercano bocche ricolme. In questa notte
Partoriente e selvaggia. In questa notte nascente
Al morire di Maggio.
ISOLE
Nell’atollo dei miei sensi
Acque marine si cingono al collo
Come filari di perle
E nuvole e oceani
Sono sospese trasparenti fortificazioni
Cui cedo al culmine dell’estasi
In un adagio di burrasca.
Poro a poro maschio rincorro
E rude il mento quando
Esala alla mia bocca il tuo respiro
Travalicato e levigato il corpo
Fin su dal ventre alle mie labbra
Della tua schiusa vischiose e ridipinte.
É vita dentro me l’affondo delle mie radici
Oltre il dove espande al mio desiderare.
COME ACHAB
Latte, caffè, marmellata di limoni
Pepite cartilaginose frante fra i denti
Con estremo piacere
Sulla lingua quel senso di te
Che vorrei passarti in bocca sfidandoti.
Si vicina il tuo passo, lontano, deciso
Come sempre spietato calcato a sinistra
Eco ligneo di Achab, duro sino a morirne.
Timoniere che teme sprezzante
Il lato sinistro del mare
E muore nel pugno di mare che in pugno lo tiene
Fascinato, servo del suo castigo.
Quel mare di sirene, di balene bianche
Di lei… MOBY DICK.
Ed io in questa storia compaio come se
La natura m’avesse fatta a tuo involucro
Il tuo bozzolo la tua casa
E tua madre t’avesse ceduto al mio utero.
Cellula nuova che procrea divenire.
Cullare il fanciullo che è in te
Placare con l’uomo che è in te la mia verginità.
Sigillare gli orifizi arcaici, contenerli
Gelosi, tenebrosi, nella sferica membrana
Che ci baviamo attorno, medusa del cosmo.
NOI… stessa sacca perimetrale.
Fuori… non so… NÉ IO NÉ TU.