Alzheimer

Giace nella penombra di una stanza spoglia, invecchiata dalla solitudine che adesso accompagna i suoi

giorni.Un tempo erano giorni di libri, di scuola , in un liceo di cui non ricorda più il nome né il brusio dei

suoi tanti allievi. L’università, l’applauso finale nell’Aula Magna, la laurea come premio finale, sono ricordi

che a tratti galleggiano, nel torpore comatoso del suo sonno, senza fine, né principio. Un’ombra silenziosa

vaga intorno al suo letto, come una farfalla notturna: a stento ne percepisce il fruscio dei movimenti ma

non riesce a distinguerne l’entità, se di donna o di fantasma della mente, incapace di afferrare i contorni

delle cose. Irina, la badante polacca, l’assiste, incerta e pietosa, ascolta il suo respiro ansimante nelle ore

notturne che si popola di lamenti e farneticazioni. Ha lasciato il suo mondo, la lingua dalle sillabe rotonde e

scivolose, la macchia verde scuro dei boschi della sua terra, per un viaggio verso l’ignoto. E il suo ignoto è la

vecchia signora che dorme e che grida la sua insensata sofferenza che nessuna medicina può guarire. La

vita diventa inutilità senza la normalità di un risveglio: la prima colazione con il buon’ odore del caffè

sorbito caldo e zuccherato, la corsa verso il luogo di lavoro, poi la spesa, le uscite serali, il cinema o il teatro

e la pizza fra amici, gli imprevisti fastidiosi, i momenti gioiosi della festa, i dolori e le delusioni ,immancabili

come il sale nelle pietanze. Irina badante a tempo pieno, venuta da Cracovia con un viaggio durato più del

tollerabile, sta imparando a regolare la sua nuova esistenza, attraverso i tormenti e le imprecazioni della

vecchia signora che, un tempo, doveva essere stata bella e gentile, quando insegnava in una scuola di città,

inflessibile custode di un sapere che la sua mente offuscata ha cancellato, come la gomma fa con la

scrittura. Alzheimer, punto e basta! Lo ha detto il medico a Irina come una parola d’ordine, un mostro dai

mille tentacoli che mangia a poco a poco il cervello, ne divora pensieri, palpiti e gesti che assomigliano a

treni vuoti su binari morti.La malattia allontana amicizie e parentele, la vecchiaia è un tabù che è necessario

esorcizzare facendo finta che non esista, maggiormente quando ad essa si accompagna una condizione di

demenza, quella dimensione sospesa fra l’essere presente a sé stesse e non essere più in grado di

riconoscersi, di ricordare qualsiasi attimo del proprio vissuto. Era stata un’insegnante per tante generazioni

di giovani, la vecchia signora che adesso giace nella penombra di una stanza spoglia e, in certi momenti ,dal

suo continuo dormiveglia, la sua mente riprende a viaggiare fra aule che hanno l’inconfondibile odore di

inchiostro e di gesso, nella confusione di cento voci che si rincorrono su scale e in corridoi, al suono

puntuale della campanella che segna l’inizio e la fine di ogni lezione. << Perfetto o piuccheperfetto?

Imparate a riconoscere il verso spezzato, la grazia di certe immagini femminili evocate da Montale, le forme

verbali, altrimenti il periodo non torna ! >> Irina, ogni volta che ascolta il ridestarsi di una realtà diversa

logica e puntuale, raccoglie tutta la premura possibile, per assecondare, nella signora, quel filo di coscienza

che le possa restituire l’ umanità perduta. Poi tutto ripiomba nell’ombra dell’oblio ma, a una carezza o un

sussurro amichevole, si riannodano i fili slabbrati dei ricordi e, nella vecchia signora riemerge, come da flutti

torbidi, il vaso di Pandora, straripante di luce, di esistenza, di poesia.


Il ritratto

Era da tanto che la sua anima aveva voglia di tornare,in quel paese,dove era stato

sacerdote, anzi arciprete, negli anni della prima guerra, ritornato poi, dopo un lungo

periodo, trascorso altrove. Aveva amato da subito quella sua parrocchia e quel luogo

scelto a dimora, forse per sempre: una terra schiva e solitaria che non mancava di

atmosfere e suggestioni che menti trepidi e sensibili sanno cogliere o solo percepire.

In quelle contrade, dove la vita era grama, per contadini e braccianti,fra agiati

proprietari e notabili locali,quando la scala delle gerarchie era organizzata secondo

schemi e modelli di una tradizione culturale dura a morire, aveva tranquillamente

scelto di vivere in modo semplice da “prete” di abitudini francescane, dissacrante

e burlone ,sempre portato a sorridere di sé delle “cose” del mondo. E i suoi

parrocchiani lo ripagavano con affetto e calore:dolciumi e attenzioni discrete erano la

risposta ai consigli, all’ assistenza morale che l’ arciprete sapeva distribuire, fra una

battuta e un gesto ironicamente amorevole.

Poi la vita lo aveva segnato, una malattia breve e inesorabile aveva posto fine ai suoi

giorni e quell’ amato paese del quale aveva ricercato le origini fra vecchie carte e

polverose biblioteche, riscrivendo la storia delle radici di un microcosmo, a sud dello

stivale, era solo una storia d’ amore e nostalgia per un luogo che di esclusivo non

aveva che la miseria semplice e il calore della gente. Non gli era stato più possibile

ritornare, il tempo, con i suoi eventi, a volte terribili, aveva sconvolto l’ ordine

pacifico di quei luoghi: la terra aveva tremato a lungo e tutto ,in un soffio, era stato

Era arrivata,col tempo, la ricostruzione e, pietra dopo pietra,molte cose erano

tornate al loro antico posto,anche se niente era stato come prima.

Ancora non era riuscito a tornare alla sua antica canonica, a malapena rimessa

in piedi, col campanile che sembrava, di pomeriggio, toccare il cielo,fra nuvole

rosate,sfumate di azzurro, verso l’ orizzonte.

E un giorno la grande occasione: la riconsacrazione della chiesa grande di quella sua

parrocchia rinata, dopo il terribile evento.

Era giunto per lui il tempo di tornare, il sogno della sua vecchia anima si realizzava

in un mattino di giugno ,con il primo caldo gradevole ancora, prima che scoppiasse

l’afa di piena estate. Era andato via con l’ abito talare di sempre, ,con il volto serioso,

appena illuminato da un guizzo negli occhi, come un sorriso.

Avevano impacchettato, con carta giallognola da imballaggio, il vetro che

incorniciava l’ ovale giovanile, protetto da minuscole palline di polistirolo,il

tutto infilato in una busta sigillata da ceralacca rossa. E la sua anima era partita,

aggrappata alla patina del suo ritratto.


Elodie

Era Elodie anche se molti ne storpiavano il nome, chiamandola Lodia. Lodia o Elodie non l’ ho mai

dimenticata e ritorna da un mondo sommerso,quasi non fosse mai esistita,aristocratica figura di

un tempo lontanissimo e della quale conservo nitida l’ immagine,il colore degli occhi, la pacatezza

dei modi,il suo apparire quasi in punta di piedi, timorosa di affacciarsi alla vita degli altri anche con

la sola presenza ,col suo fascino che lasciava un’ impressione indefinibile. E indefinibile era la

signora Elodie,dal passo leggero e a volte insicuro,con gli abiti passati di moda,le camicette dal

collo a gorgiera,le gonne a tubino che la facevano apparire ancora più alta e sottile. Veniva spesso

a visitarci,sempre alla stessa ora,nel primo pomeriggio restando in piedi e solo dopo molte

insistenze,si riusciva a convincerla a sedersi. Sorbiva tè, nel quale inzuppava qualche biscotto

leggero.<<Solo tè ! >> diceva, rifiutando in modo categorico il caffè che a suo dire,era una

staffilata sui nervi. Se ne stava tranquilla ad ascoltare i discorsi degli altri,seguendo con sguardo

attento e non senza fastidio, ogni gesto o espressione che sembrava contrastare la sua apparente

placidità. La vedevo spesso passeggiare da sola,perché Elodie non aveva amici,tranne quei pochi

conoscenti con cui intratteneva rapporti molto formali. Non ho mai saputo di che vivesse,se

avesse avuto, in gioventù, un lavoro , un marito ,un compagno,dei parenti,di lei non rimane che

un ricordo sfocato,depositato in qualche parte recondita della mente ma non del tutto sbiadito se

nel tempo continua a tornare,quasi bussando con insistenza, per essere rappresentata in un

racconto come un fotogramma di una donna diversa e misteriosa insieme. Ancora oggi,a distanza

di tempo, appare difficile trovare risposte ad avvenimenti che trovano spiegazione solo mettendo

da parte ogni forma di razionalità,affidandosi esclusivamente a suggestioni a dir

poco,surreali.Donna misteriosa,questa era l’ impressione che mi aveva accompagnato fin da

quando avevo visto,per la prima volta Elodie, quando veniva a casa mia e si tratteneva,sempre in

silenzio,anche per interi pomeriggi. Poi,un mattino,passando per caso accanto ad un vecchio

palazzo mezzo diroccato,mi ero sentita chiamare da una piccola finestra: era lei che agitando una

mano, mi invitava a salire. Ero entrata in una stanza e, non senza sorpresa,l’ avevo trovata piena

di mobili accatastati,alcuni coperti da panneggi impolverati,come accade,in occasione di partenze

prolungate. Solo un tavolo al centro,ingombro di libri e diverse persone intorno,uomini e donne

intende a discutere. Elodie seduta al centro,partecipava,intervenendo con autorevolezza

insospettata e con un cipiglio che trasformava del tutto,l’ immagine che aveva sempre dato di sé.

Provavo uno stupore misto a disagio,in quello che mi appariva come una specie di circolo di

iniziati,intenti a discutere di argomenti di difficile comprensione, per me che ero alle soglie dell’

adolescenza e perciò non in grado di comprendere parole come esoterismo,orfismo che

suonavano del tutto nuove ed estranee. Un’ aria inquieta circolava in quella stanza buia,dove

attraverso i pesanti tendaggi,la luce era una pallida macchia appena impressa dalla luce di piccole

finestre chiuse e l’ aria intorno era densa di umori e di odori aciduli, soffocanti. Quegli uomini e

quelle donne parlavano,parlavano,con toni di voce dapprima aspri per poi ridursi, d’ improvviso a

dei bisbiglii incomprensibili. In maniera inaspettata Elodie aveva cambiato totalmente registro

vocale: motti di spirito,anatemi espressi in una lingua che assomigliava vagamente al francese, per

trasformarsi in un farfugliare sempre più roco. <<Devo seguire la mia stella,devo partire per un

viaggio che non ha ritorno ! >>

Così diceva,con voce terribile,alzando le braccia,roteando il busto e gli occhi mentre un coro

monotono, ripeteva le sue parole. Assistevo pietrificata a quel macabro teatro dell’ assurdo,senza

capacitarmi della trasformazione di una donna che ricordavo gentile e misurata, nei gesti e nelle

parole. Sembrava che non si accorgesse della mia presenza ,come se non mi vedesse o

riconoscesse lì ,accanto a quegli uomini, a quelle donne che avevano assunto l’ inconsistenza di

ombre. Facevo fatica a ricordarmi di Elodie , dei suoi silenzi ,di quando beveva tè al limone,con

qualche biscotto leggero e con la sua aria mansueta. Avevo di fronte un ‘ altra donna,solo questo

intuivo e non trovavo giustificazione alcuna o risposta, a una tale trasformazione. Mi venivano in

mente le Metamorfosi di Ovidio che stavo studiando quell’ anno , a scuola.<< A narrare il mutare

delle forme in corpi nuovi mi spinge l’ estro….>> Mi sentivo d’ improvviso vulnerabile, di fronte a

una realtà che non riuscivo a controllare,mentre un senso di vertigine sembrava paralizzare la mia

volontà. Volevo fuggire,lasciare quella stanza e quella casa,ma per quanti sforzi facessi, mi era

impossibile muovermi,come se una forza diabolica annullasse ogni tentativo di reazione. Avevo

nelle orecchie la voce stridula di Elodie che ripeteva, come un ossesso, parole indecifrabili che,

simili a un’ eco lugubre, rimbalzavano in ogni angolo della casa, sulle scale, oltre i battenti dell’

androne di quel palazzo diroccato. Mi ero ritrovata di colpo,e non so come, in strada,senza avere

la consapevolezza di come ci fossi arrivata,fuori da quell’ abisso indefinibile che mi aveva prostrato

l’ anima. Non avevo più visto Elodie nei giorni successivi, né in seguito. Non si era più vista in giro

e la sua assenza non era stata notata più di tanto. Neppure in casa si era mai parlato di quella

donna gentile e silenziosa,dal passo leggero e dai modi garbati. Solo in seguito,quando quel

palazzo era stato demolito,qualcuno aveva parlato di una donna di un’ antica famiglia del luogo

che aveva abitato in quelle stanze, morta ancora giovane di polmonite, dopo lunga degenza in una

casa di cura. No,non poteva trattarsi di Elodie! Non poteva essere lei !