FINALMENTE LA SVEGLIA

La sveglia suonò come ogni mattina alle sei e trenta, Claudia ne fu contenta: finalmente era terminata la notte, poteva alzarsi da quel letto. Erano già tre ore che era sveglia, si era girata e rigirata più volte provando a riaddormentarsi, ma senza riuscirci. Quelle tre ore le erano sembrate interminabili, da quel letto avrebbe voluto scappare, quel letto dove oramai da dieci anni si coricava assieme a Paolo. Lo stesso letto che li aveva accolti giovani e innamorati, gioiosi e appassionati, e che adesso non li riconosceva più. Sembrava che il materasso li volesse obbligare a stare vicini, imponendo le consuete posizioni, sembrava che le lenzuola fossero divenute troppo strette e non consentissero di allontanarsi più di tanto l’uno dall’altra, in quel letto Claudia si sentiva trattenuta da una forza oscura ed opprimente. -Vado a fare il caffè- aveva detto a Paolo che ancora dormiva, lasciando la loro stanza. In realtà non è che Claudia sentisse di non amare più Paolo, ma da qualche giorno, anzi a dir meglio da qualche settimana, aveva nella mente degli strani pensieri, parole che non riusciva a dimenticare. Tutto era cominciato da quella sera in cui era andata, assieme a Paolo e ad altri amici, in un locale dove si suona, quelli che si è soliti chiamare disco pub. Il locale non era molto grande e il loro tavolo era abbastanza vicino al palchetto destinato ai musicisti, Claudia, come di consueto, aveva scelto un posto con le spalle al muro che le desse la possibilità di avere un’ampia panoramica sul locale ed i suoi clienti. Poco dopo il loro ingresso, i tre musicisti avevano cominciato ad esibirsi. Da prima Claudia non si era mostrata particolarmente attenta all’ascolto, continuava a parlare con i suoi amici, ma all’improvviso si era accorta che stava urlando, che per riuscire a farsi sentire, il tono della sua voce era molto, troppo forte. Così, nel momento in cui aveva realizzato la causa, si era girata verso il palchetto posizionato una decina di metri dal suo tavolo. Si era voltata quasi di scatto, come a volersi mostrare infastidita da quella musica finto jazz, aveva rivolto una breve occhiata ai musicisti ed era tornata a chiacchierare con Martina che sedeva alla sua destra, poi, come se solo in quel momento la sua mente avesse recepito quello che i suoi occhi avevano visto qualche minuto prima: l’inconsueta immagine del cantante: un uomo non più giovanissimo, doveva aver passato i quaranta da pochi anni, i capelli leggermente brizzolati, un abbigliamento semplice ed un’aria da uomo ‘concreto’. Claudia definiva così gli uomini che non rientravano nei canoni tradizionali della bellezza e della moda, che non recitavano ruoli, che riuscivano ad apparire ‘speciali’ solo per questo, perché osservandoli, sembrava di poter capire che persone fossero. Insomma, quelli che ti danno l’idea di avere un carattere, una personalità tanto forte da non dover ubbidire ad alcuna regola, nè mostrare di essere bravo ad infrangerla. La seconda volta era rimasta come ipnotizzata, incantata. Si era risvegliata solo nel momento in cui lui si era girato e l’aveva guardata. Si era sentita in leggero imbarazzo, come un’adolescente che si trova all’improvviso da sola in una stanza con il ragazzo di cui è innamorata. -Che vergogna! Alla mia età mi lascio affascinare dal cantante di una band di sfigati!- Claudia pensava che tutti si fossero accorti della sua distrazione, della sua breve fuga dalla realtà, ed era rimasta quasi delusa quando Martina, come se niente fosse, le aveva chiesto del lavoro e delle abituali beghe tra colleghi. Ma chi se ne fregava del lavoro e dei colleghi! Chi se ne fregava di tutto il resto! Claudia avrebbe voluto trovare un pretesto per parlare di quell’uomo meraviglioso che aveva difronte, avrebbe voluto che la sua amica le avesse facilitato il compito, che le avesse chiesto chi stava guardando e perché. Invece niente, Martina le aveva chiesto del lavoro e lei, nel modo più veloce e distratto le aveva risposto, aggiungendo alla fine: -magari facessi la cantante di lavoro!- Paolo le si era avvicinato per darle un bacio, prima di allontanarsi con Marco per uscire a fumare, Claudia aveva porto la guancia quasi infastidita e l’aveva guardato dirigersi verso l’uscita del locale. Poi, era tornata a guardare il cantante, questa volta sfidando la sua timidezza, aveva ricambiato con gli occhi quell’invito a restare soli nella stanza. Adesso erano lì entrambi, fuori dal tempo e dallo spazio degli altri, erano soli, liberi di guardarsi come e quanto volevano. Che stava accadendo? Che palpitazioni! Più si guardavano e più si sentivano vicini, il respiro di entrambi si faceva più corto, Claudia si sentiva accaldata ed eccitata e lui si era dovuto allontanare dal microfono per non scambiarlo per qualcos’altro. ‘Ma che cazzo state facendo!’ La voce di Martina tuonò come l’ingresso improvviso della mamma nella stanza degli adolescenti. Claudia quasi era saltata sulla sedia e aveva cominciato a balbettare nel tentativo di giustificarsi: ‘ma-ma che c che cre-di?’ ‘Che credo? Credo che al posto della sigaretta stiano fumando qualche altra cosa!’ Aveva risposto Martina alzandosi dalla sedia per raggiungere Paolo e Marco. Claudia aveva tirato un gran respiro di sollievo. Aveva già immaginato le parole di rimprovero della sua amica: ‘state scopando con gli occhi!’- Queste erano le parole che temeva, ma anche in quell’occasione Martina l’aveva delusa. Rimasta sola al tavolo, Claudia ne aveva approfittato per andare a buttarsi un po’ d’acqua in faccia e vedere allo specchio l’espressione che aveva. Nel corridoio stretto che portava al bagno, c’era anche lui, il cantante, si erano sfiorati, le loro mani si erano toccate per qualche istante ed i loro respiro si erano confusi, avevano potuto annusarsi, ancora una volta, anche se solo per 10 secondi, erano rimasti solo nella stanza e stavolta lui aveva anche parlato: -tu, tu non sei possibile- All’uscita dal bagno trovò Martina ad aspettarla: -Andiamo via Cla’, comincia ad entrare gente che non mi piace e poi sono molto stanca.- -OK, andiamo- aveva risposto prontamente Claudia. E tutto era finito lì. Nella testa per giorni le erano rimbombate quelle semplici parole ‘tu sei impossibile’. Cosa poteva voler dire? Che era assurda la situazione, che era tutto troppo bello per essere vero, o addirittura poteva voler dire che lei era stata troppo aggressiva … Chi lo sa! Intanto quella notte, dopo quasi un mese dall’incontro, lei aveva ripensato a lui e lo aveva desiderato come non mai. Il pomeriggio aveva chiamato Martina perché aveva deciso di dirle tutto, di sputare il rospo, magari dopo sarebbe stata meglio, avrebbe razionalizzato gli eventi e la sua vita avrebbe ripreso a scorrere tranquilla. Martina era arrivata al bar due minuti dopo di lei, aveva uno strano sorriso e subito l’aveva afferrata per un braccio per trascinarla al primo tavolino libero. -Devo dirti una cosa- -Dimmi- le aveva detto con tono d’incoraggiamento Claudia- -Ecco, ti ricordi l’altra sera in quel pub? Quel locale dove suonava quella band di sfigati?- -S sì- disse timorosa Claudia, -Il cantante, lo hai visto? No, probabilmente non ti sei manco accorta che c’era un cantante, non era poi così eccentrico … Insomma, il cantante durante la serata mi ha guardata più volte e quando mi sono alzata per uscire e raggiungere Marco fuori lui mi ha messo in mano un biglietto con il suo nome ed il suo numero. Per fartela breve, Cesare ed io, insomma, il cantante ed io ci frequentiamo da tre settimane e questa passione cresce sempre più- -Ho capito- -Cosa hai capito? Non credere che lui sia uno senza cuore, da una botta e via, lui ci tiene a me, credo che sia del sentimento da parte di entrambi- -Certo, sicuro- aggiunse mestamente Claudia. -E tu, cosa volevi dirmi tu? Scusami, ero così ansiosa di parlare di questa cosa che non ti ho dato spazio, tu come stai?- -Ecco, ecco io sto come una che è uscita da una stanza per cedere il posto ad una più scema di lei- Martina l’ha guardata senza capire e Claudia è scoppiata in una grande risata, con gli occhi velati di lacrime.


FUORI DAL RIFUGIO

Amore. Quanto vorremmo parlare di amore? Quanto ci piace leggerlo, raccontarlo, viverlo! Storie d’amore, di passioni, di separazioni e di ritrovamenti, di amori impossibili e di attese interminabili, di finti innamorati e di amanti predestinati. Storie di amori che nascono in sordina, senza pretese, che vivono solo di presente e che durano una vita. Storie di amori che hanno momenti e luoghi avversi, amori ostinati, forti quanto un dolore. Amori fasulli, ingannatori. Amori fatti solo di sesso e di risate, che nessuno chiamerebbe amore. Siamo tutti amanti dell’amore, tutti intenti a capire l’incomprensibile, a cercare l’introvabile, ad aspettare che accada l’imprevedibile! Certo non pensava a classificare la sua storia Anna, quando lui la lasciò, sentiva solo un grande dolore dentro, una sensazione di svuotamento. Marco aveva portato via con sé qualche valigia, un mare di emozioni, di ricordi e di rassicurante complicità. Perché se n’era andato? Come aveva potuto essere così duro, così freddo, così razionale? Come aveva potuto restare insensibile alla sua sofferenza, al suo pianto? Adesso Anna era triste, ma anche arrabbiata. Nei primi giorni dell’abbandono non riusciva neanche a camminare bene, come un puledro appena sbucato dal corpo della cavalla madre. Respirava a fatica, sentiva di dover impegnarsi tanto per fare cose che fino a quel momento erano stati automatismi, semplici, trascurabili gesti quotidiani. Come poteva essere accaduto? Quale evento, quale insospettabile avvenimento aveva dato a Marco la forza di andar via, di dirle addio? Quale forza ignota gli aveva indurito il cuore? O forse non c’era nessun evento, forse non c’era più niente tra loro, non c’era più amore, passione, complicità, non c’era più la voglia di vivere assieme ogni momento, di raccontarsi le ore della giornata vissute singolarmente, non c’era più la voglia e l’esigenza di rifugiarsi l’uno nell’altro. Forse era proprio questo il punto: Marco si era accorto che per troppo tempo Anna si era rifugiata in lui, perdendo a poco a poco il fascino della donna sicura che lo aveva fatto innamorare. Erano trascorsi oramai tanti giorni da quando lui se ne era andato, Anna non aveva più voglia di piangere e di trascinare il suo corpo per casa, non aveva più voglia di nascondere il suo dolore ai colleghi, agli amici, si spogliò lentamente lasciando cadere i suoi vestiti a terra, si diresse verso il bagno e fece la doccia più lunga della sua vita! Si toccò quel corpo non più giovanissimo, morbido e sinuoso. Scoprì che aveva una bella pelle liscia, delle belle gambe toniche, una naturale, leggera curva sul ventre, un seno generoso ed un volto dai lineamenti decisi, non banali. I suoi lunghi capelli bagnati le sembrarono più lisci e morbidi di un velluto prezioso. Le sue labbra pronte per esplorare nuovi luoghi. Uscì dalla doccia e guardandosi allo specchio si sorprese sorridente. Il puledro era pronto per cavalcare libero, solo, con sguardo fiero e con l’eleganza di un corpo padrone di ogni singola parte di sé, consapevole della propria unicità.


PROSPETTIVE

Lei era bella, di una bellezza fuori dai canoni, era bella di vita, di sentimenti. Generosa nel corpo e nei sorrisi, nelle emozioni e nelle condivisioni, parlava e scriveva tanto, dio quanto parlava e scriveva! Quando l’ho incontrata io ero inaridito, privo di energie. Ero duro e disilluso, insoddisfatto e un po’ nostalgico. Non avevo niente da perdere. Ho cominciato a frequentarla perché vedevo in lei una donna intelligente e distaccata, una che mi avrebbe preso per quello che ero, senza pretese, un compagno di risate e di incontri leggeri. Da subito le ho confidato i miei segreti, i miei tormentati trascorsi, evidenziando la mia natura ribelle ed un po’ animalesca. Le ho raccontato molto di me, delle mie passioni e dei miei desideri, del mio modo di approcciarmi alla vita ed alle persone, mi sono dipinto nel peggiore dei modi perché non potesse dire che non l’avevo messa in guardia. Passavano i giorni e lei era sempre più bella, più desiderabile, i nostri corpi cominciavano a plasmarsi l’uno sull’altro, i nostri occhi cominciavano a mettere a fuoco i segni del nostro passato. Dopo qualche settimana eravamo già cambiati, io continuavo a raccontarle dei miei amori impossibili e delle mie delusioni, comunicandole in tutti i modi il mio distacco, ma più glielo dicevo e più si legava. Avete questa mania di innamorarvi di chi non vi vuole amare voi donne, che non si può capire. Così, quando ha cominciato ad emozionarsi durante i nostri incontri, ad imbarazzarsi, a mostrarsi fragile, ho provato ad allontanarla, le ho ricordato che quegli incontri non avevano alcuna importanza per me, erano un gioco e basta. Lei ha cominciato a lamentarsi, a ribellarsi. Non voleva giocare più. Era bella, di una bellezza non bella, magnetica, ma dopo qualche mese, la sua bellezza si stava offuscando ed io invece miglioravo. Lei si spegneva ed io mi rigeneravo. Era come se le stessi rubando tutta l’energia, io mi ricaricavo e lei si consumava. Eppure gliel’avevo detto che in quella storia il sentimento non doveva entrarci. Una sera ho preso il coraggio e gliel’ho detto esplicitamente: ehi, ma mica mi ami? Lei non mi ha risposto, ma i suoi occhi le si sono velati di lacrime. Non ho retto quello sguardo e sono andato via. Io non la volevo, io non l’amavo, ma sentivo un bisogno quotidiano della sua presenza, della sua voce, della sua risata. Quel corpo da prendere, da fare mio, cominciava a diventare sempre più necessario, avevo desiderio di abbracciarlo di morderlo, di fonderlo con il mio, odori, lingue e mani che si incontrano, si conoscono e si riconoscono, che danno piacere. Più cresceva la passione più si alternavano gioie e sofferenze, sguardi complici ed espressioni diffidenti. La paura di soffrire si stava facendo spazio tra noi. Io non l’amavo, ma lei non ci voleva stare, non lo accettava. Io non l’amavo, e glielo continuavo a dire, con le parole, con i miei modi distratti, con i sorrisi sornioni, con le poche attenzioni. Io non l’amavo e le rivolgevo parole di disprezzo, la prendevo in giro, e lei ne soffriva. Più non l’amavo e più l’allontanavo. Poi, un giorno mi ha detto: Sì, ok, ti amo, e allora? Come potrei non amare uno con cui scopo da dio, rido, mi emoziono, uno che mi vuole sentire ogni mattina, mi vuole vedere appena possibile, come potrei? Credi che le tue inutili parole, cattive, le tue “passioni” per le altre donne, le tue chiacchiere, i tuoi sfottò mi possano fermare? Le cose stanno così nonostante tutto, nonostante TE! Si è dichiarata ed è scomparsa. Meno male che non la amo. Ne trovo un’altra più leggera, ne trovo una che capisce cosa deve fare. Perché una che non si ama si dimentica in fretta. Adesso ci provo a dimenticarla, ci provo e ci riesco subito, mi basterà un mojito, tanto non l’ho mai amata.

Lui non era bello, la prima volta che l’ho visto, un po’ impacciato, un po’ curvo sulle spalle, mi ha dato l’idea di un uomo insicuro, poco sereno. Un uomo giovane, di bassa statura, un bel sorriso, uno sguardo buono. Quando l’ho incontrato io ero un po’ indurita, avevo appena chiuso una storia importante, ma ero sicura di me, carica di autostima. Andavo incontro alla vita speranzosa e sorridente. Ho cominciato a frequentarlo perché mi piaceva il modo in cui mi guardava, il modo in cui mi ascoltava, affascinato da me, dal mio corpo e dalle mie parole. Non avrei scommesso due lire su quella frequentazione, ero convinta che non ci saremmo visti più di un paio di volte. Ero andata via dal primo incontro quasi annoiata, ma qualcosa mi diceva che avrei dovuto accettare un altro appuntamento. Non ero molto interessata a lui, ma più ci parlavamo e più scoprivamo di capirci, di intenderci facilmente. Era tutto così naturale! Quante affinità! Quell’uomo insicuro cominciava ad alzare le spalle, a ridere di più, ad apparire più sereno, più piacente. Ad ogni incontro, cresceva la curiosità e la voglia di ridere, dio quante risate ci siamo fatti assieme! Insieme tornavamo adolescenti, drogati di noi e della nostra libertà, del nostro modo di ironizzare su tutto e tutti. Ci sentivamo migliori. Poi lui ha cominciato a raccontarmi delle sue storie, dei suoi fallimenti in amore, delle sue speranze e della donna per cui stava male. Va bene, ci può anche stare, si confida, vuol dire che con me si sente libero di essere se stesso, questo mi piace. Allora perché inizio a non sentirmi più tanto forte, tanto sicura? A pensarci bene, dice delle cose che non mi piacciono. Dice che i rapporti passati li ha rovinati lui, che non è bravo ad amare, che anche la donna per cui sta soffrendo non ha tutti i torti ad averlo allontanato: gli ha inflitto la peggiore delle pene, il silenzio, e solo perché lui non è stato in grado di farle capire quanto la ama. No, questo proprio non mi piace. Non mi piace più che nei nostri incontri si parli di lei, no non va. Eppure stiamo diventando più intimi, i momenti che trascorriamo insieme sono più intensi, facciamo l’amore con i corpi, con gli occhi ed anche con il cuore. Lui si mostra sempre più sicuro, io comincio a vacillare, mi dice di non innamorarmi di lui, di non farlo, che lui ha fatto soffrire già altre donne, che non è in un buon periodo. Io quasi mi arrabbio, il mio orgoglio mi risveglia: ma cosa dice? Ma io non ci avevo proprio pensato ad innamorarmi di lui, non l’avevo messo in conto, manco mi piaceva! Trascorrono i primi mesi ed i nostri ruoli cominciano a cambiare. Io mi lascio andare, inizio a credere che il nostro rapporto non sia inquadrabile, è “oltre” ogni definizione di amicizia, di amore. Pensavo: che mi importa se muore d’amore per un’altra, se ogni tanto ha nostalgia del passato, cosa conta se crede che io sia solo una confidente allegra e disinibita? Invece conta, e conta soprattutto da quando una sera mi dice: Ehi, ma mica mi ami? L’ho guardato fisso negli occhi, mentre provavo a trattenere le lacrime, ‘MICA MI AMI?’ Le sue parole rimbombavano nella mia testa, mentre lui si allontanava. Ma chi cazzo si crede di essere questo? Ma chi pensa di avere davanti? Ma come mi tratta? L’adolescente che si è presa una sbandata per uno che se la voleva solo scopare? Ma che sta succedendo? Io quest’uomo manco lo volevo incontrare la seconda volta, a me manco mi piaceva, ma che si è messo in testa? Adesso ci penso io a sistemare tutto, a farlo scappare. Gli dico che lo amo, così lo saluto una volta e per tutte, così scappa a gambe levate il ‘latin lover’. Alla fine è lui che vuole vedermi, alla fine è lui che ha scelto me, insomma, se ci frequentiamo da diversi mesi è perché insieme stiamo bene. Perché si ostina a ripetermi che non mi ama e che io non devo amarlo, perché? Basta, adesso basta giocare con me, glielo dico. Ci vediamo, e in un momento di intimità parto in quarta: Sì, ok, ti amo, e allora? Come potrei non amare uno con cui scopo da dio, rido, mi emoziono, uno che mi vuole sentire ogni mattina, mi vuole vedere appena possibile, come potrei? Credi che le tue inutili parole, cattive, le tue “passioni” per le altre donne, le tue chiacchiere, i tuoi sfottò mi possano fermare? Le cose stanno così nonostante tutto, nonostante TE!
Ecco, gliel’ho detto! Ma adesso che faccio? Adesso scappo e non mi faccio più sentire e vedere, scappo perché forse c’ha ragione lui, perché forse … Non lo so. Chiamo la mia amica Chiara e ci beviamo una birra, basterà poco per dimenticarlo, tanto non l’amo.