I SAT DOWN

I sat down by myself and dreamed
a room of purple and of light blue
a wood of cheerful darkness and of pathos free
dressed in dawn and tempting feast.
I sat down by myself and dreamed
days of glory and of afar howdy
when halos of stars stared
at joyful games of beauty.
I sat down by myself and dreamed,
suspended on the verge
of an awakening will.


 

MI SONO SEDUTA

(Traduzione)

Mi sono seduta in disparte
ed ho sognato
una stanza purpurea e di blu illuminata
una foresta nell’oscurità brillante
e di tensioni priva
vestita d’alba e seducenti banchetti.
Mi sono seduta in disparte
ed ho sognato
giorni di splendore e di saluti remoti
quando raggiere di stelle fissavano lo sguardo
su giochi felici
di fascino guarniti.
Mi sono seduta in disparte
ed ho sognato
sospesa sul limitare di una volontà
che si sta per risvegliare.


 

FERRAGOSTO 2009

Seduta accanto al posto di guida guardo lo scorrere frastagliato delle tamerici che dai bordi della strada delimitano giardini incantati, mute sentinelle dei rituali che da dietro le finestre illuminate si consumano. Ed ancora una volta come da bambina, tanti anni prima, mi ritrovo ad immaginare chi abiti dietro le imposte spalancate alla notte, quali suppellettili abbelliscano le mensole, come siano addobbate le tavole della festa. Finché la strada sbuca sui viali alberati ed allora al mio fianco si mettono a guizzare orde di ciclisti sorridenti, i bambini in testa e gli adulti a star loro dietro come ad aquiloni rapiti dal vento alla ricerca di un orizzonte lontano.
Festa di una notte di mezza estate o di un’estate trascorsa per metà, festa di una notte che rivendica un suo primato dopo le stelle che cadenti l’hanno annunciata ed adombrata e che per questo ricorre all’artificio per far sì che nelle menti si imprima la memoria di una luce più abbagliante.
Festa della folla festaiola, un’altra estate da raccontare, un’altra estate da rievocare e da serbare a riscaldare il colore della città invernale.

La sabbia che brulica di impronte, le scarpe già abbandonate in ordine scomposto e turbinii di abiti svolazzanti e bagliori di spalle abbronzate che ancora rimandano l’umidità della notte nel gioco seducente della lievità dei corpi. Risate e corse di bimbi, abbracci, denti che si mostrano senza vergogna e mani che si cercano e si stringono, occhi che si guardano e su tutti il lieve chiacchierio della leggerezza.
Festa della folla festaiola, quella che si rincorre per lidi e ritrovi e che, dimentica, si predispone al ricordo.

Uno spartito tutto da scrivere con le note in bella mostra ed in bella fila pronte a farsi rapire ed a farsi riscrivere nell’alternarsi degli eventi, nell’incrociarsi dei destini, nel contrappunto delle voci, nei rimandi dei moventi. Sette note che come tante sorelle accompagnano e punteggiano il sorseggiare lento, l’assaporare dei cibi, i pensieri, gli indugi e quanto la mente si predispone a fare.
Empatia ed affabulazione, baluardi in rovina, quotidianità e rarità: niente è uguale ad un attimo fa e niente potrà interpretare quello che è appena stato.
Il quadrato del tavolo che delimita i nostri luoghi diventa la casella bianca di una scacchiera invisibile sulla quale stiamo posando i nostri migliori pezzi e ci predisponiamo a collocare ciò che la vita ci riserverà. Ci scopriamo simili nelle nostre diversità che quasi si può indovinare la prossima mossa.
“Ami anche tu la disco anni ’70?” – mi verrebbe da chiedere ai miei compagni tanto la musica che da poco distante troneggia si riversa sulla nostra tavola. Ma che ne sapevamo noi negli anni ’70. Era solo fuoco fatuo, il falò doveva avvampare più tardi.

Festa della folla festaiola, di chi nella notte d’estate si ritrova e non ha ancora scoperto il sentimento che invade nel sedersi accanto a uomini e donne ritrovati.

A Massimo con affetto

15 agosto 2009