Io fuggo

Fiori di gelsomino
pendevano da rami gravidi,
mentre le tue sterili mani
all’ombra dell’ulivo
non davano né sentivano.

Arido essere calcavi
le orme di altri umani,
insensati e vacui
guerrieri senza armi
che aspettano battaglie.

E io mi allontanai.

Io fuggo l’odio del mondo,
l’aspro succo della cattiveria,
il marcio delle apparenze.
E le ricchezze vuote
e la follia malsana.

Chiusa in una torre dorata
ora tesso la mia trama,
con fili neri e qualche filo d’oro.
E anche qui, lo sento,
c’è odore di gelsomino.


Vecchi tempi siciliani

Giochi di crini
intrecciati
tra rami di ulivi
e capi di donna
arruffati,
dai volti scuriti
dal sole,

stavano chini
su bianchi ricami,
alzando sguardi
veloci
per farsi la croce
ai rintocchi lontani.

E intorno
alle seggiole ferme,
corse e schiamazzi
di bimbi.

E c’era profumo
di pane
nei vicoli antichi,
appena sfornato,
di frutta matura
e mosto di vino.

E distanti i braccianti
sudati e i richiami
monotoni di pastori.
Si attendeva la sera
con pace e lentezza:
un breve riposo
e poi nuovo lavoro.


Tienimi qui

Tu, che nella mia terra fredda
sei già un uomo,
tienimi queste nude mani.

Tienimi qui in un canto:
là fuori le strade affollate,
il tramestio di passi scomposti.

Io invece cerco il silenzio,
la tremula luce di un lume,
la pace di un volto fraterno.

Qui non c’è odio o dolore,
solo questo mio amore,
che batte scarno contro il tuo.