Fredda lacrima

E mentre guardo e riguardo
quella vecchia fotografia
con occhi bagnati
per non dar vita, alla mia voglia d’amare.

Da quella porta
un giorno entrava luce
e portava questa, indimenticabili profumi
quasi a dipingere magiche melodie.

Il tuo caldo respiro
nel silenzio di ogni notte
donava quell’intensa atmosfera
leggera come un velo d’amore.

Ma io guardo ancora
una volta, forse cento o forse mille
quella vecchia fotografia
ma tutto ora è ormai finito.

Tutto può finire, in questa strana vita
tutto può ritornare
tutto può ricominciare
a riaccendere quel buio cammino.

Le mie mani tremano
su quei lontani ricordi
mentre una fredda lacrima
scorre lenta su quella nostra fotografia.

E dentro me
un alternarsi di gioie e dolori
di fiducie ed incertezze, speranze e delusioni
legheranno sino alla fine queste mie mani.

Cancelleranno per sempre
nel lontano infinito gioire
ogni mio ormai temuto sorriso
con la paura di un giorno camminare.

Aiutami ancora una volta
forse una sola, o forse l’ultima
ad asciugare per sempre, quella mia fredda lacrima
basterà solo il gesto delle tue mani.

 

 

 

Le tue paure

Questo vento gelido spoglio
porta il mio vuoto sguardo
ondeggiar sul tuo viso stanco
a cercar vita.

Vola ondeggia e vaga il pensiero
lento e forte s’aggrappa
nell’imbrunire della sera
dove bussa nel profondo cuore.

E tu dolce donna
abbandonata al tuo ingiusto destino
non temere sconforto
nessun dolore t’appartiene.

Una mano tesa
ad accarezzar il dolore tuo
guarirà con il tempo giusto
ogni oscurità più grande.

Ho svelato che l’invisibile
non è più invisibile
ma la certezza di quella forza
ripone il suo sogno stringendoti.

Muoverò quella mia mano
per donarti parole
per contemplar in ginocchio a te
il mio silenzioso aiuto.

Traccerò su bianchi fogli
sino alla fine di quel giorno
ombre di mani
che abbracceranno le tue paure.

 

 

 

Abbracciami ancora

Quel giorno seppur lontano, lo ricordo molto vicino, aggrappato ai miei timori che ogni giorno portavo nella mia tasca. Ricordo benissimo quell’inconfondibile e dolce sorriso di mia madre, che ogni giorno mi regalava, affidandomi quello che di più caro teneva nel suo cuore: “Il dono dell’amore, il dono della saggezza, il dono della speranza”.
Era un sorriso che trapelava il desiderio di inondarmi del suo coraggio, e come raccontava mio padre, quel suo sorriso era l’immagine riflessa a colorare il suo viso, nel giorno in cui il mio primo vagito, coronò il suo grande sogno: “Diventare mamma.”
E sono stati tanti ed infiniti, quei momenti in cui ricordo quanto di più bello la mia anima piccola e fragile, mentre gioiva di intense emozioni nel passar di tanti giorni, ne teneva forse il più grande tesoro: “Quell’amore che ricevevo da mia madre, tenero ed invincibile”.
Di tutti questi momenti però, ne ricordo uno in particolare, un momento crudele dove ha scalfito per sempre il mio cuore, dove nel silenzio di quella sera, soffocava questa mia felicità, bagnando leggeri questi miei piccoli occhi, dove la gioia era crollata sgretolandosi per sempre.
Quella mia amica, compagna di giochi, quella donna dalle lunghe braccia, dal respiro affannato, testimone di quell’amore indissolubile che avrei voluto tutto mio, forte ed aggrappato come edera su quel muro vissuto, stava scivolando via dalle mie piccole mani. E quella sera, una sera non tanto diverse dalle altre. Era una di quelle in cui, l’aria che si respirava in quella piccola casa all’inizio del paese, era densa, pesante. Ricordo quando, ogni volta quando mio padre tornava stanco, dopo una lunga giornata di lavoro, erano momenti nei quali io avrei desiderato esser una farfalla, una piccola e minuscola farfalla e volare via tra quelle nuvole come favole, rincorrendo quell’ultimo raggio di sole al tramonto.
Tra mio padre e mia madre, ultimamente, nascevano sempre piccoli litigi, dove quelle incomprensioni mi facevano male, molto male. Forse però, pensandoci bene, questi episodi erano frutto di quella mancanza di accettare da parte di mio padre, quella miserabile malattia di mia madre. Lei, così indifesa, così tenera, la scoprì poco dopo la mia nascita.
Un maledetto male incurabile, giorno dopo giorno, me la stava rubando per sempre, mentre io avevo ancora tanto da imparare, tanti momenti da trascorrere con lei, tante gioie da condividere, e forse anche qualche lacrima in più da farmi asciugare. Mio padre, lo vedevo colmo di quella stanchezza morale che di lui si era impossessato senza spiraglio di luce. Era torturato e straziato, da questa cruda verità. E giorno dopo giorno, tormentato ed abbandonato dalla quella speranza che tanti dicevano affidarsi, perché l’ultima a morire. Ma questa amara circostanza, pesava enormemente ogni giorno sulla sua coscienza, come una grande macigno. Non la accettava, e non voleva forse mai pensare a quel giorno in cui lei, volerà via, nel silenzio, per sempre.
Io ero piccola per toccar con mano questa dura emozione, nella crudeltà di un’intollerabile oppressione. Ma una domanda me la ponevo. Una domanda, a cui non sono mai riuscita a darmi una risposta: “Perché, perché Signore mio, questa mia mammina sta soffrendo così tanto, non lo merita…” Ed io, mi ritrovavo impotente davanti a tutto questo. Ero troppo piccola e fragile per aiutarla a guarire. Forse magari, basterà tenere sempre stretta la sua mano, pensavo dentro me, ma purtroppo non era così.
E così, una sera in cui lei era a letto a riposare prima del solito, io a piccoli passi in punta di piedi aprii piano quella vecchia porta che immancabilmente ogni volta cigolava. Stranamente, ma quella sera, anche lei era diventata silenziosa. Entrai nella sua camera. Mi avvicinai a lei, e quasi trattenendo il mio respiro, le diedi un leggero bacio sulla sua fronte così sudata. Non volevo interrompere quel suo riposo.
Il mio sguardo, piano piano, scendeva verso le sue mani, ad osservare quanto erano diventate fragili. Le accarezzai, con quel tenero desiderio, come quando si accarezza il viso di un bimbo, con la delicatezza che stringe il cuore, nella gioia dell’amore. Avrei voluto tanto, che quel breve ma intenso momento, in cui avvertivo quasi una pace interiore, non finisse mai. Quella sera avrei desiderato tanto, addormentarmi accanto a lei, accompagnandola nei suoi infiniti sogni, in quel suo volo alto e leggero, dove le sue ali candide ed il suo velato e minuscolo corpicino, stavano forse diventando il mio inseparabile angelo custode.
Davanti ai miei occhi, scorrevano tante immagini di lei, veloci ed infinite, come la scia di un treno. Ma sullo sfondo di quelle, leggera e sfocata, vedevo in lontananza, l’abbraccio delle mie paure.
Poco per volta, abbassai la mia testa. Sembrava questa, divenire sempre più pesante e stanca. E così mi addormentai tra il profumo delle sue mani, mentre i miei piccoli occhi stanchi e quasi socchiusi, parevano addormentarsi, immergendosi in un lungo sogno.
Sembrava essere un sogno già vissuto, un sogno dove a sussurrare quelle parole, era la sua fioca voce, mentre bisbigliava queste dolci parole, quasi a comporre una poesia:
“Volo, mia perla valorosa, per averti donato quella dolce linfa chiamata vita, per aver nutrito nel silenzio, ogni mia gioia, ogni mio bisogno, ogni mia interminabile speranza.
Volo e volerò infinitamente lì, sui tuoi giorni di cammino, delicata e perennemente solerte,
allontanando ogni tua difficoltà. Questo mio volare, sarà testimone della mia esistenza, legato da quell’amore infinito, che nessuno e nemmeno il tempo, cancellerà.
Solo così, potrò sempre volare.”
D’improvviso, sentii la mia guancia bagnata. Era una lacrima di mio padre. La sua mano stanca, dolcemente accarezzava i miei capelli sudati, forse per l’emozione nell’immagine impressa in quel sogno. In silenzio, mi accompagnò sul mio lettino, sussurrandomi con una voce fioca, con parole tremolanti e quella lacrima che scendeva lenta sul suo viso, mi disse: “La mammina… la mammina è volata in cielo…” Quella mammina tenera e malata mi aveva abbandonata. Quella mammina a cui mi abbracciavo per rifugiarmi dalle mie piccole paure, dalla voglia di sentirmi amata e coccolata, rimane solo un fragile e tenero ricordo.
L’aria mancava. Il profumo di prati fioriti e le mie corse a braccia aperte nel tramonto di un sole, si erano spente per sempre. Provai una tristezza mista a rabbia. E volevo gridare: “Perché, perché, perché mammina mia te ne sei andata…”
Non volevo crederci, ma aveva spiccato nel silenzio, quel volo che mi sussurrava nel sogno, senza che io potessi rivolgerle ancora una parola, un bacio, una carezza. E lei ora non potrà più tenermi per mano, ed io non potrò più stringermi alle sue gambe, come facevo quando avevo timore e paura, di quel mondo esterno, a volte così crudele e così troppo grande per me. Come farò ora a scappare da ogni dolore, rifugiando in lei, le mie paure.
Quelle mia braccia a stringermi forte a te mammina, sarà un momento che mi mancherà per sempre. Un dolce momento incancellabile. Ma quelle tue parole nel mio sogno, spero che aiuteranno ogni giorno la mia fragilità. Ricorderò ogni istante della mia vita, ogni momento di debolezza, quelle tue parole che mi sussurravi, quando io correndo tra le tue braccia, accarezzavo con le mie fragili mani le tue guance. Osservavo i tuoi dolci occhi e vedevo in loro, il mio riflesso tremolare. Era l’emozione di quelle tue parole che sussurravi: “Come sei bella piccina mia… ti amo più della mia vita…”
Ed io quasi come per incanto, appoggiando la mia guancia alla tua, stringevo forte al collo le mie braccia. Era un momento unico ed inestimabile, un abbraccio che voleva dirti grazie, colmo di quelle parole che descrivono magicamente quel vero amore, con la voglia che quel momento non finisse mai.
Ed ora, dopo tanti anni, mi ritrovo anch’io mamma, e provo oggi la stessa emozione che tu provavi per me. Ogni volta che sento stringere le mie gambe dalle braccia della mia piccola, il mio sguardo d’improvviso osserva quell’infinito cielo, mentre la mia mente ed il mio cuore, vola per sempre a te, mia dolce mammina.