Un dì

Un dì planava l’Arte

su’ ferrosi campi distesi. Dì di festa risonava

tra l’ore mansuete.

Leggiadra planava l’Arte.

Ali sottili avea, turgide dispiegavale tra moti d’incenso.

Canto.

Serafiche poetiche note

dalli spartiti di Mefisto,

portava l’Arte su gobba motile schiena.

Parallele.

Atmosfere cangianti, d’indefinito rifulgere

l’Arte spargeva

di note.

Raggi.

Coacervi d’ebbrezza, roboanti ne’ vini rubini, fulgenti ne’ sieri adamantini,

supplice

l’Arte illuminava.

 

“Donde mai provene, siffatto viluppo?”, chiedea miserrimo l’occhio gentil. L’Arte

immota,

remota

di lontano respondea:

“Volgi”;

sì ascondit’imperativo ansante

infondea l’Arte nel gentil.

Volse dita di fuso, l’aere intessè in segni nel vento; angoli ennesimi tracciò,

belle gesta definì in animosa prodezza

con dita di fuso; ma’l viluppo incessava.

Torsioni d’ogne sorta compia’l gentil,

niuna’l viluppo cangiò.

“Che mai ho da volgere, ancora?”, in istasi disperata

s’affiatava. Sviscerato d’essenza, attorniato d’intestini dilaniati, circumdato d’odori mefitici, inondato di putrido sangre s’è

‘l melanconico fuso.

“Volgi”,

l’Arte sempre

respondea. Soffio di speme vitale

spirava l’Arte.

E un dì di Morte

planava.


Ascondito

Cinto d’ossequiosa alterigia

presenziava

l’Eremo.

Dall’altura natia, fosco

nebbioso osservava.

Scrosci fluttuanti d’ebbrezza emanava;

fluivano nei mari,

sugl’Oceani remoti planavano,

“tediosi!” l’acque l’additavano.

 

Sempiternus in perpetua aeternitate aeternitatem

refugiebat

l’Eremo.

Vie d’infiniti numerati pendii

d’acerrima ortensia bluastra lastricati

e d’ortica – oh, dolce parco sangue d’ortica! Muto

penetri roccia e crepe terrose,

silente in ostinata costanza

aspro

in acido muti

ne comprimi respiro,

sostanza ne corrodi.

Milites

percorrebant

sentieri d’ascesa.

 

“Che n’è, Eremo?”

Invocabant.

 

Cellulae oculorum refulgebant

ab te

Eremo.


Poetica

¡init Imago!

 

Forgiato in empiti divini,

declinato in succubi

centellinati

estri di serafico vigore,

adombrato di dolce acerrima sete

immortale,

ho

il petto maledetto.

Servo di poesia in sogno poèta,

recondito ganglio di grigi

olimpici colori

innerva,

spada infusa in aureo sangue di miele

fende

anditi danzanti su inni solenni,

macabri rondò

in tenebrosa anima cordis.

 

!Exit imago¡


 

Mare

S’aizza in sul fosso alma solinga,

“deh sì salda veggio!” se dicea in attorno guardinga.

D’otton fulgida piaggia e brilla ella vedea,

sì che su’tunnule luci parar dovea.

Di mar ohilei non potea mirar

ch’ascoso pavido vento non foss’a tonar.

 

Più pervinca allor che ‘l Sol nol pinga,

tonò Posidon in pavida stringa:

“Veggim’indi l’ermo tumulo,

tu di spira mortal cumulo!”

 

Ma tremula, a cotanto udir,

l’alma si fè e pres’a spaurir,

posci’al vento lamentossi:

“oh come raminga e fral vago pei fossi!

e acciocchè mai sì fiera stell’a sortir?”

 

Poi ch’ebbe ella favellato arringa,

in terra inumò più ancor solinga.


 

Speme

Onde mai sì fral’e mortal

entro sua stanza s’è occlusa speme animal?

Ahi sì serva raminga e vaga

all’umil cor che fier t’appaga!

Ove mai d’etate tua ascondesti ‘l verde fior,

ove mai, omai nero manto d’amor?

 

Cotanto desio ferivi all’alma caduca in su l’imbrunir,

e pur sine parvente cagione a patir

qual pegno nefasto esigesti a tuo proprio apparir!

 

Niuna imago posc’ivi resta,

fuorch’ella ond’essa medesima ridesta.


 

Sublimis

Sottile augellin, s’offre

il dì inconcusso, d’aspre vie tornito,

l’eremita romito attornia.

Quivi, solingo, ne’ recessi dell’aere

illo tremuli singulti

dipana. Intona l’uccellin

grida di spade fendenti.

Bronzee dispiega

l’ali di ruggine odorose

sul tornio del tempo,

in su’ verdi occhi del romito

misero,

disperso.


Aere

Intesse leggiadra la mano

arabeschi sull’aria,

densa, di musco,

spira vischiosa d’amanti.

Odorosa gitana mefitica, girovaghi

fluidi miasmi

promana indefessa.

Aere di sera, di meriggio

d’adamantino solfeggio.

Somma nutrice,

assisa decreti

ondivaga

fervida

sentenze di plumbeo granito.

Sentieri divini percorrono d’arti grovigli,

vivificansi ardenti tessuti

in gaiezze

di Morte.