Io sono il tuo corpo alla fine della decadenza

Io sono il tuo corpo alla fine della decadenza

 

che osserva i cadaveri scivolare sul fiume

portati dalla flusso d’un eterno presente.

Gli assalti ai cranici bastioni, nidi di crepe,

sono ormai cessati: già nei ruderi nascono

bianchi narcisi e oleandri incastonati come rubini.

 

Le orde barbariche che un tempo s’abbattevano

sulle città randagie hanno abbandonato leste

le piane del tuo volto e più non appaiono

nei pozzi cangianti delle iridi i fuochi fatui,

messaggeri di spiriti ed incubi dalle angoscianti forme.

 

Tutto questo fa parte d’un tempo che è ancora;

confusi fanciulli legati tra loro in una carola

che riflette il mondo senza mutare alcunché:

non passare la mano per renderlo più nitido.

 

Io sono il tuo corpo all’inizio della decadenza.


 

Francesco

Addio mia bella addio, sussurra il vento tra le foglie ancor

 

Canta il ricordo per rimanere aggrappato

ad un qualcosa di vago ed indistinto.

Cosa rimembri di quei giorni? Di quel tempo

di cui le parole raccontano.

Più non sembra tua quella voce stentata

e la pergamena delle braccia è ricolma di storie.

Ma fumi ancora; ancora gli sbuffi delineano

fantasmi e l’aspro sapore ti percuote

quando la vita si fa più distante ad ogni boccata

e sulle labbra riarse rimane una croce.

 

Addio mia bella addio, sussurra il vento tra le foglie ancor

 

Alzi la voce – una nota rauca – per far sì che ti ascoltino,

che in qualche modo si accorgano

della tremante mano salda sulla sigaretta

ormai ridotta a mozzicone.


 

Nel pattume ammassato nel retro della chiesa

Nel pattume ammassato nel retro della chiesa

girovagano famelici i ratti. Rosicano i resti dei pasti

di bestie più grosse ed invocano un dio cannibale

per guidare nel marcio lo strascicare dei loro passi.

 

Ma poco più in là, sopra i loculi del cimitero,

seppur infagottati in un volo d’ombra,

si elevano coi denti rivolti in alto

nella notte i pipistrelli.