Ricordi

Firenze, la primavera si avvicina, il sole dirige la sua luce sul mio volto decrepito attraverso la nebbia mattutina. Come ogni giorno mi dirigo verso l’università, le strade del centro sono affollate di turisti; stranieri, stranieri ovunque. Mi avvicino al Duomo, la cupola del Brunelleschi è imponente e bellissima come sempre, molti si perdono in chissà quali pensieri osservandola, macchine fotografiche ovunque, rumore, tanto rumore e io ignoro come ogni giorno la bellezza del monumento tipico della mia città per posare lo sguardo sulle ragazze asiatiche che la visitano, mi fanno impazzire, mi innamoro di ognuna di loro senza una reale motivazione logica. Ho una strana sensazione come se stesse per accadere qualcosa di programmato ma insolito, penso che sia la mia classica paranoia e proseguo il mio tragitto dribblando le persone come Maradona ai mondiali ’86 in Argentina-Inghilterra, mi sento solo in un oceano di esseri umani. Alzo gli occhi verso il cielo e inspiro profondamente, li chiudo per un istante e quando li riapro un silenzio assordante mi circonda e il Duomo non è più l’unica cosa immobile vicino a me. Nessuno si muove e la cosa che più mi terrorizza è che sono l’unico realmente stupito della situazione e apparentemente vivo oserei dire. Conosco i flash-mob, sono una moda oggigiorno ma in un centro città è praticamente impossibile che non ci sia una buona parte di individui, ignari dell’evento, che ne rimangono sorpresi. Non mi sono svegliato questa mattina? È la mia immaginazione? Sto ancora sognando? Probabile, mi dico, praticamente dormo 24 ore su 24 visto che sogno sempre di essere una persona che non sono, pessimista dite voi, realista mi definisco io ma ogni giorno che passo mi convinco che forse avete ragione voi. Mi avvicino a una ragazza, lei è immobile mentre la osservo, riesco a malapena a percepire il suo respiro. Il suo volto, la sua espressione, io ho già visto questa ragazza, più di una volta, ma dove? Non ricordo. Le do una leggera spinta su un braccio, nessun segno di vita, provo con una maggiore pressione e improvvisamente cade a terra come un cadavere, inquietante. Chiudo di nuovo gli occhi e mi perdo nel silenzio, ripenso ai momenti belli della mia infanzia, a quando ero felice e spensierato, alle amicizie, alle persone che ho conosciuto durante le mie esperienze. Un sorriso cresce sul mio volto, un sorriso di pura felicità, mi sento bene come non ero mai stato negli ultimi anni. Riapro gli occhi e vedo la meraviglia di fronte a me, è così magnifico, assaporo la vita che dentro mi scorre impetuosa.

<<Hai capito adesso?>>

Qualcuno ha parlato dietro di me, mi giro e vedo lei, ancora lei che si è alzata da terra e mi guarda sorridendo. Adesso mi ricordo di questa ragazza, in treno spesso si siede vicino a me e si mette a leggere, non l’avevo mai notata veramente prima di questo momento, ero sempre perso nei miei pensieri con la musica negli orecchi. È bellissima, intorno a me ogni individuo comincia ad applaudire, lei mi prende le mani e dice:

<<Non so chi sei e non chiedermi perché, ma dalla prima volta che ti ho visto ho desiderato vedere un sorriso su quella faccia triste.>>

<<È stato bellissimo e ti ringrazio per questo. Ma adesso devo andare, mi dispiace se il massimo che ho potuto offrirti è stato il mio sorriso che sicuramente non ha ripagato il tuo sforzo.>> queste parole sono piene di malinconia mentre escono dalla mia bocca.

Le volto le spalle senza dire una parola in più e mentre lo faccio la sento esclamare:

<<Quel sorriso vale molto di più. C’è un’altra cosa che vorrei tu facessi per me, potresti invitarmi a cena una sera, anzi pretendo il tuo invito adesso.>>

Disorientato e confuso mi fermo a pensare a quello che devo fare, a un tratto sento un suono, è una campana, un secondo rintocco, un terzo mentre l’oscurità mi avvolge, cosa sta succedendo? Apro gli occhi di nuovo, sono molto stanco, uno strano sapore sulla lingua, immagino sia dovuto alla solita cattiva digestione, mi sveglio nel mio letto completamente solo. Mi alzo a fatica e non ne capisco la ragione, vedo una foto con una ragazza, è la stessa del sogno, ci sono anche io nella foto sembriamo entrambi così felici. Mi dirigo verso il bagno e lascio scorrere l’acqua per farla riscaldare, mi guardo allo specchio e il terrore si impossessa di me. Sono vecchio, ottanta forse novant’anni, sono sconvolto e comincio a vagare per la casa in preda al panico, deve esserci una spiegazione per quello che sta succedendo. Odore di caffè che proviene dalla cucina, c’è qualcuno, entro e vedo una donna giovane che si prepara la colazione, non la conosco.

<<Finalmente si è svegliato! Tardi come al solito eh? Si sieda che ho preparato la colazione, stavo giusto per venire a svegliarla.>> dice senza prestarmi attenzione.

<<Chi sei e cosa vuoi da me?>>

<<Santo cielo! Ci risiamo. Tre volte in una settimana, ha bisogno di cure signore. Anche oggi pensa di essere il se stesso di sessant’anni fa? Comunque mi ripresento, io sono Maria la persona che si prende cura di lei ormai da quasi un anno.>> è molto divertita mentre cerca di spiegarmi la situazione.

<<Non ricordo quasi niente. Come sono diventato così? E chi è la ragazza nella foto accanto al mio letto?>>

<<Me lo chiede sempre, possibile che non riesca più a ricordarsi di lei? È sua moglie, lì era molto giovane, l’hai scattata tu la foto il giorno in cui l’hai conosciuta, mi hai raccontato come vi siete incontrati, flash-mob, così li chiamavate voi della vostra generazione, incredibile.>>

Una lacrima si fa strada sul mio viso mentre comincio a capire, il sogno non era un vero e proprio sogno ma un ricordo impresso nella mia anima così vivido e indelebile. Una domanda mi balena nella testa e allo stesso tempo la consapevolezza di conoscerne la risposta crea dentro di me un dolore insopportabile, ma decido comunque di farla.

<<Dov’è lei adesso?>>


Fallire

Siamo soli in auto, io e Jenny, sul piano più alto di un fottutissimo parcheggio della città. Intorno a noi vedo il grigiore dell’acciaio e il giallo dei grattacieli illuminati, sullo sfondo nei pochi spazi di luce tra un edificio e l’altro si erge l’altoforno che ha portato alla morte quasi un milione di esseri umani. La luna cerca di donare al quadro apatico cittadino un minimo di senso artistico e pace nell’anima facendosi strada tra un cielo carico di cenere e l’aria piena di indifferenza.

La crisi, o forse è più giusto dire il sistema finanziario, chiuse la fabbrica dove lavoravo come operaio, mia moglie Mary si suicidò dodici anni fa quando mi arrestarono per traffico di metamfetamine, non riuscì a sopravvivere di fronte al peso di crescere un figlio da sola. Un turno di lavoro per i trafficanti di droga rende più che un anno a spezzarti la schiena negli aranceti, ma le conseguenze spesso sono devastanti e io le ho subite. Mio figlio fu affidato a una famiglia benestante, non si è più fatto vivo e probabilmente adesso sta vivendo la vita che si merita, la vita che io non avrei mai potuto dargli. Sono uscito di carcere il mese scorso, ma il vizio è duro a morire e sono rientrato subito nel giro della droga. Ho conosciuto Jenny una sera durante un suo turno di lavoro lungo la Wilson Avenue mentre tornavo dal cimitero, ormai dimora dell’unica donna che abbia mai amato, la sola che poteva salvarmi dal mio destino di autodistruzione. Mi è bastato un suo sguardo, aveva i suoi occhi, lo stesso azzurro intenso come due splendidi zaffiri, non sono riuscito a resistere alla tentazione e adesso ci vediamo quasi tutte le sere.

<<La tariffa è sempre la stessa amore, 50 dollari classico, 150 speciale e sai cosa intendo.>>

Senza dire una parola i 50 si trasferiscono rapidamente dal mio al suo portafoglio, mi tolgo i jeans mentre lei ha già finito di spogliarsi, è tutto dannatamente veloce, lo capisco e lo accetto.

<<Sei pronto per la migliore che tu abbia mai avuto?>> mi chiede mentre si tira indietro i capelli prima di chinarsi su di me.

Faccio un cenno di assenso con la testa e lei come ogni maledetta sera fa quello che sa fare meglio, quello per cui è pagata. Una sensazione di piacere pervade il mio corpo ma non la mia mente, capisco che non è questo quello che mi serve, quello di cui ho bisogno l’ho perso anni fa perché non era mai abbastanza e non posso recuperarlo. Osservo il cielo attraverso il finestrino e mi perdo nei ricordi di una vita felice che fu e nelle bugie che mi racconto su una vita perfetta che sarebbe potuta essere insieme a Mary. Nel mio sogno a occhi aperti cavalchiamo i 345 cavalli di una Cadillac Eldorado rosso fuoco percorrendo le distese desolate delle valli in Arizona, la luce nei suoi occhi non ha niente da invidiare ai raggi del sole, il suo volto è la rappresentazione fisica della felicità. Ridiamo e cantiamo per tutto il viaggio, nessuna preoccupazione, nessuna casa dove tornare, nessuna necessità di un lavoro per sopravvivere, solo io, lei e l’universo sconfinato e libero come il nostro amore. Il sogno finisce quando un riflesso meccanico e biologico riempie il preservativo che soffoca l’organo di riproduzione.

<<Piaciuto?>> domanda mentre accavalla le gambe accendendosi una sigaretta.

<<Fantastico. Come ogni sera.>> mento uscendo dall’auto.

Mi dirigo verso il bordo del parcheggio, ci salgo sopra e resto in bilico, immobile a osservare a centinaia di metri di distanza il mondo sfrecciare ai miei piedi. Vedo gli esseri umani vivere l’inutile vita di tutti i giorni, vivere una costante corsa verso un obiettivo insulso, o per meglio dire verso la morte, un uomo in giacca e cravatta passa davanti a un senzatetto ignorandolo completamente, il successo che non degna di uno sguardo il fallimento. È tutto sbagliato, io sono sbagliato, cosa ci faccio qui? Non appartengo a questo mondo. La fine di tutto non mi fa più paura, ho fallito e fallire è peggio di morire.

<<Cosa stai facendo?>>

<<Prendi, ci sono 270 dollari, usali bene, cercati un lavoro decente e smettila di farti, ho visto i segni di puntura sulle tue braccia.>> le dico mentre le lancio il mio portafoglio con la consapevolezza che questo gesto non può redimere la mia anima corrotta.

Non le lascio il tempo di replicare, ho preso la mia decisione, chiudo gli occhi, sento una mano stringere la mia e capisco, non ho la forza per convincerla a non seguirmi, così insieme intraprendiamo l’ultima camminata della nostra vita, la marcia nel vuoto, l’avanzata verso la fine.


Morte di un soldato

Lungo la sponda del fiume ti ergi nel gelo dell’inverno,
nello specchio d’acqua il tuo volto riflesso.
Pensi a lei da sempre, ma mai come adesso
Che hai capito di aver intrapreso la via verso l’inferno.

Ricordi di sogni, progetti, di un passato ormai distante,
non bastano per anestetizzare il dolore.
Come l’eroe multiforme, grazie all’amore
tornerò, le dicesti, solo l’ultima di tante promesse infrante.

Sei stanco e cerchi riposo all’ombra di un albero caduto,
intorno a te solo terra, sangue, plastica e metallo.
Esseri umani fragili come calici di cristallo
Giacciono di fronte ai tuoi occhi, unico sopravvissuto.

La nera signora ti si avvicina reclamando l’ultimo dono,
impassibile in volto ti porge il tuo fucile.
Non hai paura e affronti il suo sguardo ostile
Prima di premere il grilletto senza chiedere perdono.

Una voragine sul petto, il vuoto che riempie la tua anima
e nessun paradiso dove cercare redenzione.
Hai combattuto per difendere la nazione
per la quale hai dispensato morte prima di caderne vittima.

Aule di pagliacci che cercano soluzioni di pace e unione,
apparecchiano solo un banchetto di avvoltoi.
Mani pulite di anime corrotte creano eroi
Ricordati come tali ma morti come assassini di persone.