“Sole”

 

Semplice il candido ardore che i capelli colora,

un riassunto di incerte e vigili virtu’,

che il plumbeo sguardo la quiete reprime.

Le passioni ardite, in tempeste di fiamme,

brulicheranno,

arse nell’oblio di spettri,

che i miei solchi varcheranno.

Il tocco spento di un’anima fossile,

 ricorderà il traguardo,

giudicando il corpo di un destino vegliardo.

Tenue il vigore di chi sa tacere e nell’urlo socchiude il flebile amore.


“ Rovi “

 

La rupe divideva il destino,

tra vita ed aria, 

fra esistere e volare.

Non sono un falco,

né mai planerò su valli sconosciute,

ma, lucido amico mio,

arso nella parola

nutrirai i miei tiepidi sogni.

Anfratti di anima persa, 

nel ventre di un’ ugola spenta,

si ritroveranno,

caldeggiando il favore del buio.

In fortuna e disperazione,

noi.


“Kyjov 1976“

 

Ero solo un bambino, quando il compianto Andrej carezzava il mio viso segnato dal pianto.  

La sua algida e ruvida mano contemplava il mio silenzio, che assorto nel pensiero narrante, solfeggiava solenni melodie di un campo che mai più mi apparteneva.

Il suo caldo sospiro cullava le mie tiepidi aspettative, la sua barba rude e grigia ispirava saggezza.

Felice era il mio sguardo perpetuo verso quel fragile e risoluto uomo, invecchiato dagli anni, sostenuto dal senno.

Nel complice abbraccio, Andrej, guardandomi esclamò: “sai cos’è l’orizzonte ragazzo?” sospeso ed inquieto risposi “no…” e lui, con il cenno di chi ha amato e perso, ammise “è il passaggio, il limite che osserviamo, la domanda, il fuggire”, con il cuore in gola, sbalordito e confuso, bramavo quell’arida coscienza.

Il disegno che si espandeva dentro di me, era quello dell’uomo che ammiravo, dell’immagine a cui ambivo, sagace era la fretta di arrivare, poco il coraggio di essere, tuttavia la mia giovane età non confondeva il bisogno, ma lo alimentava.

Con l’occhio ed il fremito del corpo, sognante, osservavo le gesta del mio nuovo esempio, vedendo arte in tutto, dal semplice boccale di birra che sollevava pacatamente, alla pipa che lentamente alle labbra avvicinava. 

Stanziato e candido in quell’angolo di vita, sentivo il cuore riposare, confortarsi e gioire, “forse era questa la serenità? “, mi chiedevo gaudente, ma la risposta era incerta.

Le nuvole cavalcavano il tempo intorno a noi, che fermi ad osservare gli sguardi e le inezie della gente distratta, respiravamo profumi di legno e tabacco, che avvolgente nel sughero divideva i nostri pensieri tra realtà e finzione.

Liberi nei discorsi, trascinavamo silenti gli istanti, ed era meraviglioso ascoltare i passati che dolcemente si mescolavano ai presenti.

Lungo la strada si faceva spazio un militare, gendarme di una passione che non contemplava dubbi e risentimenti. Il suo incedere costante costernava il paesaggio e le nostre menti.

Osservandolo la domanda che ci ponemmo fù “è felice l’uomo che dedica se stesso ad un ideale?”, consapevoli della risposta annuimmo, Andrej bevette nel mentre, io sospirai e rammaricato continuai nel vedere.

Ostacoli di persone ci si frapponevano tra sguardo ed infinito, la sensazione di cercare aldilà era soddisfacente per il nostro volubile ego, tuttavia il calare di un sole sospendeva i giudizi ed arricchiva i ricordi.

Signorili e semplici erano le articolate manifestazioni di dialogo che intercorrevano ad intervalli regolari tra persona e persona, tra uomo e donna, tra anziano e bambino, creando il circo di dare ed avere confluente in un’osmosi di emozioni, che, veleggiando nel vento, raggiungevano il solco delle nostre espressioni.

Nel soave connubio tra comunicazione e gesto, Andrej ed io, cercavamo rifugio, quel consolatorio reprimere ed al contempo riempire, che nello spazio trova giovamento, che nella mano tocca e si allontana, come quiete che appassiona ed attende la creazione spontanea del momento.