Le assenze di uno sguardo

Conoscerti? Presentimenti. Bivio, corpi…

I vapori degl’amanti in beate fissità adiacenti.

Volerti sempre più, volerti… dei nuovi fendenti…

Oltre le mie tentazioni, a te agito racconti.

Ancor’assenti le chiarezze dei riscontri e all’Ignoto tutto va.

Disvelare, discoprire slanci implosi, mie centripete spire.

Queste centrifughe furie posseggono forza inaudita,

potenza riesumata, antico potere.

Volerti sempre più in questo pazzo fervore.

Indomabile, vorticosa, la mia mente sempre tende

all’orizzonte della tua carnale apparizione.
Innumerevoli frange pendenti, in verticali banchi di pesci rasoio.

Luminescente, satura stanza dove penzola un voglioso nodo scorsoio.

Piume conficcate nel suolo si muovono e predan sul fondo limpido,

in assente torbidezza d’umano velo.

Come curiosi tendaggi di trascorse alcove,

pendenti canape siriane, corde, gomene…

Smosse da quel tiepido vento, sul nostro inebriante chiaroscuro.

E guardo più lontano ed anguille giardino danzano,

ondeggiano piano, dal nitido fondale marino.

Da epoche del mito luoghi subacquei scambiati per estesi prati,

addossati ad un nostro segreto ritrovo.

Le inferiate, le rosse gocce, i libri, i fischi di un treno…

i rischi dopo i boati di uno stabile, perenne suono.
Nuvole di meduse dorate, cupole perlacee, quasi vischiose teste glassate…

volte urticanti, fluide, trasparenti volteggiano, portate via da venti d’oceano,

sommersi come occulte correnti nel silenzio mio.

Sinuosi guizzi d’ipnotiche murene, lunghissime, sagaci signore,

muovon nervose l’incerto passaggio tuo.

Rabbiose torpedini, micidiali lanciano scariche elettriche.

Balzano, dove di te poco riveli, come d’arcane cantiche.
Moltitudine di sfrangiati tentacoli decorano il collettivo affioro.

Chiaro di superficie, si riflette celeste, veloce, il turchese vibrante del cielo.

Mutano in collezioni di lampadari rutilanti, abat-jour, verdi lampade da tavolo.

Luci avvolgenti di nostro scordato riparo.

Mari sterminati di posidonia, dal rapido crollo atlantideo,

ci nascondono e noi ci stiamo cercando.

Sorvoliamo regioni astrali, oltre la presunta fine dell’immenso.
Togliti, toglimi il ruvido velo che ricopre l’evidenza di un amore solo.

Nulla gelosia di carni, di languide lande a’tuoi perni,

ma della mente di noi eterna, del pensiero unitivo,

del cuore trafitto, delle assenze nello sguardo tuo.

Voraci dinosauri preasteroidei c’invitano desiderosi…

senza me non andare e così non mi lasci solo!


Misantropo magnetico

Ecco un’altra giornata giocata nel fatuo procedere,

nel sordo ledere di rifrazioni, che immobili derivano da te.

Un’altra giornata dispotica nel lento decedere.

Alloggio finale di liete mie brame, risale costante, al nuovo da te.

Decido le luci, le ombre mortali dell’anima in mota,

stracciata, astuta, in ferocia rinata.

Nel vuoto assente di questa mondiale parata,

può esser ch’io mi senta degno di nota

e debole alquanto, in causa d’assenza di te.
Dal cielo le torri alte, oltre le terrestri avvisaglie.

Le torri frementi ondeggiano come betulle assenti di bianco mattino.

Torri levate, di sottil fuoco imperituro.

Castelli d’aria e di vento pomeridiano,

senza fermagli di ferro dai preziosi cartigli,

senza contrafforti a mantenerli vicino.

Senza più il mio pianto esploso, seccato in vano.

Erotica, serpentile danza, dov’è spenta la mia fisica forza.

La mente mia, di suppliche esausta, avanza inesorabile verso te.
Poterti attrarre a me in mancanza di guaine e fili,

ma con delusi ansimi e lubrici sospiri,

che sorreggono le mie assonnate membra.

Scariche elettriche d’amaro pensiero, magnetico esse inonda.

Cattedrali di marmo brillante, più titaniche del Palazzo dei Soviet,

Là, nel mio profondo, bluaceo mar di Bisanzio.

Scenari di ricercati imperi poggiano sicuri, ancor in bilico,

nelle cerchie molteplici dei sussurri tuoi.

Sul mio deserto incognito assaggia le barocche polpe in decadenza,

così nella tua turpe gioia io mi dispererò.

Mi contorco lascivo, senza più pudori nè fondamenta

e da nuove formazioni del Nulla scendono ostentati colori d’antichità.

Rilucon di quel nuovo smalto perduto: nostra abile alleanza.

Un sentimento occulto fra noi, dove morrà la diffidenza.

Fiamme perenni ai cerimoniali templi di una magica età.

Ammasso cosmico, stellare nugolo dal vento materico

e di sue inaudite proporzioni, si muove e del nostro intreccio è carico,

vorace, assieme al nostro inconscio endemico.

Una nube satura, più antica d’ogni sole, maestosa incede.

si fa largo senza verbo, ma con vertiginoso bailamme di rapinose parole.

Si espande marziale e mi canta di te.

Del tuo ermetico volume, deragliato dall’avvistate soglie,

oltre le frenesie incerte dell’umana corrente.

Questo è il centro, il tuo bruciante sale.

Volto onnipresente, sentimento che sa d’umor corporale.

Che su me, pur senza ragione, non stilla singolare miele.
Suono dell’ambiguo opprime e sospinge nel desiderio d’amare.
Irradia l’anelito incrollabile di te, in ampie doglie sicure.

Grave attesa nel tempo morente e procede nel mio lento svilire.

Appare, scompare, vacilla sensuale la mia onda primordiale.

E tu ti diffondi inesorabile ormai, dalle meccaniche degl’universi,

attraverso i miei intimi versi, senza capire se mi vuoi.


La genesi simbiotico-terrestre di un furtivo amore

Ciò che non sai si sedimenta in te per sempre

e nell’attimo coinvolgente si spalanca.

La carne degl’amanti nutriva la nostra Unione,

sommersa negl’oscuri anfratti di un’antica spelonca.
Fletus abundat.

Avida, lacrimosa costanza.
E gl’atomi come gl’universi

si rifrangono nel tuo abbandono secolare.

Le invitanti voragini del Nulla.

Oltre questa stanza vibra il corpo periferico della tua assenza.
Ciò che sta in alto si promulga,

è come il duale che s’aggroviglia

nelle basse materie della sensualità.

E gl’universi come bolle, come aerostati insondabili,

nell’espansione colmano i vuoti,

gl’ignoti esistenziali,

oscurità immateriali di ogni sconcertante infinità.
Noi sempre uguali.

Sei tu che non vuoi o è la veglia miserabile di questa pochezza che ci allontana,

ma che prima o poi da sè stessa si annienterà?
I tuoi occhi troppo distanti si svelano chiari e pieni di andati amori

nella sordida carnalità.

Nella tenerezza, nei dispiaceri,

si gonfiano saturi di macabre oscenità.

I tuoi occhi nel buio cupo di prematuri tepori

e nei miei brividi di perdita

e di pianeti sterili,

morti senza te,

come il Catasto di neri cadaveri,

sotto le stelle di un empio Aprile che non da tranquillità.
Non sento più il tuo odore ormonale.

Filamenti fisiologici,

getti liquidi,

sapori, vapori sostanziali.

Viscidi feromoni

che mi danno il piacere concreto di te,

la tua amata corporalità.
Nebulose,

ammassi di polveri trascendentali,

dalle galassie turbinanti.

Voci interstellari mi premono,

mi cantano di te.

In me un palpito,

un principio vitale dal Niente,

dopo la percezione gassosa,

rilasciata giornalmente dalla tua nascosta fisicità.
Miliardi di anni della Genesi,

tempi geologici colossali

e sempre i cantici allarmanti dell’Aldilà,

in fondo ai nostri cuori.

Le erezioni nella seducente mortalità.

Rubinia primaria.

Io porto in questa dimensione la nostra storia.

Pangea,

continente primordiale si disgregherà.

Panthalassa,

il Grande Fluido Avvolgente.

L’acqua d’ogni mare che ci lambisce perenne,

la tua nichilistica complicità.

Era la grande insenatura fra Sud e Settentrione,

l’oceano di Tetide,

la voglia ancestrale…

con te pulsare oltre l’Eternità.
Accadimenti ultradirompenti,

gl’esperimenti dentro una prigione…

cataclismi colossali

ci fanno desiderare il nostro odore bestiale.

Le forze del Tempo deflagranti.

Cronos e Vulcano,

il violento temperamento,

il fremente furore.

La dolcezza di un altro amore nei fondali del neo Atlantico,

la medioceanica dorsale.

Ira nel fuoco:

io ti voglio riavere!

La deriva dei continenti nel nostro vizioso mare.
La morsa perentorea del ghiaccio

nei chiodi, nei veli ibernanti del gelo così lontani.

Le calotte polari aumentavano le loro estensioni.
Avranno mai vita i nostri perduti giorni su nuove, convinte porzioni?
Decine di lunghe glaciazioni hanno plasmato questo stanco mondo.

Onde di forgiant’impatti, come rallentati cesellatori.

Ponti glaciali sullo stretto di Bering,

umane migrazioni.

Dal crogiolo di tutti i nostr’impudici desideri,

irreversibile,

il vento del calore,

sulle alte temperature s’agiterà.

L’innalzamento marino ci potrà ancora occultare.

Portami nel corno dove tu sai…

La mia mente strisciante

ridotta a tetra, ad impura lussuria,

per non morire nella tua mancanza,

in miseria e atrocità.
Esodi prevedibili verso nuove colonie,

oltre la cintura zodiacale.

Voglio servirti durante la tua continua operazione.

Non rifiutarmi in questa banalità.
Il nome tuo è ambulante, petulante sciarada

nelle cascate fragorose,

sotto il martellante bailamme delle mie incessanti parole.

E’ rebus delinquente.

Perchè non passi mai di qua?

Tutto si ridurrà un’altra volta in cosmiche ceneri,

ma senza disgregarci mai.

Perversare ovunque,

sempre.

Daccapo noi!