Viaggiare, attraverso gli occhi d’un fanciullo

– Ciao!
Trascino lo stanco sguardo lungo la pagina del libro, sino a incontrare l’origine del saluto.
Una bionda bambina biancovestita mi osserva dal corridoio della carrozza ferroviaria. E’ in piedi alla mia sinistra. I sorridenti occhi celesti oscillano in armonia col serpeggiare convulso del treno.
– Ciao! – rispondo restituendo il suo cortese sorriso.
– Quando arrivo a casa? – domanda.
– Non saprei. Dove abiti?
– Rimini.
– Allora dovresti arrivare a mezzogiorno circa.
Lo sguardo della fanciulla si fa silenzioso e interrogativo. Sciocco che sono, i bambini sono liberi dal giogo dell’orologio.
– Vedi il sole, nascosto dietro la montagna? Quando sarà alto nel cielo, e al posto della montagna vedrai il mare, sarai a casa.
La sua espressione rimane confusa. Ci sono! Proviamo così:
– Se ti diverti, arriverai in pochissimo tempo. Se invece ti annoi, il viaggio sembrerà non finire mai.
– Allora voglio divertirmi! – esclama col volto nuovamente ammorbidito dal sorriso. – Tu che fai per divertirti?
– Leggo un libro.
– Che leggi?
– Un libro che parla del rapporto tra uomo e donna.
Ecco che il suo sguardo torna a smarrirsi. Devo imparare a spiegarmi in modo più semplice.
– Parla di come un uomo e una donna si vogliono bene.
– Come mamma con papà?
– Più o meno, come mamma e papà.
– E serve tutto quel libro per dirlo?
Piccolo cherubino, se soltanto riuscissimo a preservare questo puerile candore che contraddistingue l’età della giovinezza, le nostre vite sarebbero di certo dei romanzi assai più lieti.
– Sara! Torna qui, non importunare il signore! – irrompe una voce femminile da qualche sedile di distanza.
– Non si preoccupi – replico con tono pacato – non mi sta importunando, mi sta insegnando a vivere.
La madre fa spallucce, e scompare nuovamente dietro al suo schienale.
– Quanti anni hai? – domando alla curiosa interlocutrice.
– Così – risponde mostrando quattro dita.
– Ti chiami Sara, giusto?
– Uh uh – replica annuendo.
– Io mi chiamo Michele. Siediti, parliamo un po’.
Ha così inizio uno dei più importanti viaggi della mia vita.


Ebbro di speranza, e di mestizia

– Non lo vedi? Son tutte simili, tutte ugualmente volte a una spasmodica ricerca di un’artificiosa beltà. I miei sensi sono stuprati da tale sovrabbondanza di fascino, i miei ormoni infine si chetano e s’arrendono a tanta omogeneità. Son circondato da incantevoli gusci vuoti.
Come scegliere, dunque? Cosa attrae, infine? Dove si nasconde Amore?
Eccolo lì, Amore. Superbo e magnificente, risplende sul volto privo di trucco, privo di inganno.
E i difetti, quelle macchie concepite dal marketing del sesso, Dio quanto li adoro.
La rughetta che accentua il sorriso, il naso aquilino, la chioma ribelle che non vuole rotture di coglioni dal pettine, il fianco largo e femminile, un chiaroscuro di cellulite. Sono sfumature d’autore, i colpi di pennello dell’artista che imprime il suo stile e rende unica la sua opera.
Che bello, poi, scoprire con inattesa meraviglia un corpo avido di piacere, che si fa strumento di percezione della realtà, e non altare di cristallo, inerte e incolore. Libero da dogmi, scevro da indottrinamenti. Curioso, curioso e rapace di sensazioni, che esplora con irriverenza piaceri proibiti e ne gode sdegnoso.
E il cervello. Quel vivace ingegno che col puerile cuore indugia in un sempiterno dialogo. Il dialogo di psiche, un dialogo che si mesce al corpo e approssima al divino. Il cervello è la reale sorgente del piacere. Il cervello che fantastica ispirato, e conferisce forma e sostanza ai selvatici desideri del cuore.
E litigare, poi. Litigare per i suoi difetti, e per i miei, per diverse prospettive che si scontrano seguendo medesimi principi etici. E s’anima la pugna, divampano i due intelletti. E si combatte strenuamente, s’accende la favella, ci si urla contro, ci si stringe le braccia con vigore, si piange. Si piange, e si fa all’amore, temprati da tanto ardore, saziati dalla battaglia, con in grembo la sensazione d’aver sfidato un dio, e l’orgoglio d’averlo affrontato con coraggio e lealtà, rispettando il cuore dell’altro.
– E quante donne così hai incontrato nel corso della tua vita?
– Molte. Ne incontro una tutte le volte che scrivo.
– Dunque non ne hai realmente incontrate, vero? In carne ed ossa intendo.
– Lo sai, ogni penna ha la sua musa. Offrimi un whisky, per favore. Se mi passa la sbronza divento melanconico.


Conversando nel silenzio

– Diamine che dolore. Non mi aspettavo che anche lei sapesse ferire con chirurgica precisione, e lacerare tanto a fondo i sentimenti di chi le vuol bene.
– Non curartene, e lasciami gestire anche questa, che ormai ci son abituato.
– Grazie Cuore, ma inizio ad essere stanco. Trent’anni di ferite si fanno sentire, e nel silenzio della notte spesso le cicatrici dolgono e non mi lasciano dormire.
– Ti lamenti di trent’anni di ferite, ma bada ch’altrettanti ne vivrai. Abbi fiducia nella mia resilienza. E’ questa la mia funzione. Iddio mi concepì proprio perché fossi in grado di lacerarmi, e risanarmi nel tempo. E’ l’inedia emotiva che pavento, non un dolore ben arrecato. Inoltre, sai che sono ben più robusto di molti altri miei simili. Se sono stato assegnato al tuo petto, un motivo ci sarà. Nulla accade per caso.
– Capisco, ma…
– Nessun ma. Ora fai silenzio, altrimenti non riesco a metabolizzare il veleno che ti ha iniettato quella donna. Pensa piuttosto ai progetti che stai realizzando, e a quanta soddisfazione ti rendono. Lavora con passione, ama quel che fai, e faciliterai anche la mia guarigione, oltre ad aiutare te stesso. Dico bene Cervello?
– Una volta tanto sono d’accordo con la spugna sanguinante. Da buon procrastinatore, sei nuovamente in ritardo sulla tabella di marcia, e le scadenze di consegna sono ormai prossime. Dimentica donne e amori, ché stanotte ti do un altro motivo per non dormire. Guarda quante cose devi fare entro domani mattina, e se non le porti tutte a termine, giuro che darò origine a tanti di quei sensi di colpa da farti piangere come un neonato. Got it, emo-boy?
– Ok ok, ho capito. Concedimi giusto qualche minuto ancora, per smarrirmi un poco in questo vespro crisoelefantino, per lenire la stanchezza sfiorando con lo sguardo la vallata purpurea, per…
– Pochi cazzi, muovi il culo e torna in città.
– Riesci ad essere un gran bastardo quando vuoi, Cervello, lo sai vero?
– E’ perché ti voglio bene. Ora andiamo, saluta la montagna, fai un bel sorriso, e rilascerò delle endorfine nel sangue.
Sorrido, e la vallata sembra sorridermi di rimando.