Adriana Manente - Poesie e Racconti

A TE

A te, che sai,

voglio offrire questa mia impotenza,

distinguere  quella chiarezza che non c’è,

accettarla è ben difficile,

e capirla tra te e te lo è ancor di più.

 

A te,

che desideri orgogliosamente, passionalmente,

possessivamente,

voglio offrire questa mia indecisione,

prenderla con la tua mano è stato semplice,

non osi stringerla per sempre,

bruciarti per così poco non né varrebbe la pena.

 

A te,

forse è meglio non dare ,

per poi ritrovarsi a non avere nulla,

e per non essere quello che uno

ha desiderato e creduto di essere

in un minuto di vita.


ANIME

Nella vita che pare già autunnale

come a te piace,

siamo anime sperse.

Ci disperdiamo,

Ci rincorriamo,

Ci rincontriamo,

ed è sempre un saluto nuovo,

indelebile in questo nostro tempo.

Rinnoviamo il nostro sentimento che è sorriso,

in questi angoli bui dell’esistenza nostra


LA VIE EN ROSE

Nei colori d’arcobaleno spumeggianti di una notte,

accompagno le note di una canzone, 

canto la vie en rose.

La mia voce è tremula.

Ascolto parole di auto e moto d’altri tempi,

aloni sfumati di altre vite tanto amate, nostalgiche,

dove non si distingue più l’oggi, il domani ed il ieri,

ed è un solo struggersi l’anima perché non sarà più così.

Ed io canto la vie en rose.

Io sono perduta a cercare il suono delle tue parole,

rugiada fresca e scintillante,

per i miei desideri.

Ed io canto la vie en rose.

Un tocco sfumato è per me brivido,

forse son ancor  viva?

Ed io canto la vie en rose.


Una Chimera     

Occhi di cerbiatta tu hai,

cristallino è il tuo sguardo,

sei sinuoso fuscello delicato,

nello stravolto fiore della vita.

Al vento regali sorrisi sinceri,

mielosi,  zuccherini come meringhe,

e la tua pelle profuma di pesca e di viola.

A volte amazzone tu sei,

forte ed invincibile, una guerriera.

A volte leggiadra farfalla, visione alchemica.

Le tue ali dipinte come una madreperla cangiante,

ritmano un flusso melodico,

note di un tempo,

e rincorrono nella volta celeste 

il tuo piccolo sogno chimerico,

stella d’argento che oscurarsi mai potrà,

e brillerà anche nella notte più cupa.

Rifioriranno anemoni nel giardino dei tuoi desideri, 

ed il loro vento di bellezza è un’instancabile speranza

ed un’attesa per te.


FRAMMENTI

Una settimana è già trascorsa,

e non sono sconsolata.

Le tue parole d’amor  concise e vane

son soffi di vento

che fuggono senza spavento.

Ancor  leggerezza dell’esser tuo

Che non potrà esser mio.

Non vale possedere,

ma rispettare

fa rima con l’amare.

Prigioniera stregata ancor dello spirito tuo,

così da preservar il magico incanto

di un ritorno fuggevole

che è solo illusion!


I GIRASOLI

Correvo da te con l’ardore nel cuore,

il sole si rifletteva nei miei occhi,

nuvole di fiori accompagnavano i miei andirivieni.

I girasoli ormai spenti all’imbrunire 

emanavano luce ai miei pensieri.

Abbiamo percorso una via breve

ed un vuoto si è aperto davanti a me

sono sprofondata e tu non mi hai aiutata.

Mi hai allontanata, sprecata un’altra volta,

dimenticata, cosa è valso tutto ciò?

Erano spiriti maligni  profondi. 

Hanno giocato con le nostre albe 

colme di speranza e di sogni.


PENSACI

Ti aggiri solenne,

con languidi occhi,

in queste dimensioni di vuoto

e senza giudicare e sentenziare stai lì,

a fissare un punto infinito.

A te mi ritrovo di fronte

per chiederti se credi oppure no,

in questa terra troppo nuda, e sconvolta,

in questo cielo troppo vasto,

in un amore troppo breve.

Pensaci ma senza perderti,

potrebbe essere importante per me.

Giorni instancabili si sono rincorsi, succeduti,

e io guardo lo scorrere della pianura da questo treno,

non scorgo le linee pure e impercettibili

di questi lunghi filari di alberi,

di questi oggetti che sfuggono e che fermare non posso.

Ritornare per credere,

in quello che sento fuggir via, ancora una volta,

per ritrovare il nulla dell’esistenza.

Sconcertata e sgomenta 

aspetto quello che so

ma che credere non mi fa più.

Perciò rimani lì dove sei

ed in quel tuo silenzio fai affogare tutto di me.


IL TRENO

 

Durante una serata mentre sto passeggiando nell’umido della prima serata di un autunno ormai finito, mi accorgo dello sfrecciare di un treno che fugge dalla mia città verso la capitale, e il suo rumore è ritmo famigliare per le mie orecchie.

Così mi ritrovo scaraventata a pensare a un tempo dove ero molto giovane e a un tipo di treno che oramai è definitivamente scomparso.

Ora i treni corrono veloci e sibilano sulle rotaie, sono colorati, magri, affusolati, quasi silenziosi aerodinamici fendono l’aria e hanno qualche sussulto per l’alta velocità, e non faccio  in tempo a contare i pali della luce perché si susseguono senza sosta come soldatini soli e saldi sull’attenti.

.Gli scompartimenti non esistono più.  Alle volte mi alzo per sgranchirmi le gambe, e per andare a prendere un caffè, un po’ traballando, mi avvio tra quei corridoi con i sedili grigi, dove ogni persona pensa per sé: chi ha un compiuter, chi un libro, chi è addormentato. 

 Ho  quasi soggezione, timidezza, di questi budelli di passaggio, così freddi, senz’ anima. Ma forse sono io che ho la mente rivolta ad altri tempi e non riesco ad aggiornarmi….

 Questi treni hanno perduto quei quadri gialli un po’ anneriti dal fumo e dallo smog che erano posti in bella mostra all’inizio e alla fine del vagone e m’indicavano la città di partenza e di arrivo: Milano, Torino, Venezia, Parigi, Cannes e tante altre e ogni volta immaginavo quei centri abitati e dove ero stata, e quali mancavano alla mia lista. 

Partivo e tornavo, felice di essere in quella stazione e di essere su quel treno che mi avrebbe condotto o dai miei nonni, o in qualche località a me sconosciuta. 

Così mi accomodavo in quello scompartimento un po’ puzzolente ma con aroma di treno, dove erano sedute sempre sei persone, ed era una situazione intima, dove la parola con gli altri diventava più fluida e confortevole, che aiutava e ci teneva accomunati per quell’itinerario di viaggio.

Mi assopivo in quelle poltrone ancora eleganti, di velluto rosso, accoglienti e appoggiando la testa mi facevo cullare da quel ritmo cadenzato dove mi divertivo a comporre ritmi musicali che mi tenevano compagnia e mi riconciliavano di fronte alla vita, o assurde parole che legate potevano creare uno strano ritornello. 

Alle volte sognavo un giro attorno al mondo in treno e questa passione me l’aveva trasmessa mio padre che ci lavorava prima, così detto, capo brigadiere delle carrozze ristoranti, poi come conduttore della wagon-lit. 

Me lo ricordo con la sua divisa marrone i bottoni dorati, il suo cappello con la visiera rigida, con il suo sorriso ammiccante quando riceveva persone che viaggiavano in carrozza letto,era molto elegante, distinto e bello.

Un passo più indietro e mi ritrovo bambina. La casa dei miei genitori era situata di fronte ad una

stazione e allora c’erano le locomotive tutte nere e sbuffavano fumo bianco. 

Si usava il carbone e i macchinisti dovevano spalarlo all’interno della caldaia per farla funzionare;  la fuliggine arrivava sino sul nostro balcone. Alle volte io ero lì quando sapevo che sarebbe transitato mio padre. Lo vedevo che si sbracciava per salutarmi, e la concomitanza treno-padre mi rendeva molto felice.

Ricordo di una sera che mio padre sarebbe passato. C’era l’aria frizzante, fresca, era fine estate, ed io in compagnia di mio fratello più piccolo c’eravamo appostati  su uno sgabello per vederlo. Mia madre ci preparò dei toast giganti,croccanti, una vera leccornia per noi a quel tempo, e ci mettemmo ad aspettarlo come ad uno spettacolo.

 I treni poiché partivano dalla stazione avevano un’andatura molto lenta per cui noi avevamo tutto il tempo per avvistare nostro padre e considerando l’orario potevamo dedurre se era partito in orario. A un certo punto, eccolo  il nostro treno, che ansimando e sbuffando si faceva strada nel buio e da un finestrino ben illuminato vedemmo nostro padre con un drappo bianco enorme che ci salutava, sapendo che eravamo lì non aspettando altro che di contraccambiar

Così ci sbracciammo e gridammo forte, sicuri che ci sentisse, buon viaggio papà, ti spettiamo…

Questo è quanto ricordo di un treno.


NONNA CATERINA

Ero bambina, ballavo e dicevi ,” Se vuoi ballare,punta e tacco, tacco e punta,  e le braccia in alto come una corolla di un fiore!”

Dolce donna, mi sai dare ancor oggi quello che ho perso, e mentre racconti la mia infanzia, mi accorgo che i tuoi anni non sono poi così tanti come dicono.

Ritrovarmi con te, nonna da fiaba, in questa casa dove i sapori e gli odori non sono perduti. Qui tutto si è fermato come d’incanto.

Racconti della tua vita, piena di sacrifici, dove torcevi le lenzuola a mano, perché allora non usava la lavabiancheria, e dei tuoi dolori, con una guerra, che ti ha lasciato un segno indelebile, per me è sempre cosa nuova.

Così mi tornano alla mente, i miei bagni nella tinozza in campagna, il latte caldo in recipienti di latta, l’odore della stalla, i piccoli conigli morbidi,  le uova tiepide nelle mie mani, e le lucciole che mi apparivano come una magia incomprensibile ai miei occhi. 

Tu mi fai ricordare di essere stata in quel mondo semplice che ho sempre amato .

Mi dici che sono sempre la stessa, quasi una Madonnina, anche se sono donna matura ormai.

Vedi in me quello che nessuno ha mai capito, così ti ringrazio, per avermi compreso, per aver confermato con le tue parole quello che io sono veramente.

Ti voglio bene, più di quello , che tu immagini.


PiERINO E LA NUVOLA

 

C’era una volta un bambino che si chiamava Pierino ed abitava con i suoi genitori in una bella casetta rosa, con un bel prato, e alcuni alberi che con la loro ombra rinfrescavano d’estate  tutta la sua famiglia.

Pierino aveva anche un bel cane bianco tutto peloso che si chiamava Toby il quale era sempre tanto affettuoso con lui specialmente quando lo accarezzava e quando giocavano  e correvano assieme.

Pierino però era un bambino che non mangiava molto specialmente le verdure. La mamma ed il suo babbo lo rimproveravano spesso, per questo, e lui disubbidendo fuggiva e correva nella sua stanza e si nascondeva sotto il letto o nell’armadio e si metteva a piangere, perché si sentiva incompreso.

Una volta la mamma gli disse:” Pierino se continui così a non mangiare quello che ti cucino con tanto amore, vedrai che diventerai talmente leggero che dovrò legarti come un aquilone.”.

Così passavano i giorni e Pierino non cresceva e dimagriva.

Un giorno uscì dalla sua casa mentre imperversava un terribile temporale con fulmini e tuoni accompagnati da tantissimo e fortissimo vento.

Una violenta folata d’ aria lo trascinò verso il cielo e lo fece volare su in alto,

e lui spaventato pensò alle parole della mamma e si mise a piangere pensando al guaio che aveva combinato.

Avrebbe voluto tornare a casa ma volgendo lo sguardo verso la terra non vide più la sua casetta rosa, i suoi genitori, il suo prato, i suoi alberi e il suo Toby.

Ruotava nell’aria, facendo capriole, e si sentì disperato. 

Ad un certo punto senti una voce che lo chiamava:” Pierinoooo, Pierinooo, perché piangi?” e Pierino vide una grande nuvola bianca come la panna e capì che era lei che gli stava parlando.  Pierino raccontò tutta la storia, a questo strana ed imprevista amica e questa gli rispose:” Mi dispiace che ti sia accaduto questo, lo vedi cosa capita se non si mangia?” e Pierino molto triste rispose:” Si cara nuvola, sono rammaricato, e ti prometto che se tornerò a casa farò il bravo bambino ed ubbidirò ai miei genitori. Ma come posso tornare? Sono qui in mezzo al cielo e non vedo soluzione al mio problema. E pianse ancora di più.”

La nuvola impietosita dal dispiacere di Pierino rispose:” Non disperare,Pieri_

no, ti voglio aiutare. Il vento mi ha lasciato qui e se ne è fuggito in altri paesi, ha smesso di soffiare, e io sono incapace di muovermi. Dovrei andare in un luogo dove è da tanto che non piove, ma è lontano. Da lì potrai scendere sulla terra e tornare dai tuoi cari. Tu potresti aiutarmi?”. Pierino con gli occhi sbalorditi non riusciva a capire come avrebbe fatto, si asciugò gli occhi, si soffiò il naso e pensò il da farsi; per lui sarebbe stata l’occasione giusta sia di aiutare la nuvola , sia di aiutare quel popolo con le terre aride e sia perché sarebbe riuscito a tornare sulla terra, e rispose:” Si cara nuvola, sono pronto a collaborare con te, ma dimmi come dovrei fare.”  

La nuvola prese due grandi bretelle e le attaccò alle spalle di Pierino. E gli disse:” Ora camminerai dove ti dirò e tra qualche giorno arriveremo a destinazione”.

Pierino così incominciò a trasportare la grande nuvola, ma com’era pesante!!! D’altronde era piena d’acqua!!!

Ogni tanto si fermava, tutto sudato, si asciugava la fronte, ansimava. Alle volte considerava che forse non sarebbe riuscito a terminare quel viaggio. Ma la voglia ed il desiderio di tornare a casa era talmente forte che si dimenticava di essere stanco, e di avere fame e sete, e quando fosse ritornato a casa avrebbe mangiato tutte  quelle leccornie cucinate dalla sua mamma.

Cammina e cammina, la nuvola istruiva Pierino, e quale percorso seguire.

Attraversarono monti altissimi innevati, laghi immensi e mari turchini.

Ad un certo punto arrivarono in un deserto infinito con le sue dune dorate di sabbia,e lì la nuvola gli disse:” Pierino siamo arrivati, Sei stato molto bravo ad avermi aiutato, se non ci fossi stato tu, non so proprio come avrei fatto ad arrivare sino a qui, in questo territorio dove regna la siccità, e per questo ti ringrazio tantissimo. Penso che tu abbia compreso che i tuoi genitori volevano per  te, solo il tuo bene, per cui dovrai essere più obbediente e ascoltare la tua mamma. Ora sgancia le bretelle dalle tue spalle e nel momento che pioverà ti aggrapperai ad una goccia che farò apposta per te e scenderai sulla terra”. 

Così Pierino tutto sorridente salutò ringraziò ed abbracciò affettuosamente la nuvola, si attaccò ad una enorme goccia e lentamente scese sulla terra. Mentre si avvicinava a questa, vide che c’era tanta gente, vestita con abiti coloratissimi, e con le braccia alzate cantavano e ballavano con tamburi e zufoli, ed erano felici.

Nel momento che mise i piedi sulla terraferma, ebbe quasi un capogiro dalla forte emozione, ma si riprese subito. Un uomo altissimo con uno scettro aureo in mano, si inchinò di fronte a lui e con dei gesti gli fece capire che era il benvenuto e che era per loro un salvatore. Così tutta la gente s’inginocchiò di fronte a lui.

lo vestirono con fili argentati, lo ricoprirono di gioielli e lo issarono su un cavallo bianco e lo portarono al loro villaggio. Lui, meravigliato, non riusciva a proferire parola, tutto gli sembrava un sogno.

Al villaggio lo festeggiarono danzarono per lui, offrendogli da bere e da mangiare, e dato che era stato a digiuno per un lasso di tempo un po’ lungo, divorò tutto, qualsiasi pietanza o verdura, e non rifiutò nulla.

Così passarono giorni e mesi e Pierino si adattò alla vita di quegli uomini blu del deserto.

Per Pierino questa avventura era stata di lezione ,era felice di essere tornato sulla terra ma aveva tanta nostalgia dei suoi genitori, del suo cane e della sua casetta rosa e così si rattristò.

Il capo tribù gli chiese un giorno :” Cos’hai Pierino, perché non sei gioioso? Qui hai tutto quello che puoi desiderare!”: Pierino gli rispose:”Mi manca tanto la mamma, ed il babbo, e voglio tornare a casa mia!”:

Il capo tribù che conosceva bene i segreti del cuore, comprese, e gli disse:”Pierino tu ci hai aiutato in un momento di grande difficoltà ed io e la mia gente siamo in debito con te. Per cui ti accompagnerò dai tuoi genitori e porterò loro alcuni doni che tu ti sei meritato”.

Il giorno dopo organizzarono una lunga carovana con tanti cammelli e tanti doni e Pierino sul suo cavallo bianco ed il capo tribù con un altro cavallo, ma con il manto nero lucidissimo, s’incamminarono verso la meta desiderata.

Il viaggio fu lungo,marciarono per giorni e giorni,  fino a quando una mattina Pierino vide da lontano la sua casetta rosa e cominciò ad emozionarsi. 

La gente di quel suo paesino andava incontro alla carovana e videro Pierino quasi irriconoscibile perché cresciuto, e sapevano quanto i genitori avessero sofferto e si fossero disperati da quel giorno della scomparsa del loro figlio.

Tutta questa onda di gente si andava muovendo verso la casetta rosa, e da lontano i suoi genitori erano usciti sulla via e non credendo ai loro occhi incominciarono a piangere dalla felicità e salutandolo incominciarono a correre incontro a lui.

Pierino fermò la carovana e scese dal suo cavallo e anche lui cominciò a dirigersi come volando verso i suoi genitori e arrivati vicini si slanciarono in un abbraccio irruente e fervido, sorridendo felici e piangendo non riuscendo a capire più nulla.

Anche il capo Tribu’ degli uomini blu del deserto, intenerito dalla emozionante scena dell’incontro tra Pierino e la sua famiglia,  scese dal suo cavallo e si diresse verso di loro.

Raccontò la storia del loro figlio e di quanto fosse stato importante per loro, e che era un ragazzo veramente speciale.

Pierino si scusò con i suoi genitori e promise per il futuro di ascoltare i loro consigli, e per farsi perdonare avrebbe regalato loro tanti doni splendidi da farli stare nell’agiatezza. Disse:” Mi è mancato tanto il vostro amore,e  la vostra presenza, e nella solitudine provata, ho sognato tanto questo momento, e non c’è ricchezza che valga e che possa sostituire questi valori.”

Così Pierino salutò e ringraziò il capo Tribù e ritornò con i suoi cari nella sua casetta rosa, ed il suo Toby che non smetteva più di saltare davanti a lui per la gioia e la contentezza del suo ritorno.