Adriano Taboga - Poesie

Quota 100

Volgi uno sguardo ardito al tempo
e medita qual senso dar ad un traguardo tanto ambito che a pochi arride nella vita.
Se pure il corpo tuo, aduso alla fatica,
si è fatto vizzo e un poco spento,
sbiancati la coscienza prima che scocchi l’ultimo tocco dell’agognato abento.
Se questo non è dato,
perché nel bene hai sempre navigato,
dispensa quel che ti rimane
e nell’empireo avrai la gloria del beato.
Se della fede per tua albogia e sorte ti fai gabbo, subissati nell’ego tuo infinito
approdo d’un illusorio rito.

Note

*gabbo: beffa
*albogia: alterigia/boria
*vizzo: che ha perso la freschezza subissare: sprofondare
*abento: riposo

 


 

Preludi d’autunno

Non cela pudor l’amata vite,
si come giovin pulzella al dolce effluvio di Elios si dona senza veli.

Della sua verde foglia si è fatta quasi spoglia,
e mostra ai caldi raggi settembrini i suoi turgidi e coloriti seni,
con la complicità del contadino che brama aver un profumato mosto
ad alto grado zuccherino.

Mentre scemando vanno, negli sfrondati filari, gli allegri canti vendemmiali.
Vieppiù appaion in lunga filata gli ossuti e nudi tralci,
un poco curvi, come appisolati.

Tutta la vigna si fa silente e cheta, or che il riposo è la sua più ambita meta.

 


 

Il temporale

in sul finir d’un giorno caldo e afoso,
ch’avea sfoggiato l’abito terso e un volto luminoso,

l’azzurro cielo poco a poco s’incupisce, cambia tratto,
un refolo leggero fa tremolar l’argentea chioma dell’albogatto.

Bigie gravide nubi che tosto si fan nere,
celandosi l’un l’altra disegnano nell’aere vaghe sembianze austere.

Quasi sospinta da una folata provvida di tiepida tramontana,
s’odon già i sordi brontolii di un’eco lontana.

E come in un rapido crescendo rossiniano, un turbinio di folgori infocate,
precedono violente cannonate.

Si forte e prope  fu lo schianto che il guscio della volta parve infranto,
dando fluenza ad un rumoreggiante pianto.

E l’alberi bramosi, al suo cader, piegan le fronde, con un inchino di ringraziamento, perché quel pianto è vita e non tormento.

 

Note

* prope: vicino voce dantesca
*albogatto: gattice (varietà di pioppo)

 


 

D’infanzia 1942

costretti a fuggire precipitosamente dall’Etiopia (harar) dove la ns. famiglia aveva
costruito una fiorente azienda agricola, persa la guerra, papà prigioniero degli inglesi per sei lunghi anni, unico riparo la casa dei nonni a Loano. In questi brevi versi i lontani ricordi:

O dolce aprica terra che ancor infante m’accogliesti in grembo,
mentre dal focolare in umile dimora ebbi conforto e desco,
ben mi sovviene l’ombroso viale che ad essa adito dava e del verzier facea cornice,
e ancor mi inebria l’intenso alore che dalle virenti andane promanavan bianchi* boccioli lucenti, come se l’aere prendesse tinta da magiche note olenti.

E pria che l’acciduo sole, con riverente inchino, oltre i monti dileguasse, s’udivan nel silenzio della campagna l’acuto guaito dei veltri*alla catena , fra le coltri ascoso, per me finiva il giorno dopo una parca cena.

Così incombea la notte foriera di paura , echi di guerra giungean fra le mura.

 

Note

*aprica: luminosa soleggiata
*verziere: striscia di terra adibita ad orto e giardino
*alore: profumo
*virenti andane: striscia di terra fra due file di alberi verdeggianti
*bianchi boccioli: zagare
*olente: odoroso
*acciduo:: che tramonta
*veltri: cani da caccia

 


 

Monte Carmo

S’erge sul dorso curvo la tua cima glabra e pietrosa,
d’ando sembianza d’un corpo che riposa,
poscia che giunse la stanchezza nell’opra di guadagnar la tua maggiore altezza.

Culmina sulla vetta l’imperiosa croce che al credente del Divin porta la voce,
e, resta per ogni camminator ambita meta, quando nel ciel non v’è burrasca e l’aria è cheta.

In ver chi ascende oggi al tuo cospetto non è più per bisogno ma per diletto.

Vengon da rimembrar i tempi andati quando i tuoi verdi pascoli eran vieppiu contesi
e ben curati.

Quanto sudor venne versato per cogliere quel prezioso, biondo, fieno profumato.

Caro ricordo, il fruscio lento e ritmato, della falce fienaia che accarezzava i prati.

Non riale più il fido mulo i tuoi pendii, nel suo inceder lento e sicuro a ritrovar,
pur senza guida e senza indugio, il suo angusto e sommo rifugio.

 

Note

*Glabra: un tempo il monte era denominato monte calvo
*Sembianza: vista da Loano
*altezza: vetta più alta della prov. (1389mt.)
*sommo rifugio: oltre al rifugio dei fienaioli ve ne era uno più modesto per i muli

 


 

JUDAEORUM VICUS
(in memoria dell’olocausto)

Chi lo avesse ormai scordato in quell’anno si lontano a venezia prese fiato,
questo nome tanto odiato.

La cagion fu un’isoletta che era sito comandato per colui ch’era segnato.

Il ricordo è tormentoso ma, in quell’angolo inglorioso, mesto regn di sacrificio
si ergeva un opificio che fondeva il minerale e, per via di un certo assetto che
convien non rimembrare, il suo nom divenne getto,
se in “dialeto” lo ripeti questo nom si muta in gheto.

E il prosieguo non fu men lieto, quel tributo tanto bieco ch’è dovuto per star la,
non son storie è verità, si chiamava gazagà.

Sono tempi ormai lontani, son ricordi un po sbiaditi richiamati in pochi riti,
ma non nuoce alla memoria ripassar anche la storia.

 


 

Boschi perduti

Perfide menti, perfide mani, quale cagion vi muove,
quale perfido scopo, quale perverso gioco si cela nell’opra vostra,
cui prodest il prima con il dopo.

Grande sconforto e un gemito nel cuore genera quel bagliore,
che s’alza sinistro in sfida al cielo terso e, al tempo stesso inoperoso.

Addio gaie valli verdi e rigogliose, ora silenti e polverose.

Saranno forse nonni i figli d’oggi, nella speme che la natura vinca la tenzone,
prima che il bosco risorga a gran padrone.

D’accomunarti al male non ti duole, innominato attore,
che senza tema oltraggi la natura, col far dell’empio che oltraggia il creatore.

Vesti la primavera, del suo profumo sazia la ragione,
volgi lo sguardo a un nuovo giorno, gettando l’immondizia che hai nel cuore.

 


Stupore e mistero

Auso intento ti move se della propria o altrui ragione cerchi il verso,
e non sei memore che la ratio alberga nell’intimo assieme al sentimento.

Così per smania ardente di penetrare nel buio della mente,
nobili pensatori ebbero lustro e vanto, pur dimostrando men di tanto.

E non è dato trovar concerto * nel proclamato e tanto variegato verbo,
che da millenni profonde eloquio ornato, sterile blasto di un fumoso afflato

Si come é vacuo e astratto immaginar pittore, atto a dar colore e tratto, alla ragione
quanto all’intelletto, alla coscienza come al sentimento,
così devesi intender che pur la cognizione ha la sua soglia, oltre è l’essenza,
che è per l’Altrui vera potenza.

 

Note

Auso: ardito
Concerto: condivisione
Verbo :voce
Blasto: embrione
Afflato. ispirazione

 


 

VERZI NOSTRUM

Dolce declivio che porti al monte stretto ai fianchi da verdi pendii,
or soggiacenti a novelli oblii, un tempo ridenti e fioriti,
ed oggi ai fianchi gravemente feriti.

Dai ricchi seni della tua valle, celati a stento da fronde ombrose, sgorgan l’acque
fresche e copiose, ricchezza unica di questa terra, che han dato moto, nei tempi passati
a grevi mulini, mai senza fiato.

Non frenan più l’acque, le grandi pale, che or scorron veloci all’avido mare,
ma restano i segni, nelle contrade, di antichi mestieri del vecchio contado.

Dismessi i frantoi, giubilati i mugnai,dispersi gli stolli* dei grigi pagliai,
vuotate le stalle, ridotte le aie, non si celebran storie di fasti lontani, qui solo il
lavoro, fu gloria per umili mani.

Ma non muta il ricordo dei riti paesani e non si immemorano le ricorrenze, sacre e profane.

 

Note

Stolli *: pali di sostegno dei pagliai

 


 

Quiddità

La vita prende la vita dà, in un tripudio di rivalità, ci abbaglia l’effimero ci sfugge il supremo, secondo la ratio del viver terreno.
Il passo del divenir è tanto accelerato, talchè il presente concepito è già passato, ed oscula il futuro all’uopo dimoiato.
Nell’attimo fuggente, grammaticalmente coniugato,
scorre la vita, muore il futuro, nasce il presente,
muore il presente, nasce il passato, che rimarrà nel tempo immacolato.
L’umana appetizione non arretra, bramosa di conquidere un’agognata meta.
Confliggono a singolar tenzone l’istinto e la ragione, così che può continger ogni cosa,
vergendo non sai se al bene o al male.

 

Note

Quiddità: relativo all’essenza, essenziale
Vergere: tendere verso un lato
Dimoiato: sciolto
Oscula: bacia
All’uopo: all’occorrenza
Immacolato: intatto, incontaminato
Appetizione: tendenza a raggiungere i propri fini
Conquidere: conquistare
Contigere: succedere