Fallen
È quando il mondo cade
che tutto,
d’improvviso,
ti parla:
inseguire ritagli,
manciate di tempo,
continui desideri
rivestiti di insane
ma necessarie aspettative,
forme plasmate
pronte a dire al nostro passo
ciò che siamo
nella realtà di questo spazio
calato di fronte al nostro sguardo:
niente più
che una fulgida illusione
dettata dallo scorrere
imperturbabile dell’esistenza.
Portami a casa
Portami a casa notte,
imperturbabile notte.
Tu sola ti ostini
a dare risalto a questo fuoco
che sotto oscure e stordite ceneri,
ancor vivo e tenace,
avidamente si nutre dell’aria
che tutto intorno,
al tuo venerato cospetto,
si nasconde, furba,
ma pur grida e gioca!
E insieme a nuove stelle,
testé comparse al limitare
del vasto orizzonte conosciuto,
fa danzare, vibranti,
le ultime gocce di pioggia,
che a guisa d’ali di farfalla
si prendono giuoco della terra,
Lei, tenera madre sì divertita
dal nutrimento di quel tocco divino
animato d’incredibile dolcezza.
Così, immutato e cangiante,
in un continuo movimento
che sempre torna per cercare
e riconoscere la sua origine,
io rimango ancora un po’
nel tuo abbraccio, notte,
e piano mi riprendo addosso
il colore di questo giorno che,
nuovo, già bussa e non s’arrende,
Lui, teatro di un fuoco
finalmente libero sopra la cenere,
spazzata via dalla gioia
di un’aria fresca
capace di creare un solco
lungo la terra che porterà
nuova acqua in questo mio mare.
Strani insieme
Orsù! Coraggio!
Non tiratevi indietro,
demoni dannati,
Voi che a tutti i costi
vorreste trascinare la mia anima
lungo lo sconsacrato oblio
emanato dal vostro amato Lete.
Se non potrò mai più
ammirare la sua giovane
e passionale bellezza,
prendete pure i miei occhi
e gettateli nel fuoco fatuo
di quei sedicenti maghi d’Oriente
che si divertono a giocare il futuro
di quattro miseri stolti.
Se non potrò mai più
sfiorare piano e sentir vibrare
il suo bellissimo corpo tentatore,
prendete pure le mie mani
e lanciatele nella terra
di quegli antichi popoli d’Occidente
affinché le usino per scacciare
i loro più temibili nemici.
Se non potrò mai più
correre come un bimbo a perdi fiato
e cercare la sua essenza nel vuoto,
fate a brandelli le mie gambe
e immergete ogni singolo pezzo
nei gelidi mari dell’estremo nord
dove il mondo apparente si ferma
ma la vita s’agita dentro all’abisso.
Se non potrò mai più
pensare anche solo per un attimo
ad ogni suo premuroso gesto,
privatemi di questo mio cervello
e portatelo tra i deserti del sud
affinché neri avvoltoi senza pudore
se ne possano avidamente saziare
senza pietà alcuna.
Ma se anche io,
alla fine di si funesta battaglia,
non potessi più guardare
i suoi meravigliosi occhi,
mentre le mie mani delicate
sfiorano la sua pelle color del sole
nell’attimo in cui il corpo tutto
tramuta in puro desiderio
gli ardenti spasmi della mia mente,
dannati stolti,
dinnanzi a voi
avrò comunque vinto,
perché il mio cuore senza paura
difenderà con tenacia quell’Amore
che in esso si muove e scalpita,
quell’Amore che voi mai
avrete l’ardire di capire o cogliere,
quell’Amore che tutto trasforma
e urla le nostre esistenze
in un solo battito di vita eterna.
Non ho più niente
Tempesta,
racchiusa in un bicchiere,
lassù,
in un piccolo angolo
di questa vuota stanza.
La osservo muto
mentre tenta di scaraventarsi
senza pace
in ogni angolo, parete, anfratto.
Ma niente in fondo si agita
nei miei sensi,
tale la consapevolezza
di una ennesima onda
che morta s’infrange
al limitare del mio mare.
Così la parola più non adorna
la cornice di silenzi del mio giorno
che lento si spegne
ed io altro non chiedo
se non di sentire,
almeno una volta,
il caldo rumore
di questa tempesta.
Tempo curvo
“Maestro la trovo insolitamente pensieroso quest’oggi.”
“Oh, beh, ragazzo, dici bene! È da questa mattina, appena sveglio che mi gira per la testa un pensiero alquanto….strano”
“Se posso, di cosa si tratta?”
“Mah, ha a che fare con la questione del tempo…. chissà magari mi sto troppo affliggendo intorno alla teoria delle stringhe…“
“Vada avanti. Sono curioso”
“Allora…tutti noi siamo soliti scandire il nostro tempo in senso… alquanto…lineare. È normale, esiste un prima, un adesso e un dopo. E siccome spazio e tempo sono interconnessi sin dal primo millisecondo dopo il big bang o presunto tale … beh viene naturale, per la mente dimensionale umana, suddividere ogni esperienza di vita in un qui e quando che abbiamo formalmente identificato come eventi già accaduti nel passato – eventi che si manifestano nel presente – o eventi che si presuppone possano avvenire nel futuro…secondo un libero arbitrio”
“Una sorta di visione alquanto semplicistica della relatività ristretta, in un certo senso, se posso permettermi, maestro…”
“Si si ma ora arrivo al punto della questione. Prova a pensare: e se questa linearità, in fondo, non esistesse affatto?”
“Mmmh…”
“Se prendiamo il principio del tempo minimo di Fermat su un piano filosofico…”
“Ovvero – Di tutti i possibili cammini che un raggio di luce può percorrere per andare da un punto a un altro, esso segue il cammino che richiede il tempo più breve…”
“Si proprio quello…anche se a mio parere sarebbe più corretto affermare che la luce segue sempre un percorso estremo, un percorso cioè che minimizza il tempo di percorrenza o che lo massimizza. Ad ogni buon conto, dicevo, se consideriamo tale principio come variazionale in senso filosofico, deduciamo che il concetto di percorso più rapido non ha senso a meno che non esista una destinazione specifica che il raggio di luce dovrà per forza conoscere in anticipo, prima della sua partenza!!! Questo annulla il concetto di rifrazione in termini di causa-effetto, cioè la luce non cambia direzione perché tra due superfici esiste un indice di rifrazione diversa, la luce ha già come obiettivo quello di raggiungere un determinato punto!”
“Bene maestro, la prego continui.”
“Ora, se prendiamo ogni nostra singola esistenza come fosse un raggio di luce, applicando tale principio, si potrebbe indirettamente postulare che lo spazio – tempo in termini di causa – effetto non esistano come noi li percepiamo!”
“Sinceramente non colgo il nesso”
“Allora, prendiamo una delle mele sopra questo tavolo. Come la potremmo definire in termini spazio-temporali?”.
“Mah, una bella mela rossa che vedo appoggiata sopra il suo tavolo in questo istante, mentre la osservo da questa posizione?”
“Certo, non fa una piega in una logica spazio-tempo lineare. Ma osserva. Cosa è stata questa mela prima di essere tale? E cosa sarà una volta che , mangiata, ne avremmo gettato il torsolo pieno di semi sulla terra?”
“Semplice, un fiore da impollinare al passato, una possibile pianta nel futuro!”
“Esci dal concetto di tempo come prima e dopo.. ancora non ti accorgi che in questa singola mela le tre varianti del tempo sono in realtà racchiuse in un solo momento? Un fiore diventato frutto che contiene in se già una pianta in potenza? Passato, presente e futuro! Insieme! La natura coglie già la sua destinazione a prescindere da quale sia la variabile che incontrerà nel suo divenire!”
“Quindi lei vorrebbe affermare che la nostra esistenza umana vivrebbe sin dal principio una sorta di ciclicità intrinseca votata al raggiungimento di un punto preciso nello spazio? E che in qualche modo minimizzare o massimizzare il raggiungimento di quel punto lo avremmo già deciso indipendentemente da quali siano i fattori che nel nostro cammino potrebbero influirne la direzione?
“Esatto ragazzo!”
“Mi perdoni maestro, ma se la nostra esistenza fosse ciclica, non saremmo mai destinati veramente a compiere il passo verso la destinazione finale! Non è un controsenso?”
“Infatti, lo è. Ma se tutti noi curvassimo lo spazio-tempo della nostra esistenza fino a farlo diventare un unico punto di consapevolezza sulla vita, allora l’assurdo non avrebbe modo di esistere. Esisteremmo solo noi, singole entità, in un qui e adesso continuo che non lascerebbe, permettimi il termine, ne tempo ne spazio a nessuna sofferenza, ma solo alla percezione di essere principio e fine del nostro tutto”.
“Maestro, credo sia arrivata l’ora del tè…”
“Mi sa che prima proverò ad assaggiare questa mela, non credi, ragazzo?”
Cammino
In un tempo passato gli alchimisti sostenevano esistessero due cose, alla ricerca delle quali spendevano l’intera loro esistenza: la pietra filosofale e l’elisir di lunga vita.
La prima aveva il potere di trasformare tutti i metalli in oro; il secondo conferiva all’uomo mortale una longevità mai vista prima.
Qualsiasi persona sana di mente penserebbe che diventare alchimisti al giorno d’oggi sia una pura follia, oppure un atto di mera fantasia.
Ma, a ben pensarci, perché non si dovrebbe credere che la mitica pietra filosofale sia insita dentro noi stessi? In fondo solo nostro è il potere di trasformare ogni cosa della vita che vediamo, tocchiamo o percepiamo in puro oro. Perché nostro è il potere di rendere tutto ciò che viviamo specchio del nostro più intimo pensiero e sentimento.
E se questo pensiero e sentimento di bellezza altro non fosse il sentire profondo del nostro animo, non avremmo in quel caso scoperto anche l’elisir di lunga vita? Perché è solo quando il nostro corpo materiale si allinea al nostro animo che noi stessi diventiamo esseri di luce immortali.
È per tutti questi motivi che desidero, in fondo, diventare un alchimista