Alessandra Blasi - Poesie

 

UBRIACHEZZA (da “VersinVersi”)

 

 

Ubriaco fradicio

il lavoro aumenta 

nella mente spenta

nella mente sgombra

un pensiero appare 

lo vorrei soffocare

la mia malattia 

quell’angoscia totale 

che alla sera assale

la mia fantasia

sognare di volare sopra i ghiacciai

nevicare sulle mie stanche lunghe ultime parole

per dimenticare un dolore 

sentirsi cullare come sopra il mare

e una lenta lentissima voglia di dormire

 

su una nave al buio

 

buio pesto

buio innaturale

che riempie la mia mente e toglie luce ad un colore

il colore di un passato che fatico a ricordare 

e non sento più il tuo odore e l’odore del mare 

che mi assale 

ha il sapore del vino 

amaro

l’amaro dell’amore che non può tornare

le mie ossa sono a pezzi

pezzi di una vita da ricostruire

pezzi di un mosaico 

da restaurare 

la mia vita è un’impresa artificiale

come questa mia salita che mi fa dondolare

sento brividi e percosse

sento una musica leggera

sento un fischio nell’orecchio e vertigini sugli occhi

il pavimento ora è in cielo

e il soffitto lo calpesto

lo calpesto a piedi nudi 

i lampadari sono vasi e i tuoi fiori li ho perduti

altrimenti innaffierei le tue rose delicate

ma l’estate è andata via e l’autunno sta tornando

il profumo e la sua scia ti riportano al mio fianco

e ripenso al tuo sorriso

ma non voglio ricordare

bevo ancora 

e riempio 

un bicchiere dopo l’altro

il dolore dei tuoi baci mi fa come vorticare 

è un dolore che scompare a poco a poco nel bicchiere

il lavoro se n’è andato 

non lo voglio più cercare

sono matto scellerato ad amarti sopra tutto

sopra il corpo dentro l’anima

e vorrei vorrei morire

ma vorrei dimenticare

e mi viene da ridere

solo da ridere

che ridere che ridere

da piangere

sto piangendo sul bicchiere 

sto riempiendo di lacrime il soffitto

paradiso giù inferno su

ci cammino attraverso e l’armadio fa da specchio ai miei passi di traverso

attraverso l’universo per un verso anche sbagliato

bevi ancora un altro sorso

e continua a camminare

posso ancora rivederti

sei la mia ombra fatale 

sei la mia stella cometa

ti vorrei ammazzare

ti vorrei schiaffeggiare

ti vorrei strattonare

ti vorrei inorridire

ti vorrei spaventare

e tu invece ridi ridi 

ridi ancora ancora un poco

di un sorriso maledetto

molesto

perverso

abnormale

sei una strega o una dea

sei la mia arma mortale

tu mi servi altro vino dal tuo calice cristallino

ed un sorso me lo mesci con il sangue e un po’ di miele

ma io sento quel sapore di metallico e dolciastro

sono solo le parole che ti fanno essere un “mostro”


FARFALLE NERE (da “VersinVersi”)

 

 

Sento una bomba esplodere lontano

Sento un uragano

Di voci di suoni di urla disperate

Angeli neri mi prendono per mano

Angeli caduti soffiano piano sul viso

Un soffio di morte

Non è il paradiso

Non ci sono più colori nel quadro che mi appare

Solo odore di zolfo di solfato di petrolio

Uccelli senza ali

Bambini senza mani

Donne senza denti

Uomini senza braccia

Lebbrosi senza faccia

Tristi volti senza capelli con occhiaie nere a contornare lo scarno delle luci

La carneficina della pelle

luci profonde come un buco nero

Tra le braccia del dolore mi coloro anch’io di nero

Nero cielo nero fumo mi circonda come un velo

Ed è un velo quel profumo che riaffiora un po’ dal mare

ma uno stagno è quel che puzza 

di sangue e di catrame

imprigiona anche gli uccelli che non sanno più volare

Solo le farfalle nere si contorcono nel fango

Nell’abbraccio oro e argento hanno perso il loro manto

È una tavola sfiorita senza frutta o chiaroscuri

La terra che le brucia e le arde sotto i piedi

Infuocata getta lava

da un vulcano che riporta con la guerra e col suo sangue 

La fatica ed il terrore del calore scorticante

Ed è un dio quel che conduce questo inferno maledetto

A fatica vedo uomini scavare per mangiare

Tra l’opaco dei miei occhi labbra perse in una sete senza fine

Le farfalle sono rare e sono nere sulle ali

L’acqua pura cristallina l’acqua fresca e generante

Non rigenera più niente

Non si trova più, per sempre

Senza acqua e senza vita questo mondo si addormenta 

Piano piano in un lamento 

un boato toglie il suono, è il boato della morte

scricchiolii di terremoti ed il sole brucia forte

Cerco un fragile filo d’erba da intrecciare fra le dita

Nel pensiero che la vita possa ancora ricreare

Ma una foglia rinsecchita che mi trovo fra le mani

è dell’albero caduto e per cui vorrei pregare

Non c’è un simbolo che mostri che l’umanità è viva

Non c’è neanche un animale che sospiri un po’ di vita

Solo macchine miniere qualche arnese da lavoro

Non c’è niente da mangiare e nessuno a cui parlare

Solo scheletri e macerie 

E una bomba nucleare con le sue farfalle nere 


IL DELFINO (da “VersinVersi”)

 

 

Con il suo corpo bianco e possente

Disteso sull’acqua in riposo

Un delfino dorme 

La schiuma dell’acqua fresca e delicata

Lo accarezza dolcemente

Mollemente addormentato sulla schiena

Una musica lontana come un richiamo culla i suoi sogni

mentre le onde ballano in ritmo

una danza misteriosa 

si increspano si alzano e si abbassano

in un valzer appassionato

Un bambino, la sua mano,

fragile sfiora l’acqua piano piano

Il delfino, dolce spirito dell’acqua 

Da uno scoglio in riva al mare cerca di attirarlo a sè

In questa sera serena 

Vorrei averti qui con me

I tuoi baci son carezze

Le dolcezze del tuo addio

Son salate nostalgie

Tu appartieni a questo mare

Io appartengo al mondo e a Dio

Tu vivi di conchiglie e di pietre colorate

Io tramonti sulla spiaggia

Di ombre sulla riva e di impronte sul bagnasciuga

Ti ho seguito fino a qui

Fino al limite del bosco per sentire il tuo profumo

Ho seguito il tuo richiamo

Per vederti addormentare

Cosa sogna un delfino

Cosa sogna in mezzo al mare

Tu le vedi le montagne

le puoi certo sorvolare col tuo dolce grande canto 

tu le puoi conquistare

Ma agli uomini stai attento

Non ti devi mai fidare

Di quel loro falso viso che si schiude in un sorriso

A te sembra il paradiso

ma può farti solo male

Scappa presto scappa in fretta

Con la luna e con la notte

Segui luci in lontananza

Che ti possono guidare

Il tuo nido non sarà da queste parti in primavera

Il tuo rifugio sarà fatto di una brezza leggera

Ed in mezzo alla bufera tu saprai ancor nuotare 

sono pesci e tartarughe

sono le stelle del mare

Granchi alghe e coralli che ti fanno compagnia

Per la via mille perle da inseguire

Sono lisce e colorate e se vuoi le puoi indossare

Puoi indossare la tua vita con la piena libertà

Ci son ninfe delicate e sirene giù nel mare

Tutte aspettan di cantare e giocare insieme a te

Tu sei il re del loro mondo

i tuoi giochi sono scherzi 

Le farai innamorare 

Come io lo son di te

Prendi le mie mani di bambino

voglio starti ancor vicino e conoscere il tuo regno

aprire quegli scrigni nascosti in fondo alle tue acque

Voglio giungere al segreto suo fondale e conoscerne i misteri

Adesso tu mi guardi e capisci quel che voglio 

Io ti voglio possedere

dentro me è celato un uomo

Che ti vuole catturare

Anima dolce e delicata

Inizi presto a fuggire

Ti nascondi sotto l’acqua e ti metti a danzare

qui rimane solo l’ombra 

Un presagio in fondo al mare


FOGLIE D’ORTICA (da “VersinVersi”)

 

 

Stringo tra le dita

Una foglia d’ortica

Foglia secca ingiallita 

Per la sete assetata

Assetata d’amore 

Desiderio ed orrore

Delirio d’autunno 

mistero di polvere e foschia

Lontano da casa mia

La stagione mi stringe e costringe il mio sangue ad uscire

Le mie mani bruciano e la pelle si sbuccia al contatto del fuoco

Un grido profondo trafigge la carne

fa a brandelli e distrugge fino all’ultima piega

anche l’ultima piaga

quel che dona carezze e non può più toccare la neve

sento seccarsi dentro ogni forma d’amore

e l’errore trasforma la rabbia in rancore

in dolore

la mia umanità al contatto col sole 

rattrappisce e scompare come un vecchio che muore

delle mani le ossa rimangono intatte

stringo forte l’ortica 

la mia prossima mossa è una mossa fatale

scendo al centro del male e non sento dolore

crudeltà è sapere 

indifferenza totale

sento un senso animale che mi spinge a strisciare

striscio al centro del mondo

e non sento il profondo terrore che assale

uomo ancora mortale

uomo in divenire

quella sfida finale 

affrontare la morte totale

l’abisso infernale

le lacrime bagnano e asciugano al sole

lecco le mie ferite

cresce sempre più forte un prurito d’angoscia

cresce e scava una fossa per la mia anima nuda

cruda

scarnificata

frantumata come polvere

senza lievi carezze

si muore

un giorno d’autunno 

col sole

si muore 

tre le foglie che cadono lente

nella tasca due soldi

nelle mani un’ortica

dovresti saperlo ancora

che ti amo ora 

che ti legherei alla quercia più dura

e ti impiccherei per non farti paura

ma ti terrei stretto fino a farti morire

per non lasciarti scappare

per non farti ubriacare 

tra le pieghe d’amore il tuo sangue fluisce

fuori dalle mie vene lo sento pulsare

se rifiuti il mio cuore potrei farti ammazzare

con le mani l’amore 

sbriciolo forte queste briciole ultime di dolore

che bruciano e seccano l’ultimo grido del cuore


Le colline in primavera (da “Una lente”)

 

Vetri appannati rubano bagliori

il cielo del mattino,

come lanterne accese portan via l’oscurità alla notte,

sole, pallido e tremante sfiora il mio sonno leggero.

Corre lento il treno

stride tristemente sulle rotaie fredde,

eco lontana appena percepibile

entra nei miei sogni 

impertinente indiscreta.

 

Una casa bianca, antica

una porta verde

un ponte traballante

sentieri impervi in salite eterne

come eterni incessanti ricordi percorrono le vie della memoria.

 

Una pipa scura regalava fumi densi

e profumi

appoggiata ad una sedia

leggera tremante voce nel ricordo del passato.

Parole fluiscono attraverso il tiepido vento del meriggio

parole mi raccontano le dolcezze e il dolore

e una storia d’amore che ancora non conosco.

Parole la cui colpa è la mia

il cui peccato è di farsi comprendere,

ingenuamente, prematuramente

per me non ancora pronunciate.

Corre veloce la primavera

e mi raggiunge

con la sua forza

ardente e passionale

delicata e primitiva

La sua mano accompagna la mia

nasce la scrittura

e un’anima simbolica mi sorride appena

segni indecifrabili macchiano sparsi fogli.

 

Burattini dalle bianche facce

raccontano la loro storia

la sua mano tiene il filo della loro vita

le fila della mia.

Voce camuffata

che impressiona la fantasia.

 

Profumo dolciastro

di una cantina

barattoli di latta appesi nell’eternità

quelle mani accarezzano.

E una lunga interminabile primavera sorride alle sue colline.

 

Muschio e sudore

gli ultimi residui di un profumo

legna e mandarino nella nebbia notturna

svegliano il mio sonno.

 

Raggiungo la mia infanzia

presa nella trappola della maturità

persa nel ricordo di un’adolescenza.

C’è una sedia vuota

e una porta verde socchiusa

con la sua chiave in sospeso

tra cadere e rimanere 

appesa per sempre nell’eternità.

 

Vetri caduti

vetri scalfiti

vetri che custodiscono il passato

ignorano il futuro.

 

Attraverso di essi

colline verdi a ricordar la primavera.


 

La canzone di Euridice (da “Una lente”)

 

Petali cadono

sull’eterno fluire dei ricordi

mentre lentamente la rugiada evapora,

le gocce trasparenti imperlano le foglie.

 

Il vento sfiora la sua musica,

greve è lo stormire di un uccello,

nelle ore della nostalgia.

 

Apre le sue ali al sole,

raggi incandescenti percorrono brevi distanze

posandosi finalmente sulle sue piume ingrigite.

 

Acino dopo acino

gli amanti bevono il succo della vita.

 

Il muschio e la rossa terra 

bruciano insieme ai loro corpi

ardenti di passione e dolore.

 

Curvo sulla terra, 

il suo corpo come un’ombra,

le sue mani le rughe accompagnano.

 

Il rumore dell’estate è d’intorno.

 

Bussa alle finestre chiuse, infuocate,

muove le acque dei ruscelli.

 

Euridice nacque e morì d’estate

una canzone e un volto l’accompagnano 

nei profondi inferi.

I suoi occhi riflessi, nei tuoi,

s’incontrarono

per un attimo, quell’attimo, t’amò.

 

Piangi Orfeo, per un attimo, quell’attimo

perduta, l’amasti.

 

Piangi eternamente la sua musica.


La donna delle perle (da “Una lente”)

 

Gioca con le perle

nascondile

dove lui non può trovarle

nel cassetto di quel mobile antico

verde

incrostato

che conserva le memorie

di un’antica famiglia di aratori.

 

Al mattino la donna delle perle si svegliava con l’alba più tenue

stendeva le sue braccia per abbracciare

la campagna intorpidita dalla notte

e i profumi di terra bruciata e muschio selvatico

allettavano il suo piacere malinconico.

 

L’aratore

il marito fedele

strofinava la sua pelle ruvida sulle coperte ancora calde

che ricordavano una notte di passione e stanchezza.

 

Le perle sul letto risplendevano di mille colori

e racchiudevano ognuna una storia

come segreti sussurrati diventavano parole

impercettibilmente.

 

Cantava al mattino la donna delle perle

le antiche canzoni del villaggio

cantava sinfonie che per gli spazi fluivano fino a raggiungere l’uomo

che al suo collo aveva messo una collana e una promessa.

 

Gioca con le perle

nascondile

dove lei non può trovarle

dietro il vaso di fiori

l’ultimo retaggio di una ricchezza perduta

l’ultimo rimpianto di dignità e colore.

 

E l’aratore usciva con gli occhi socchiusi

assaporando il primo sole con una voluttà infantile

camminava tentennando con passo da ubriaco.

 

Affondava le sue unghie sulla terra nera

scavava

arava

 

arava

pregava

 

pregava

sperava 

 

sperava

piangeva

 

piangeva

rideva 

 

rideva

gemeva

 

gemeva 

scavava

 

E un sorriso inghiottiva le sue rughe

riportando la giovinezza insperata.

 

Raccoglieva la fatica

prendeva il succo dall’uva

mangiava il grano nel pane

 

Un cestino sulla tavola

la donna delle perle danzava.

Le sue mani nere

un tempo candide nuvole con lievi pennellate di un rosa pallido

tenevano quelle di un uomo inesistente.

 

Danzava.

 

Danzavano 

i due amanti sulle opache mattonelle

della casa dell’aratore.

 

Pallida e grigia come un mattino senza sole e senza luce

si fermava di tanto in tanto a rimirar le sue rughe

nel grande specchio dagli angoli scalfiti.

Con un piccolo inchino all’amante immaginario

prendeva  l’uva scura dal cestino

e a lui la porgeva.

 

Lo specchio solo un’ombra le restituiva

Come una baccante assetata d’amore e di poesia

sfiorava dolcemente la sua collana.


Due fari (da “Una lente”)

 

Lungo si stende sul mare

il sorriso malizioso dell’estate

mentre la triste ombra del faro

l’alba accompagna.

 

Con le sue luci intermittenti, il faro

illumina il risveglio del suo compagno

i bianchi mattoni corrosi dal sole e dalle lacrime

nel tempo

rispondono al messaggio

e restituiscono

la danza di luci

come un gioco di specchi.

 

Due fari.

 

Due solitudini.

 

Incastonati fra le crepe di uno scoglio

i loro occhi

tra i riflessi gialli e rossi

si cercano

si incontrano

mentre instancabilmente 

nasce e muore il lento valzer delle onde

tutt’intorno.

 

E le musiche antiche dei pescherecci

 

si allontanano

 

si avvicinano.


La sposa (da “Una lente”)

 

Sul ponte della nave

una donna

scura la notte sovrasta il suo corpo

ombre si mischiano ad ombre

e il suo viso opaco riflette la luce,

della luna.

 

Fissa l’orizzonte lontano

cercando irraggiungibili ricordi

vede le sue mani intrecciarsi

gesto impercettibile di un animo inquieto.

 

Un anello le scivola dal dito

semplice aureo contorno di un’esistenza unita,

cade lentamente, sfiora la spuma,

spezza i legami di un desiderio immaginato.

 

Si sporge, mentre cade

lo rincorre, con gli occhi

e uno spruzzo di mare le riporta il sorriso.

 

Gelido novembre

cercai tra le tue foglie

segreti e sentimenti.

 

Mare inquinato

cercai sulle tue rive

un’eco che non torna.

Il vento lentamente le scompiglia i capelli

le pieghe della gonna si rincorrono

le lacrime si asciugano.

L’autunno che ritorna.


Gli attori (da “Una lente”)

 

Una storia

un uomo

una donna

un albero spoglio

sigilla il suo patto col silenzio

sangue con il sangue

si mescola

lentamente

su foglie invecchiate.

 

Tramonta il sipario

svaniscono le figure

 

due ombre si avvicinano

un abbraccio

 

due ombre si allontanano.

 

Lei danzando

disegna con le mani

 

immagini

 

lui inginocchiandosi

gioca con le mani

 

le unisce in preghiera

 

le ombre si immobilizzano

per un istante eterno

 

volteggiando e strisciando

gli si avvicina.

 

Nell’ombra due figure sono una

 

il silenzio copre il sonno

sembra dormire.

 

Tra i battiti del respiro

ancora immersa nel sogno

 

uno sparo

 

un’ombra cade rumorosamente

sul pavimento del teatro

 

buio

luce

 

immobile un uomo sembra dormire nell’eternità.