UBRIACHEZZA (da “VersinVersi”)
Ubriaco fradicio
il lavoro aumenta
nella mente spenta
nella mente sgombra
un pensiero appare
lo vorrei soffocare
la mia malattia
quell’angoscia totale
che alla sera assale
la mia fantasia
sognare di volare sopra i ghiacciai
nevicare sulle mie stanche lunghe ultime parole
per dimenticare un dolore
sentirsi cullare come sopra il mare
e una lenta lentissima voglia di dormire
su una nave al buio
buio pesto
buio innaturale
che riempie la mia mente e toglie luce ad un colore
il colore di un passato che fatico a ricordare
e non sento più il tuo odore e l’odore del mare
che mi assale
ha il sapore del vino
amaro
l’amaro dell’amore che non può tornare
le mie ossa sono a pezzi
pezzi di una vita da ricostruire
pezzi di un mosaico
da restaurare
la mia vita è un’impresa artificiale
come questa mia salita che mi fa dondolare
sento brividi e percosse
sento una musica leggera
sento un fischio nell’orecchio e vertigini sugli occhi
il pavimento ora è in cielo
e il soffitto lo calpesto
lo calpesto a piedi nudi
i lampadari sono vasi e i tuoi fiori li ho perduti
altrimenti innaffierei le tue rose delicate
ma l’estate è andata via e l’autunno sta tornando
il profumo e la sua scia ti riportano al mio fianco
e ripenso al tuo sorriso
ma non voglio ricordare
bevo ancora
e riempio
un bicchiere dopo l’altro
il dolore dei tuoi baci mi fa come vorticare
è un dolore che scompare a poco a poco nel bicchiere
il lavoro se n’è andato
non lo voglio più cercare
sono matto scellerato ad amarti sopra tutto
sopra il corpo dentro l’anima
e vorrei vorrei morire
ma vorrei dimenticare
e mi viene da ridere
solo da ridere
che ridere che ridere
da piangere
sto piangendo sul bicchiere
sto riempiendo di lacrime il soffitto
paradiso giù inferno su
ci cammino attraverso e l’armadio fa da specchio ai miei passi di traverso
attraverso l’universo per un verso anche sbagliato
bevi ancora un altro sorso
e continua a camminare
posso ancora rivederti
sei la mia ombra fatale
sei la mia stella cometa
ti vorrei ammazzare
ti vorrei schiaffeggiare
ti vorrei strattonare
ti vorrei inorridire
ti vorrei spaventare
e tu invece ridi ridi
ridi ancora ancora un poco
di un sorriso maledetto
molesto
perverso
abnormale
sei una strega o una dea
sei la mia arma mortale
tu mi servi altro vino dal tuo calice cristallino
ed un sorso me lo mesci con il sangue e un po’ di miele
ma io sento quel sapore di metallico e dolciastro
sono solo le parole che ti fanno essere un “mostro”
FARFALLE NERE (da “VersinVersi”)
Sento una bomba esplodere lontano
Sento un uragano
Di voci di suoni di urla disperate
Angeli neri mi prendono per mano
Angeli caduti soffiano piano sul viso
Un soffio di morte
Non è il paradiso
Non ci sono più colori nel quadro che mi appare
Solo odore di zolfo di solfato di petrolio
Uccelli senza ali
Bambini senza mani
Donne senza denti
Uomini senza braccia
Lebbrosi senza faccia
Tristi volti senza capelli con occhiaie nere a contornare lo scarno delle luci
La carneficina della pelle
luci profonde come un buco nero
Tra le braccia del dolore mi coloro anch’io di nero
Nero cielo nero fumo mi circonda come un velo
Ed è un velo quel profumo che riaffiora un po’ dal mare
ma uno stagno è quel che puzza
di sangue e di catrame
imprigiona anche gli uccelli che non sanno più volare
Solo le farfalle nere si contorcono nel fango
Nell’abbraccio oro e argento hanno perso il loro manto
È una tavola sfiorita senza frutta o chiaroscuri
La terra che le brucia e le arde sotto i piedi
Infuocata getta lava
da un vulcano che riporta con la guerra e col suo sangue
La fatica ed il terrore del calore scorticante
Ed è un dio quel che conduce questo inferno maledetto
A fatica vedo uomini scavare per mangiare
Tra l’opaco dei miei occhi labbra perse in una sete senza fine
Le farfalle sono rare e sono nere sulle ali
L’acqua pura cristallina l’acqua fresca e generante
Non rigenera più niente
Non si trova più, per sempre
Senza acqua e senza vita questo mondo si addormenta
Piano piano in un lamento
un boato toglie il suono, è il boato della morte
scricchiolii di terremoti ed il sole brucia forte
Cerco un fragile filo d’erba da intrecciare fra le dita
Nel pensiero che la vita possa ancora ricreare
Ma una foglia rinsecchita che mi trovo fra le mani
è dell’albero caduto e per cui vorrei pregare
Non c’è un simbolo che mostri che l’umanità è viva
Non c’è neanche un animale che sospiri un po’ di vita
Solo macchine miniere qualche arnese da lavoro
Non c’è niente da mangiare e nessuno a cui parlare
Solo scheletri e macerie
E una bomba nucleare con le sue farfalle nere
IL DELFINO (da “VersinVersi”)
Con il suo corpo bianco e possente
Disteso sull’acqua in riposo
Un delfino dorme
La schiuma dell’acqua fresca e delicata
Lo accarezza dolcemente
Mollemente addormentato sulla schiena
Una musica lontana come un richiamo culla i suoi sogni
mentre le onde ballano in ritmo
una danza misteriosa
si increspano si alzano e si abbassano
in un valzer appassionato
Un bambino, la sua mano,
fragile sfiora l’acqua piano piano
Il delfino, dolce spirito dell’acqua
Da uno scoglio in riva al mare cerca di attirarlo a sè
In questa sera serena
Vorrei averti qui con me
I tuoi baci son carezze
Le dolcezze del tuo addio
Son salate nostalgie
Tu appartieni a questo mare
Io appartengo al mondo e a Dio
Tu vivi di conchiglie e di pietre colorate
Io tramonti sulla spiaggia
Di ombre sulla riva e di impronte sul bagnasciuga
Ti ho seguito fino a qui
Fino al limite del bosco per sentire il tuo profumo
Ho seguito il tuo richiamo
Per vederti addormentare
Cosa sogna un delfino
Cosa sogna in mezzo al mare
Tu le vedi le montagne
le puoi certo sorvolare col tuo dolce grande canto
tu le puoi conquistare
Ma agli uomini stai attento
Non ti devi mai fidare
Di quel loro falso viso che si schiude in un sorriso
A te sembra il paradiso
ma può farti solo male
Scappa presto scappa in fretta
Con la luna e con la notte
Segui luci in lontananza
Che ti possono guidare
Il tuo nido non sarà da queste parti in primavera
Il tuo rifugio sarà fatto di una brezza leggera
Ed in mezzo alla bufera tu saprai ancor nuotare
sono pesci e tartarughe
sono le stelle del mare
Granchi alghe e coralli che ti fanno compagnia
Per la via mille perle da inseguire
Sono lisce e colorate e se vuoi le puoi indossare
Puoi indossare la tua vita con la piena libertà
Ci son ninfe delicate e sirene giù nel mare
Tutte aspettan di cantare e giocare insieme a te
Tu sei il re del loro mondo
i tuoi giochi sono scherzi
Le farai innamorare
Come io lo son di te
Prendi le mie mani di bambino
voglio starti ancor vicino e conoscere il tuo regno
aprire quegli scrigni nascosti in fondo alle tue acque
Voglio giungere al segreto suo fondale e conoscerne i misteri
Adesso tu mi guardi e capisci quel che voglio
Io ti voglio possedere
dentro me è celato un uomo
Che ti vuole catturare
Anima dolce e delicata
Inizi presto a fuggire
Ti nascondi sotto l’acqua e ti metti a danzare
qui rimane solo l’ombra
Un presagio in fondo al mare
FOGLIE D’ORTICA (da “VersinVersi”)
Stringo tra le dita
Una foglia d’ortica
Foglia secca ingiallita
Per la sete assetata
Assetata d’amore
Desiderio ed orrore
Delirio d’autunno
mistero di polvere e foschia
Lontano da casa mia
La stagione mi stringe e costringe il mio sangue ad uscire
Le mie mani bruciano e la pelle si sbuccia al contatto del fuoco
Un grido profondo trafigge la carne
fa a brandelli e distrugge fino all’ultima piega
anche l’ultima piaga
quel che dona carezze e non può più toccare la neve
sento seccarsi dentro ogni forma d’amore
e l’errore trasforma la rabbia in rancore
in dolore
la mia umanità al contatto col sole
rattrappisce e scompare come un vecchio che muore
delle mani le ossa rimangono intatte
stringo forte l’ortica
la mia prossima mossa è una mossa fatale
scendo al centro del male e non sento dolore
crudeltà è sapere
indifferenza totale
sento un senso animale che mi spinge a strisciare
striscio al centro del mondo
e non sento il profondo terrore che assale
uomo ancora mortale
uomo in divenire
quella sfida finale
affrontare la morte totale
l’abisso infernale
le lacrime bagnano e asciugano al sole
lecco le mie ferite
cresce sempre più forte un prurito d’angoscia
cresce e scava una fossa per la mia anima nuda
cruda
scarnificata
frantumata come polvere
senza lievi carezze
si muore
un giorno d’autunno
col sole
si muore
tre le foglie che cadono lente
nella tasca due soldi
nelle mani un’ortica
dovresti saperlo ancora
che ti amo ora
che ti legherei alla quercia più dura
e ti impiccherei per non farti paura
ma ti terrei stretto fino a farti morire
per non lasciarti scappare
per non farti ubriacare
tra le pieghe d’amore il tuo sangue fluisce
fuori dalle mie vene lo sento pulsare
se rifiuti il mio cuore potrei farti ammazzare
con le mani l’amore
sbriciolo forte queste briciole ultime di dolore
che bruciano e seccano l’ultimo grido del cuore
Le colline in primavera (da “Una lente”)
Vetri appannati rubano bagliori
il cielo del mattino,
come lanterne accese portan via l’oscurità alla notte,
sole, pallido e tremante sfiora il mio sonno leggero.
Corre lento il treno
stride tristemente sulle rotaie fredde,
eco lontana appena percepibile
entra nei miei sogni
impertinente indiscreta.
Una casa bianca, antica
una porta verde
un ponte traballante
sentieri impervi in salite eterne
come eterni incessanti ricordi percorrono le vie della memoria.
Una pipa scura regalava fumi densi
e profumi
appoggiata ad una sedia
leggera tremante voce nel ricordo del passato.
Parole fluiscono attraverso il tiepido vento del meriggio
parole mi raccontano le dolcezze e il dolore
e una storia d’amore che ancora non conosco.
Parole la cui colpa è la mia
il cui peccato è di farsi comprendere,
ingenuamente, prematuramente
per me non ancora pronunciate.
Corre veloce la primavera
e mi raggiunge
con la sua forza
ardente e passionale
delicata e primitiva
La sua mano accompagna la mia
nasce la scrittura
e un’anima simbolica mi sorride appena
segni indecifrabili macchiano sparsi fogli.
Burattini dalle bianche facce
raccontano la loro storia
la sua mano tiene il filo della loro vita
le fila della mia.
Voce camuffata
che impressiona la fantasia.
Profumo dolciastro
di una cantina
barattoli di latta appesi nell’eternità
quelle mani accarezzano.
E una lunga interminabile primavera sorride alle sue colline.
Muschio e sudore
gli ultimi residui di un profumo
legna e mandarino nella nebbia notturna
svegliano il mio sonno.
Raggiungo la mia infanzia
presa nella trappola della maturità
persa nel ricordo di un’adolescenza.
C’è una sedia vuota
e una porta verde socchiusa
con la sua chiave in sospeso
tra cadere e rimanere
appesa per sempre nell’eternità.
Vetri caduti
vetri scalfiti
vetri che custodiscono il passato
ignorano il futuro.
Attraverso di essi
colline verdi a ricordar la primavera.
La canzone di Euridice (da “Una lente”)
Petali cadono
sull’eterno fluire dei ricordi
mentre lentamente la rugiada evapora,
le gocce trasparenti imperlano le foglie.
Il vento sfiora la sua musica,
greve è lo stormire di un uccello,
nelle ore della nostalgia.
Apre le sue ali al sole,
raggi incandescenti percorrono brevi distanze
posandosi finalmente sulle sue piume ingrigite.
Acino dopo acino
gli amanti bevono il succo della vita.
Il muschio e la rossa terra
bruciano insieme ai loro corpi
ardenti di passione e dolore.
Curvo sulla terra,
il suo corpo come un’ombra,
le sue mani le rughe accompagnano.
Il rumore dell’estate è d’intorno.
Bussa alle finestre chiuse, infuocate,
muove le acque dei ruscelli.
Euridice nacque e morì d’estate
una canzone e un volto l’accompagnano
nei profondi inferi.
I suoi occhi riflessi, nei tuoi,
s’incontrarono
per un attimo, quell’attimo, t’amò.
Piangi Orfeo, per un attimo, quell’attimo
perduta, l’amasti.
Piangi eternamente la sua musica.
La donna delle perle (da “Una lente”)
Gioca con le perle
nascondile
dove lui non può trovarle
nel cassetto di quel mobile antico
verde
incrostato
che conserva le memorie
di un’antica famiglia di aratori.
Al mattino la donna delle perle si svegliava con l’alba più tenue
stendeva le sue braccia per abbracciare
la campagna intorpidita dalla notte
e i profumi di terra bruciata e muschio selvatico
allettavano il suo piacere malinconico.
L’aratore
il marito fedele
strofinava la sua pelle ruvida sulle coperte ancora calde
che ricordavano una notte di passione e stanchezza.
Le perle sul letto risplendevano di mille colori
e racchiudevano ognuna una storia
come segreti sussurrati diventavano parole
impercettibilmente.
Cantava al mattino la donna delle perle
le antiche canzoni del villaggio
cantava sinfonie che per gli spazi fluivano fino a raggiungere l’uomo
che al suo collo aveva messo una collana e una promessa.
Gioca con le perle
nascondile
dove lei non può trovarle
dietro il vaso di fiori
l’ultimo retaggio di una ricchezza perduta
l’ultimo rimpianto di dignità e colore.
E l’aratore usciva con gli occhi socchiusi
assaporando il primo sole con una voluttà infantile
camminava tentennando con passo da ubriaco.
Affondava le sue unghie sulla terra nera
scavava
arava
arava
pregava
pregava
sperava
sperava
piangeva
piangeva
rideva
rideva
gemeva
gemeva
scavava
E un sorriso inghiottiva le sue rughe
riportando la giovinezza insperata.
Raccoglieva la fatica
prendeva il succo dall’uva
mangiava il grano nel pane
Un cestino sulla tavola
la donna delle perle danzava.
Le sue mani nere
un tempo candide nuvole con lievi pennellate di un rosa pallido
tenevano quelle di un uomo inesistente.
Danzava.
Danzavano
i due amanti sulle opache mattonelle
della casa dell’aratore.
Pallida e grigia come un mattino senza sole e senza luce
si fermava di tanto in tanto a rimirar le sue rughe
nel grande specchio dagli angoli scalfiti.
Con un piccolo inchino all’amante immaginario
prendeva l’uva scura dal cestino
e a lui la porgeva.
Lo specchio solo un’ombra le restituiva
Come una baccante assetata d’amore e di poesia
sfiorava dolcemente la sua collana.
Due fari (da “Una lente”)
Lungo si stende sul mare
il sorriso malizioso dell’estate
mentre la triste ombra del faro
l’alba accompagna.
Con le sue luci intermittenti, il faro
illumina il risveglio del suo compagno
i bianchi mattoni corrosi dal sole e dalle lacrime
nel tempo
rispondono al messaggio
e restituiscono
la danza di luci
come un gioco di specchi.
Due fari.
Due solitudini.
Incastonati fra le crepe di uno scoglio
i loro occhi
tra i riflessi gialli e rossi
si cercano
si incontrano
mentre instancabilmente
nasce e muore il lento valzer delle onde
tutt’intorno.
E le musiche antiche dei pescherecci
si allontanano
si avvicinano.
La sposa (da “Una lente”)
Sul ponte della nave
una donna
scura la notte sovrasta il suo corpo
ombre si mischiano ad ombre
e il suo viso opaco riflette la luce,
della luna.
Fissa l’orizzonte lontano
cercando irraggiungibili ricordi
vede le sue mani intrecciarsi
gesto impercettibile di un animo inquieto.
Un anello le scivola dal dito
semplice aureo contorno di un’esistenza unita,
cade lentamente, sfiora la spuma,
spezza i legami di un desiderio immaginato.
Si sporge, mentre cade
lo rincorre, con gli occhi
e uno spruzzo di mare le riporta il sorriso.
Gelido novembre
cercai tra le tue foglie
segreti e sentimenti.
Mare inquinato
cercai sulle tue rive
un’eco che non torna.
Il vento lentamente le scompiglia i capelli
le pieghe della gonna si rincorrono
le lacrime si asciugano.
L’autunno che ritorna.
Gli attori (da “Una lente”)
Una storia
un uomo
una donna
un albero spoglio
sigilla il suo patto col silenzio
sangue con il sangue
si mescola
lentamente
su foglie invecchiate.
Tramonta il sipario
svaniscono le figure
due ombre si avvicinano
un abbraccio
due ombre si allontanano.
Lei danzando
disegna con le mani
immagini
lui inginocchiandosi
gioca con le mani
le unisce in preghiera
le ombre si immobilizzano
per un istante eterno
volteggiando e strisciando
gli si avvicina.
Nell’ombra due figure sono una
il silenzio copre il sonno
sembra dormire.
Tra i battiti del respiro
ancora immersa nel sogno
uno sparo
un’ombra cade rumorosamente
sul pavimento del teatro
buio
luce
immobile un uomo sembra dormire nell’eternità.