Alessandro Mari - Poesie e Racconti

La leggenda delle due lune

 

C’era una volta un nobile e forte cavaliere, sempre alla ricerca di nuove frontiere

 

La sua armatura non era composta da lamiere ma dall’amore della sua amata che, volle il fato, tra incantevoli castelli di sabbia avesse incontrato

 

Un giorno promise in maniera solenne, e sentita, che avrebbe vegliato su di lei e l’avrebbe protetta al costo della sua stessa vita

 

La vita spesso però è ingiusta e incomprensibile, in una notte buia e imprevedibile, lei scomparve nell’oscurità di un burrone senza far rumore, lasciando ai suoi cari un enorme dolore, del cuore distruttore

 

Da una lacrima l’universo fu illuminato, di una nuova stella il cielo fu onorato

 

Quando il cavaliere venne a conoscenza di ciò che era successo corse verso il monte più alto rimanendo solo con sé stesso

 

Credendo di non avere più nella sua vita sentieri impugnò la sua spada con il più triste dei pensieri

 

“Perché lo fai” La Luna Bianca chiese al cavaliere e lui rispose “C’è una cosa che non sai”

 

“Non potrò più vedere gli occhi dal color del mare, occhi unici che le profondità della mia anima sapevano vedere ed accarezzare.

Cara Luna Bianca non posso dimenticare, troppa sofferenza c’è da sopportare”

 

La Luna Bianca commossa diventò tutta rossa mentre la sconosciuta ed oscura Luna Blu, invisibile ai più, diventò luminosa e brillante e, in un istante, qualcosa di magico accadde al mondo a lei sottostante

 

La spada del cavaliere della sua adorata prese le sembianze e lui, con riaccese speranze, rivedendo il suo angelo non esitò, verso il suo petto ella la portò e con tutta la sua forza l’abbracciò

 

Da una lacrima l’universo fu illuminato, di una nuova stella il cielo fu onorato

 

Corre leggenda, dopo tanti anni da questa vicenda, che ogni volta che la Luna Bianca diventa rossa nel cielo lassù, si possa intravedere la timida Luna Blu, che dell’ingiustizia non volle saperne più, e che due anime belle e pure si sono ritrovate, in un altro pianeta richiamate

 

I personaggi di questa piccola storia, impressa nella memoria, divennero la prova che l’universo non è indifferente e avverso, niente nel nulla viene disperso

 

Ancora oggi qualcuno la Luna Blu sogna di vederla di notte col proprio naso all’insù, per chiederle di essere trasportato via in un luogo dove il ritrovo della pace ci sia

 

Se un giorno vedrete una stella cadente, come una lacrima che corre e vi sorprende, allora una buona occasione sarà arrivata, la Luna Bianca potrà essere emozionata

 

Esprimete un desiderio, fidatevi sono serio, si avvererà se esso proverrà da un anima nobile e coraggiosa per cui la Luna Blu potrà esserne orgogliosa


Poesia alle sirene

 

La regina dei fraintendimenti, bramante dei cambiamenti

 

Ha incontrato persone sbagliate, che sono state amate

 

E’ malinconica e non racconta perché, non tollera essere giudicata con la facilità con cui si beve un tè

 

Alcuni definiscono la sua sensibilità un difetto, ma lei ne è fiera e questo tarlo se lo tiene stretto

 

Trasforma l’oscurità in luce per curarsi e per diletto, nascondendo i desideri che sente nel petto

 

I marinai ascoltano la canzone delle sirene e le loro barche si infrangono fra gli scogli della sua isola spezzando tutte le loro catene, in ognuno di loro si cela il desiderio di stringerla fra le proprie braccia, al costo di far perder di sé ogni traccia

 

Mi disse sorridendo un giorno, con i colori caldi del tramonto intorno:

 

“So per certo una cosa bella sai, i compagni d’anima non muoiono mai”


Dal sedicesimo libro immaginario di Alex: “Simpatia per il diavolo”.

Capitolo: “Si, si può immaginare oltre il nulla.”

 

“La terza guerra mondiale avrà un nemico invisibile” diceva mia nonna venti anni fa a noi quattro mocciosi che ascoltavamo le sue storie.

Vorrei fosse qui a raccontarcene altre di storie, come sapeva farlo solo lei.

Anche quelle storie che servivano a ricordarci di quanto la guerra sia brutta e sciocca, le nonne che l’hanno vissuta lo sanno molto bene.

 

Ed io le racconterei invece le assurde coincidenze di questi giorni e avrei aggiunto la frase del mio telefilm preferito: “Voglio crederci”.

 

Nonostante tutto, quella nonna che diceva di essere sensitiva, un po’ per gioco e un po’ perché ci credeva, che faceva i tarocchi, che credevo fosse una strega e che raccontava che una volta incontrò il diavolo, mi manca.

Chissà cosa penserebbe di questo mondo impazzito e deludente di oggi, forse direbbe, come diceva allora, semplicemente: “Coraggio! Non lasciarti e non lasciamoci abbattere!”.

 

Quel giorno che andò via per sempre mio padre mi raccontò che alzò il dito indicando verso l’alto come per dire: “Si, ciao figlio mio, lo sento, sto andando su”.

 

Quel giorno fui un’altra volta invaso dalla mia malinconia.

La mia malinconia che a volte mi si vede in faccia, di cui spesso mi vergogno e che purtroppo non sempre posso nascondere per non farmela leggere in viso.

 

Quel giorno tornai a pensare al concetto di fine, di fine della vita.

Il mio fantasticare repentino andò di nuovo in tilt.

Come ci si sente nel nulla?

Non riuscivo ad immaginare come ci si potesse sentire.

 

Così per tanto tempo ho odiato la vita perchè la vita ad un certo punto finisce.

Odiai le emozioni, perchè le emozioni ti fanno sentire vivo.

Io non volevo più sentirmi vivo in modo da non percepire più il peso della fine.

 

Oggi avrei voluto tanto chiederle perchè, per quale motivo che non riesco a capire, ho questo sterminato bisogno di voler bene ad alcune persone, di prendermi cura di loro.

 

Vorrei raccontarle che ho incontrato persone meravigliose.

Persone che mi hanno scosso, che mi hanno emozionato, che mi hanno spinto ad essere una persona migliore come quella che sto andando a trovare, che a sua volta me ne ha fatte conoscere altre di persone che mi hanno reso la vita più bella.

 

Oggi vorrei chiederle perdono perché so che non avrebbe approvato il mio voler stare lontano dalle emozioni, che spesso sono brutte, ma questa non è una buona giustificazione per evitarle sempre.

 

Le emozioni fanno paura perché sono vita, piccole o grandi belle o brutte ti fanno crescere, esse sono la vita stessa e allora io non ho paura del nulla ma della vita, quella vita che ho voluto evitare perchè so che finisce e non voglio vedere la fine, non la voglio vedere, ho terrore di quel nulla e NON VOGLIO SENTIRE IL NULLA!

 

Il nulla non si può sentire.

 

Oggi sono di nuovo in viaggio, alla ricerca di nuove emozioni, come quelle che si vedono fuori dal finestrino di un treno.

 

Ho ancora paura, ma ho capito che non c’è niente di più brutto che non provare più niente. Non c’è cosa più brutta che avere il nulla dentro di sè mentre si è ancora vivi.

 

Urgenza di vivere, questo ora è il problema, problema che non ho alcuna voglia di risolvere.

 

Vorrei raccontare a mia nonna tante altre storie ma so che non posso farlo.

Posso fare qualcos’altro.

Posso raccontare di lei.

 

Si mia nonna c’è, c’è ancora, c’è nei ricordi di quei mocciosi che stavano da lei ad ascoltare a bocca aperta e spaventati le sue storie, c’è nei ricordi di mio fratello, di mio padre, lei ora c’è anche in una storia di un libro, c’è in me.

 

Si, si può immaginare oltre il nulla.


Dal sesto libro immaginario di Alex: “Lezioni di piano”

Capitolo: “La partenza”

 

Valentino uscì per andare a fare la spesa.

Un week-end come un altro, comprò ciò di cui aveva bisogno comprese le sue solite birre.

Egli non era un alcolista ma spesso vedeva nell’alcol l’unico rimedio per sconfiggere la malinconia.

Mentre usciva dal centro commerciale notò un pianoforte lasciato in un angolo.

“Perchè no?” pensò e si avvicinò allo strumento con qualche esitazione, esibirsi in pubblico non è come suonare da soli ma fu più forte di lui, desiderava sentire il suono di quel pianoforte a coda.

 

Suonò qualcosa di semplice per scaldarsi le mani “Preludio in do maggiore di Bach”, la prima musica che aveva imparato in vita sua.

Come immaginava, il suono del pianoforte era stupendo, nulla a che vedere con quello del suo pianoforte digitale casalingo e una volta presa confidenza con lo strumento passò da una melodia all’altra.

 

Valentino aveva due modi di suonare: uno sulle nuvole ovvero immaginava di suonare in pubblico con l’orchestra oppure sulle montagne o in riva al mare o altro ancora.

Si era abituato così al mondo, spesso sognava di essere altrove perché non sopportava la realtà, era così che si difendeva dal dolore.

L’altro modo di suonare invece era quello da musicista concentrato e la sua immaginazione si rifletteva sulle note, l’intensità nel toccare i tasti era guidata dai sentimenti e dalle emozioni provenienti dai luoghi più profondi della sua anima, danzava con le melodie, le faceva sue, le arricchiva con altre note e non pensava più.

 

Quel pomeriggio scelse il secondo modo e passò dalla colonna sonora del film Il favoloso mondo di Amélie ad Halleluja di Leonard Cohen, dall’Estasi dell’oro di Morricone a Nuvole Bianche di Ludovico Einaudi e altre che conosce solo lui per finire con la sua preferita in assoluto The heart ask pleasure first di Michael Nyman.

 

A volte a Valentino capitava di sbagliare qualche nota ma lui non si fermava.

La sua vecchia maestra, in occasione di uno dei saggi che faceva ogni anno, gli insegnò che quando si esibiva l’importante era non fermarsi “tanto la gente non capisce niente” sottolineò sorridendo.

 

Quando finì di suonare, sentì uno scròscio di applausi, non si accorse che intorno a lui si era formata una piccola folla che lo riempì di complimenti e lo ringraziò anche per l’esibizione.

 

Una signora in particolare gli disse “complimenti maestro” e lui pensò alla sua insegnante “Maestro? Si, aveva ragione la vecchia, la gente non capisce niente”.

La signora non si limitò a un semplice complimento ma lo invitò alla sua associazione di cui era presidente, un’associazione che organizzava attività per bambini orfani o con problemi particolari e lui senza pensarci accettò l’invito, credè che forse sarebbe stato divertente insegnare a suonare a dei bambini, così, in maniera non ufficiale e gratuita.

 

Il sabato pomeriggio successivo Valentino si presentò all’associazione.

Era nervoso, pensava di aver fatto una sciocchezza ad accettare, lui non sapeva come comportarsi con i bambini, gli era capitato di insegnare l’utilizzo di software per lavoro ad adulti ma con i bambini? Caduto nel panico entrò comunque dove fu accolto dalla signora, presidente, sempre sorridente.

 

Valentino fu portato davanti al pianoforte e lì precisò che poteva insegnare solo a un bambino alla volta, non tutti insieme.

 

Ogni bambino pensò è a sé particolare, è un mondo a sé fatto di infinite sfumature e non tutti reagiscono allo stesso modo.

 

Un leone su una piccola isola è nessuno come uno squalo in una giungla.

Dai il giusto habitat all’essere vivente ed esso sarà grande.

Nella società non tutti hanno la fortuna di crescere nel proprio habitat e di sviluppare il proprio talento e, in un mondo di umani sciacalli, a volte si finisce per essere alienati quando invece si potrebbe essere molto preziosi o realizzati.

 

Quando iniziò la lezione con il primo allievo nella mente di Valentino passavano domande del tipo “Ma chi me l’ha fatto fare? Perché sto qua? Speriamo passi presto così posso farmi le mie birre”.

L’accordo era di un’ora, Valentino passò tre ore nell’associazione, a lui piaceva insegnare, molto di più di quanto volesse ammettere, e sopratutto piano piano sentiva che dava un senso alla giornata e i bambini non erano proprio così terribili.

Valentino era molto paziente e per ognuno dei suoi giovani allievi riservò un trattamento speciale e i più timidi inoltre sapeva come trattarli, perché anche lui lo era e sapeva cosa significasse perdere fiducia negli altri ed averne paura.

 

Il nostro maestro improvvisato era contento che la vita gli stesse dando un’opportunità di sentirsi un po’ utile per qualcuno, almeno quel giorno non lo passò a cercare di annegare nell’alcool il suo inferno interiore.

 

Egli conosceva l’importanza dell’incontro con l’altro e nel fatto che una semplice informazione può cambiarti la vita, può darti quella marcia in più per realizzare qualcosa.

 

Aveva imparato a usare il pianoforte perché lo suonava la sua compagna di banco di cui si era innamorato e quell’amore sofferto alla sua giovane età era diventato un’attività preziosa per qualcuno quel giorno.

 

Valentino, dopo le sue piccole lezioni, salutò i bambini e la presidente che lo ringraziò per il tempo dedicato.

Mentre usciva dall’edificio una ragazza dell’associazione, che l’aveva osservato tutto il tempo, lo invitò a prendersi un caffè.

 

Settimane dopo, dopo che l’affetto per i suoi piccoli allievi diventò smisurato, dopo che successero delle vicende che vi racconterò nei prossimi capitoli, colme di assurde coincidenze, le sue attività da insegnante occasionale diventarono una piacevole abitudine e, in un giorno speciale incontrò un suo amico al parco dove si vedevano spesso per chiacchierare un po’.

 

Luca: “Sei pronto per domani?”

Valentino: “Si pronto, non vedo l’ora di partire, e poi era una vita che non mi sentivo così, semplicemente bene, semplicemente me, senza quel senso di prigionia che mi provocava tanta rabbia”

Luca: “Posso farti una domanda?”

Valentini: “Dimmi”

Luca: “In Elisa invece cosa ci trovi?”

Valentino: “Non so spiegartelo, forse non si tratta solo di cosa ci trovo in lei ma è anche il modo con cui lo fa”

Luca: “Fa cosa?”

Valentino: “Essere amato da lei è meraviglioso”


Dall’ottavo libro immaginario di Alex: “Non ci sono più”.

Capitolo: “Le spighe sfiorate dal vento”.

 

“Vorrei poter sigillare il cuore

Non sentire il bisogno di condividere le cose e provare emozioni

Mi chiudo a riccio, desolata e stanca di me

Cerco di non pensare alle mie infinite delusioni

Mi dimentico di me e riempio il vuoto con il vuoto

Persa in me ho perso me

Non importa più

Non ci sono più”

 

Erano queste le parole che Alessia scriveva sul fazzoletto nel bar e poi ordinò un’altra Coca Buton, il liquore a base di coca peruviana ma perfettamente legale come l’assenzio.

Poi ordinò una birra, una qualsiasi e sapeva che miscelando questi due alcolici non avrebbe capito più niente.

Si, aveva deciso di ubriacarsi in un bar dopo l’ennesima abbuffata dal giapponese e dopo che a casa aveva fissato a lungo il buco della sua pistola.

 

Come suggerito da qualche strizza cervelli di passaggio si mise a scrivere i suoi pensieri.

La sua vita da qualche anno si era concentrata sulla mancanza di qualcosa, di qualcuno che non c’era più.

Dopo aver bevuto l’ultimo sorso di birra fissò il bicchiere ormai finito e pensò “Ecco, tutto quello che amo sparisce nel nulla, persino la birra”.

 

Gli avevano detto che il tempo l’avrebbe aiutata, che il tempo cicatrizza le ferite, che il passato è come un quadro, più è vicino e più non riesci a vederlo ma se ti allontani allora saprai vedere il quadro nel suo insieme.

 

Alessia però non riusciva ad attenuare il suo dolore e dopo anni la sofferenza che teneva dentro finì per annoiarla e la fece diventare una persona sterile, a tratti non provava più niente, non sentiva più stimoli, non voleva più delusioni, aveva la morte nel cuore finché non si abituò alla sua solitudine e non sentiva neanche più il desiderio di uscire dal suo stato di apatia.

L’unica cosa che gli era rimasta era il suo lavoro da investigatrice che portava avanti con inerzia.

 

Il cellulare squillò e lei non rispose, era il suo giorno libero e voleva passarlo come voleva.

Il cellulare squillò ancora e ancora finché non decise di rispondere, era la centrale di polizia che la cercava perché c’era un’emergenza ed avevano bisogno del suo aiuto.

Lo stupratore seriale che stavano cercando da mesi era stato identificato, lei aveva il compito di andare sotto il suo appartamento mentre i suoi colleghi gli davano la caccia nei punti in cui era stato avvistato poche ore prima.

Alessia accettò tra noia e riluttanza, era certa che lo stupratore non l’avrebbe incontrato, da quanto aveva capito egli sapeva di essere stato scoperto e stava cercando di scappare.

Si segnò l’indirizzo e dopo un doppio caffè andò, con molta calma cercando di riprendersi, sotto l’appartamento del ricercato.

 

L’investigatrice non doveva fare altro che dare un’occhiata in giro e rimanere sotto al portone dello stupratore ma, appesantita dell’alcol com’era, Alessia pensò che se fosse rimasta in macchina ad osservare i movimenti sospetti si sarebbe addormentata così, approfittando di un condomino con le chiavi, entrò nel palazzo.

 

Conosceva il nome, cognome e l’Interno del criminale e quando si trovò di fronte alla porta della sua casa suonò il campanello.

Nessuno rispose o venne ad aprire.

Con tecniche da ladra l’investigatrice aprì la porta dell’appartamento ed entrò lasciando la porta aperta.

 

“Mi bevo solo un po’ d’acqua e poi esco” pensò.

 

Dopo qualche passo si trovò in un grande salone con la luce soffusa al cui interno, vicino le finestre, c’era una scrivania con sopra un computer.

Il terminale era acceso e come sfondo del desktop c’erano delle spighe di grano soffiate dal vento.

 

“Questo paesaggio, sembra la rappresentazione di come mi sento. Oltre quelle spighe c’è l’infinito. Un’infinità di situazioni, di persone, di sensazioni. Tutto quello che non riesco più a trovare e riesco solo a immaginare, a malapena percepire”.

Pensò Alessia con ancora le porte delle sue emozioni più aperte del normale per via dell’alcool.

 

Ciò che aveva suscitato in lei quella foto la rese perplessa.

“Possibile che un animo sensibile possa essere un criminale così ignobile?” Si domandò ma poi tornò in sé e ragionò, molto probabilmente la scelta di uno sfondo del desktop ha poco a che fare con la vera natura di una persona e poi poteva essere del tutto casuale.

 

In alto a destra dello schermo c’era scritto il nome e cognome dell’utente connesso al computer che però non corrispondeva in alcun modo col nome dello stupratore seriale.

 

Nel dock delle applicazioni c’era anche una finestra ridotta ad icona ed Alessia curiosa ci cliccò sopra per ingrandirla, chiunque era lì fino a qualche tempo prima stava scrivendo su quello che poteva sembrare un diario personale.

 

“Un desiderio intenso mi assale ogni notte

Mi sveglio di colpo

Agitato, scosso, bramoso

Sento una voglia implacabile che vuole essere soddisfatta

Un bisogno che non riesco ad ignorare

 

C’è un mostro dentro di me che sbava per la sua prossima vittima

Sottomettere, abusare, colpire

 

Un’angoscia intensa, straziante

Che porta alla follia

Giace nella mio cuore rendendomi insonne

Inarrestabile, brutale, selvaggio

Lanciato verso il godimento vivo dei sensi

 

Qualsiasi sia la tua dolcezza o fragilità

Il tuo fascino, la tua delicatezza

Io voglio possederla, disonorarla, goderla, deturparla

 

Ascoltare le tue grida di dolore e piacere

Guardare i tuoi occhi mentre ti consumo”

 

Un botto forte fece sobbalzare Alessia, era la porta d’ingresso, si chiuse improvvisamente.


Dal quattordicesimo libro immaginario di Alex: “Ribellione alle delusioni”.

Capitolo “Ho visto un po’ di me in te”

 

Alex si era appena svegliato, era domenica, come di consueto colazione, corsa al parco, doccia e poi steso sul letto a navigare sui social network.

Negli strumenti moderni di condivisione in rete spesso ci sono i suggerimenti delle persone da seguire e, quando Alex vide quel nome, il suo cuore cominciò a battere più forte.

Cliccò per entrare nel profilo di una donna che conobbe anni prima e non vedeva e sentiva più.

Tanti ricordi e sensazioni riaffiorarono dentro di lui.

Questa persona, che stava osservando da dietro uno schermo, un tempo fece di tutto per conquistarlo e farlo suo mentre lui era confuso, pensava ad un’altra.

Sciocco ragazzo, trattò male questa donna che lo amava.

Una donna che aveva la tendenza ad aiutare persone fragili con il cuore sofferente proprio come lei stessa aveva.

Niente poté togliere dalla testa ad Alex l’altra persona che non lo ricambiava.

Egli da una parte soffriva per un amore non corrisposto e dall’altra si sentiva terribilmente in colpa per non ricambiare la donna che lo riempiva di attenzioni.

Una forte sofferenza che lo segnò per sempre.

Un giorno, inevitabilmente le loro strade si divisero.

A distanza di anni Alex non provava più niente per quella ragazza per cui aveva sofferto, anzi, si accorse che aveva sbagliato tutto.

Aveva dato più attenzione ad una forte passione piuttosto che a qualcosa di più importante.

Alex col tempo diventò di ghiaccio, deluso da sé stesso, nascose al mondo la sua fragilità.

Il destino, anni dopo, gli fece incontrare però un’altra persona in cui vide un po’ di sé, una fragilità simile alla sua e volle riempirla di attenzioni anche se sapeva che il terreno che stava percorrendo fosse pericoloso.

Come volevasi dimostrare si scottò di nuovo, era tanto il desiderio di dedicarsi ad aiutare un cuore fragile che non diede attenzione al suo.

Sapeva già, che se si fosse affezionato, non poteva essere corrisposto.

Questo sciocco ragazzo, che ormai era diventato un uomo, era di nuovo vulnerabile.

Non lo aveva premeditato di affezionarsi, si sentiva in colpa con se stesso per aver aperto le porte del suo cuore di nuovo, si sentiva uno stupido, un debole.

Cercò di nuovo il volto di quella donna in rete, che lo aveva amato tanto tempo prima, e si accorse che l’aveva imitata, nei suoi modi, nelle sue parole, nelle sue intenzioni.

Alex continuò a sfogliare le foto di quella donna e vedeva che era felice.

Avrebbe voluto tanto contattarla ma non lo fece perché aveva paura di un suo rifiuto e soprattutto non voleva far prevalere il suo egoismo.

Questa donna diceva che ciò che dai in giro prima o poi ritorna in qualche modo, bisogna essere sempre positivi, in pace e amorevoli.

Alex ammirava questa donna che nonostante la sua fragilità era andata avanti a testa alta.

Voleva tanto chiederle come aveva fatto a sopravvivere, a sopportare tutto il male che le aveva fatto.

Alex voleva chiederle ancora una volta come superare tutta la sua malinconia che portava dentro di sé e che non riusciva a sopportare, quella malinconia che si trasformava in qualcosa di bello solamente quando la teneva tra le sue braccia.

Alex pianse ininterrottamente per ore, sentiva un bisogno enorme di lei, del suo amore che non c’era più.