Alessandro Rea - Poesie

Il seme dell’oggi (Messaggio nella Bottiglia)

Se nel mio passo non sento un lento scorrere della polvere, non posso fermare e far respirare il mio oggi.
L’inganno e la vendetta sono quel vento che mi sussurra una giustizia senza perdono.
Se non riesco a osservare il lato celeste della morte o la verità nell’altrui cieca indifferenza, non sono un essere degno del miracolo.
E mi riempio di briciole e di mancati desideri che son diventati semi, nello squallore della bellezza effimera di un gioiello, tanto apparente quanto insignificante.
Se non coltivo, con fatica e pazienza, il mio domani, oggi non sarò felice.

 


 

I tuoi occhi vorrei conoscere

La mia fiducia scivolata tra le fessure della tua anima, o Dio, corre continui rischi e vede il dolore come inizio di un linguaggio sincero che osserva ciò che gli altri semplicemente guardano. È il sacrificio, o Dio, che mi affascina e mi tormenta e continuo a credere che la sofferenza sia madre del Dono, la bontà è solo un mezzo di comunicare il dono ricevuto.

I tuoi occhi o Dio vorrei conoscere; ho paura che il tuo Spirito annulli ogni mio desiderio; timore che le tue mani possano coprire il mio volto. Le mie parole di fatti non hanno ali e cadono su di un mondo che non riceve la loro forza.

O Dio, ti temo e ti cerco e vorrei avere luce: più luce nel mio perdonare, più luce nel mio vivere.

Aderisco a Te pur senza capire, poiché l’ardore mio di uomo mi rende cieco nel conoscere Te come unica forza della vita.

Ora ti riconosco, ti scruto, perché nel tuo dolore è il mio dolore.

E nel tuo sorriso la mia gioia.

 


 

Abbandonerò le mie terre

Abbandonerò le mie terre di disprezzo, dove gli uomini sono catalogati secondo il rendimento, come se fossero prodotti sul mercato.

Abbandonerò quelle strade, dove la frenesia della vita fa scivolare i giorni rubandoci la dolcezza delle nostre cose.

Abbandonerò il mio paese, che mi porta ad aridire il cuore chiudendo i cancelli dell’affetto e credendo che il domani sia sempre uguale ad oggi.

Abbandonerò la mia infanzia, serena e spensierata così piena di aspettative, imbevuta d’amore e scoppiettante d’abbracci; incurante dei vili che ad ogni angolo possono toglierti il respiro dell’anima.

Abbandonerò la mia casa, pensando alla solitudine di un ragazzo dietro una finestra, affacciato su di un mondo in cui le regole schiacciano l’uomo.

Partirò per mondi lontani e farò ritorno in quella stanza in cui il camino arde e scalda una famiglia felice, fuori nell’aia bambini allegri giocheranno come se il tempo non fosse passato.

Inseguirò i miei sogni sicuro che l’impossibile si possa realizzare, l’insicurezza dia prova di sé, la sfiducia apra le porte alla certezza… dove ieri, oggi e domani non sono più padroni senza pietà ma custodi di un inatteso ospite.

 


 

Ricami d’argento

Dei fili d’argento, presto ricamo per farti avere della realtà, la visione lucente degli eletti.
E dove poggia la tua testa, riparo il futuro dal peccato della disperazione.
Cresci come chi sa affrontare il fulmine ed il vento, e ricorda che dove c’è il sorriso lì c’è la soluzione.

 


 

Notti roventi

Corro tra il sole e l’ombra, per portare quella bandiera invisibile dell’equilibrio.
Questo sciagurato mondo si complica per portar via semplicità; chi seduce le volontà deboli, si gloria di mascherare la vera bellezza, mostrando una facile menzogna.
A chi rimane di perdersi senza mai ritrovarsi, a chi è chiaro il cammino tra le notti roventi.

 


 

Nello stagno

Il sogno che hai perso nello stagno di acqua sporca e detriti, non ti impedisce di incatenarmi le mani a te. La tua bocca vuole rubare le belle parole nell’aria, perché succeda di perderci e tu possa vincere la vita rubando la mia dolcezza. Giri attorno alla tua solitudine ma io creo e invento ogni giorno perché la caligine non disegni il mio futuro… spetta a te seguirmi!
Tu mia illusione sei bandita, perché la realtà si sposi con la verità e si dia spazio al mio pensiero.

 


 

In rime stonate

Nel mio sguardo un giardino di fiori tristi che allietano solo l’aridità delle mie rughe, rossa la sera, rossi i miei fiori, libero il vento che mi ricorda che sono prigioniero della mia mancanza. Nessuno uomo può soffrire del mio soffrire e solo la terra può rinchiudere i chiodi che mi arrugginiscono l’amore. Non voglio più lacrime come pane, non voglio più il rosso scuro per compagno, voglio il colore della vita, non voglio candele spente ma un violino che mi fa vibrare la corda dell’orgoglio, per mai più chiedere alla luna di carezzare i miei ricordi passati e sostenere i giorni in poesia e rime stonate d’allegria.

 


 

Ombre e ardore

Di te, so la tua ombra che mi segue e la tua bocca aprirsi in rime gelose. Conosco il tuo ardore e la tua mente pronta alla difesa perché in te la giustizia non è rinuncia bensì assalto! Il tuo perdono è sempre unito al lamento e il tuo cuore incline al gioco dei bambini: il divertimento è frammisto di bugie. Un giorno, spero non lontano possa tu diventare un nuovo tesoro, lasciare le sembianze di un uomo inferiore e suonare una melodia profonda che esalti la tua saggezza e allontani la tua povertà.

 


 

Più profondi dell’anima

Se tu mi sussurri le lettere dell’assedio, io ti lancerò in aria le mie mille fantasie perché dal cielo infinito verrò nutrito. I miei pensieri più numerosi delle stelle, sfidano il tempo, la natura e la contaminazione! Sarò l’equilibrio precario nell’instabile gioia di questi giorni, che celano terrore e morte. Se un giorno ti sconfiggeremo sarà perché siamo andati oltre: incontro al futuro, più in là della conoscenza, più profondi dell’anima.

 


 

Povera la mia carne

Nella povertà della mia carne, come sono eccomi, Padre;
polvere di strada che il vento leva da terra.

Allargo le mie braccia e chiedo perdono,
rozzo il mio capire, primitivo il mio essere.

Ho cercato la terra ove il Tuo sguardo
mi coltivasse come ricca spiga.

Ho cercato la fonte ove crescere come Tuo germoglio;
allora perché la mia vita è come il giglio del campo?

Se, come mi han detto, la nostra radice è nel Tuo Spirito
perché dividerci in amore, perché reciderci nella fioritura.

Ti cerco ancora nella mia pena:
in quella notte dei sensi in cui si accende il cuore e la mente;
e nella disperazione del mio peccato ricorro a te.

Ti guardo sulla croce e altro non sento che la tua ultima parola:
dolore dell’uomo, Amore di Dio.